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— Già. Ma ci vorrà un sacco di spinta. Neppure questi getti sono stati mantenuti in buono stato di funzionamento.

— Non abbiamo nessun'altra scelta!

— Qui siamo al sicuro.

A Virginia non piaceva quell'espressione remota, rassegnata, sulla faccia di Carl. — E ad ogni minuto che passa saremo sempre più lontani da Halley!

— Già, su questo hai ragione. — Carl corrugò la fronte. Scosse la testa, cercando di mostrarsi interessato.

Il pallido orizzonte di Halley cominciò a levarsi al di là del bordo della piattaforma.

— Saltiamo direttamente giù dall'orlo, non appena gira. Sergeov non può sentirci, con tutto questo metallo che blocca la comunicazione fra noi.

Carl la fissò con un'espressione pensosa, illeggibile. Virginia lottò per superare il bordo della piattaforma e piantò saldamente i piedi contro un groviglio di montanti. — Dimmi quando.

— Aspetta… Hai attivato i tuoi getti? Ora regolali sull'emergenza, per una scarica di venti secondi, capito? — Spostò l'interruttore per lei. — Va bene, portali sul massimo quando… dico… adesso!

Virginia saltò nell'istante in cui attivò il pulsante. Un pugno la colpì alla cintura e la fece sfrecciare via, lottando per tenere in linea le mani e i piedi. La spinta parve durare per sempre, e Virginia dovette combattere contro l'impulso a piegarsi in due, per presentare il più piccolo bersaglio possibile alle pallottole che saettavano via da Halley, cercandola, e che poteva percepire…

Sollievo. Quella spinta furibonda venne interrotta dal timer della tuta. Virginia abbassò la testa e vide la piattaforma fra i suoi piedi, che ruotava pigramente. Una flangia argentea ammiccò e ruzzolò via mentre guardava, liberata dall'impatto di una pallottola. Se soltanto Sergeov non si fosse accorto di quello che avevano fatto…

Carl. Dov'era?

Si guardò rapidamente intorno, ma non trovò niente. Se una pallottola ti avesse colpito, ti avrebbe trapassato e basta? Oppure ti avrebbe dato abbastanza spinta da condurti lontano nel giro di pochi istanti, fuori dalla mia vista…?

Virginia non osò chiamare al comunicatore. Si girò in tutte le direzioni, dicendosi che non doveva lasciarsi prendere dal panico, di essere lucida e metodica, e finalmente lo trovò, proprio sopra di sé, una macchia nel buio grande come una bambola.

Per il rendez-vous ci vollero soltanto pochi momenti. Carl venne verso di lei nuotando, frenò, poi serrò le mani su quelle di lei e mise a contatto i caschi. Si era aspettata un momento di tripudio, giacché, certamente, dovevano ormai trovarsi fuori dalla zona di pericolo, ma tutto quello che Carl disse, fu: — Adesso viene la parte difficile.

— Cosa?

— Tornare su Halley.

— Qualcuno non… — stava per dire, verrà a prenderci?, quando si rese conto che ovviamente nessuno avrebbe mai pensato ad un salvataggio nel mezzo della battaglia. Gli Uber e i loro alleati avevano senza dubbio sotto tiro le imboccature dei pozzi, imbottigliandovi dentro chiunque poteva aiutarli. Inoltre, in quanti erano a sapere che loro si trovavano lì fuori?

— Quanto ci troviamo lontani?

Carl sollevò un piccolo tubo, lo puntò verso il disco pustoloso, sempre più piccolo, di Halley, e lesse il dato: — Ventitré chilometri virgola quattro. Con un incremento di circa tre chilometri al minuto.

— Così distanti!

— Moltissime pallottole hanno colpito la piattaforma.

— Queste tute…

— Hanno una grande portata. Il vero problema è tornare prima che finisca l'aria. — Indicò con un gesto i misuratori che correvano in linee a colori in codice lungo entrambe le maniche delle loro tute. — Non ne abbiamo più molta.

— Quanta decelerazione posso avere?

Carl fece un calcolo mentale, corrugando la fronte, e ricorse alla visiera del suo casco per controllare. — Non molta.

— Ma possiamo ancora tornare indietro, vero?

— Sì… Soltanto, dobbiamo annullare questi tre chilometri al minuto. Ci vorrà tutto il carburante che abbiamo. Poi, dovremo farci i trenta chilometri o giù di lì per arrivare fino ad Halley…

La sua voce si spense in un gesto di frustrazione mentre digitava altre cifre sulla sua consolle, fissata a una sporgenza della cintura. Virginia si morse il labbro. Tutto stava avvenendo così in fretta che non aveva il tempo per pensare.

Carl si fermò, poi batté altri dati, e strinse le labbra fino a farle sbiancare. — Sembra brutta.

— Quanto brutta?

— Nessuno di noi due ce la farà a ritornare in tempo per respirare aria fresca.

— Nessuno dei due?

— Non si può fare. Quei tre clic al secondo si mangiano una grossa fetta del nostro carburante.

— Allora… — Un cupo presagio, adesso il sottofondo che da giorni avvertiva dentro di sé eruppe in superficie. Sarebbero morti tutti. Il destino aveva orchestrato ogni cosa, cosicché entrambi si trovassero ad affrontare una morte straziante, soli e spaventati, qui fuori nell'abisso gelido e immemore…

— Possiamo vincere quei tre clic al minuto, ma questo ci lascia soltanto una piccola velocità residua. La gravità della cometa non ci aiuterà molto. Ci vorranno ore per ritornare su Halley.

E mentre parliamo, la situazione peggiora sempre più. Ogni secondo ci porta più lontano. Fuori nel vuoto, a raggiungere le anime gelate della Edmund. Soltanto che prima dobbiamo morire…

— Uno di noi non potrebbe prendere entrambi gli zaini a getto?

Carl scosse la testa. — Sono integrati, non ricordi? Non puoi staccarne uno, senza rompere il sigillo dell'aria.

Non se lo ricordava, non l'aveva mai saputo, ma adesso la sua mente scorreva in fretta, ripassando fulminea tutto ciò che sapeva della dinamica. Se c'era qualche modo per farlo…

— Aspetta. Soltanto uno di noi deve tornare indietro, cercare aiuto. Non c'è qualche modo per scambiarci della quantità di moto fra noi?

Carl parve perplesso. Il suo volto era grigiastro e stanco, cerchi scuri gli orlavano gli occhi. Pareva più vecchio e più logoro di quanto l'aveva mai visto prima, perfino all'apice delle pestilenze. Scosse la testa muto, le labbra ancora premute con forza, gli occhi pieni di disperazione.

Virginia ricordò qualcosa da molto tempo addietro… cercò di ripescarlo… colse il frammento di un'idea.

— Aspetta, c'