— Perché molti di noi sono addestrati ad operare a gravità zero. Abbiamo ricevuto delle borse di studio per poterlo fare.
— Allora, perché non affidare a un percell la direzione delle nostre operazioni manuali?
— Be'… non siamo ancora abbastanza vecchi. Nessun percell ha l'esperienza di Cruz o di Ould-Harrad, o di…
— Suvvia! Guarda chi sta facendo gli esperimenti sulla fuga dei gas verso l'esterno! E chi si fa i periodi più lunghi di sonno nelle capsule: tutti ortho.
— E allora?
— È là che ci saranno i quattrini, quelli veri! Impara come si fa a guidare le comete con la loro evaporazione, dimostra che puoi dormire e lavorare in turni di dieci anni… e potrai vendere il tuo talento dovunque nel sistema.
Carl non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Non c'era dubbio che Jeffers stesse adottando la prospettiva lunga. — Suvvia, è…
— E la Sezione Chimica? Se qui dovessimo scoprire qualcosa che valga anche soltanto la metà dell'Enkon, sai chi ci guadagnerà? E anche lì sono tutti ortho, salvo Peters.
— Abbiamo firmato tutti un accordo sui brevetti. Qualunque tecnica venga scoperta, a tutti noi spetta una fetta, dopo aver recuperato le spese.
Il volto di Jeffers si contorse in un'acida maschera sardonica. — Gli ortho troveranno il modo di aggirare anche questo.
Carl sentì vacillare la propria convinzione. E se avesse ragione? Ma cancellò subito quel pensiero. — Senti, abbandona quel binario. Non possiamo continuare anche qua fuori nello spazio le stupide lotte della Terra.
— Non siamo noi a farlo, sono loro.
Esasperato, Carl fissò i resti del suo pranzo nella borsa. — Andiamo, preferisco lavorare piuttosto che litigare.
Comunque, quella sera si avvicinò preoccupato al bar del salone ricreativo, cercando Virginia. Lei era una percell ragionevole e poteva capire ciò che quel pomeriggio aveva con riluttanza ammesso a se stesso: che era in parte d'accordo con alcune delle accuse di Jeffers. Era il tono usato da Jeffers, quel suo modo di mettere ogni cosa in bianco e nero, che lo aveva irritato.
Prese un drink, si voltò per allontanarsi, e vide la scritta, sulla porta del bar, CHINATEVI O LAMENTATEVI, giusto in tempo per ricordarsene. Si chinò ed entrò nel salone. La prima settimana che erano a bordo, lui e gli altri percell avevano sbattuto la fronte contro l'architrave della porta una dozzina di volte; a quanto pareva i progettisti della Edmund avevano ritenuto che soltanto gli ortho socializzassero.
Lani Nguyen lo intercettò vicino al busto sorridente in tungsteno di Edmund Halley. — Ah, finalmente sei comparso.
Lani dava l'immediata impressione d'una efficiente progettazione aerodinamica, spaziale dai piedi alla radice dei capelli. I magri muscoli guizzavano sulle sue braccia nude color mandorla, ma il resto del suo corpo era avvolto in un abitino azzurro-ghiaccio che si muoveva nella lieve pseudogravità con graziosa e modesta indipendenza. A Carl piaceva l'effetto di quel tessuto rilucente che si attardava dietro i suoi precisi e delicati movimenti.
— Uhm, già, abbiamo avuto dei problemi con l'articolazione della galleria. — Esibì un sorriso cordiale, ma cercò di dare un'occhiata generale al salone senza farlo vedere.
Il dottor Akio Matsudo stava parlando animatamente con il tenente colonnello Ould-Harrad, il capo delle Attività Manuali. Attraverso l'oblò il nucleo di Halley risplendeva e fluttuava in sincronismo con le ruote-G della nave. Il capitano Cruz si teneva dritto come una bacchetta contro lo sfondo stellato, dominando facilmente la sala, circondato dal solito branco di signore ipnotizzate.
Dov'era Virginia?
— Oh? — chiese Lani con un sorriso lontano, in tutto simile a quello della statua del Buddha dietro di lei. — Ma non dovrebbe essere automatico?
Carl sbatté gli occhi. — Ehm… ci siamo imbattuti in un affioramento di macigni.
— Di solito, io mando un mech in avanscoperta a tagliarli via con una lancia termica. Poi…
Jeffers comparve dal nulla e Carl lo intrappolò. — Farai meglio a dirlo a questo tizio. È lui l'uomo di punta della nostra squadra. Ho una cosina da sistemare… — E fu libero, prima che la sorpresa stizzita di Lani si estrinsecasse in una protesta. Che anche Jeffers abbia una possibilità pensò Carl. Se la merita. Un po' ingiusto nei confronti di Lani, forse, ma c'erano pur sempre delle priorità, no? Vediamo, a quest'ora il suo turno dovrebbe essere finito…
Passò accanto al gruppo che circondava il capitano Cruz e d'impulso rallentò il passo. S'insinuò nel grappolo. Cruz parlava sempre a tutto il gruppo, senza mai consentire che qualcuno fosse escluso, e sorrise a Carl. — Come va laggiù, Osborn?
Carl rimase sorpreso nel sentirsi rivolgere la parola di persona. Aveva avuto soltanto l'intenzione di starsene lì ad ascoltare. — Uh, piuttosto dura, signore, ma possiamo farcela.
— Ho visto quel giochetto al Pozzo 3. — Cruz sollevò leggermente le sopracciglia e il suo sguardo spazzò il cerchio degli astanti. Malgrado fosse un ortho, un essere umano naturale, era alto come la maggior parte dei percell.
Carl sentì che il volto gli si surriscaldava. Doveva dire qualcosa, ma cosa? — Be', immagino di aver…
— Meraviglioso! Un centro perfetto! Mi è venuta voglia di applaudire. — Il comandante ridacchiò.
Carl era confuso. — Oh, io…
— È bello vedere un po' di audacia — dichiarò Cruz con calore.
Carl sorrise imbarazzato. Sa che era un errore? — Be', abbiamo un programma da rispettare.
— È vero. Vorrei soltanto che altre sottosezioni si muovessero altrettanto rapidamente.
Carl si chiese se fosse una critica velata. Ma Cruz sollevò la sua bolla di bourbon per brindare e, con viva sorpresa di Carl, la folla fece altrettanto. Carl nascose la sua confusione mandando giù una sorsata, scrutando la folla per vedere se vi fossero segni d'ilarità. No, facevano sul serio. Provò un improvviso piacere. Aveva sbagliato la manovra, certo, ma si era ripreso nel migliore dei modi. Era quello che importava al capitano.
Cruz colse lo sguardo di Carl, e fra loro passò un fugacissimo istante di reciproca comprensione. Lui sa che ho preso un granchio. Ma premia l'iniziativa rispetto all'indecisione. Perché? Carl aveva cercato di lavorare bene durante il volo della Edmund fuori dal sistema, ma fino a quel momento Cruz non gli aveva prestato niente di più che una remota, seppure cortese, attenzione.
Ecco: Kato e Umolanda. Non vuole che la gente si spaventi. Sa che sono state delle apparecchiature difettose e la pura sfortuna a ucciderli, molto più che la negligenza.
— Rispetteremo le nostre scadenze, signore — dichiarò Carl con fermezza.
Cruz annuì. — Bene. — Con consumata disinvoltura, il capitano rivolse adesso la sua attenzione a una donna, un ufficiale addetto alle comunicazioni, lì accanto. — Le nuove antenne a microonde sono state erette entro i tempi previsti, vero? Avete problemi a ricevere i segnali attraverso la coda di plasma? — chiese Cruz.
— Sì, un po'.
— Quanto tempo ancora prima che possiamo installare un radar a microonde per cercare la Newburn?
— Le farò avere una stima entro domani, signore.
Carl ascoltò il modo amichevole e aperto con cui Cruz estraeva informazioni dalla donna, le commentava, faceva una piccola battuta che suscitò le risate della folla. Ora, questo sì che è il modo di comandare pensò. È in contatto con tutto e tutti e non appare mai preoccupato. Chissà se imparerò mai il trucco.
Gli sarebbe piaciuto rimanere più a lungo, ma voleva trovare Virginia. La scoprì in un gruppo di hawaiani dalle varie carnagioni, intenti a ridere. Il suo abito era di un azzurro luccicante che suggeriva senza rivelare. Lo stato semiautonomo delle Hawaii aveva finanziato il venti per cento del costo della spedizione. Vera capitale del complesso economico pan-Pacifico, le Hawaii investivano moltissimo nello spazio. I loro rappresentanti davano un'atmosfera di allegria alla maggior parte delle cerimonie.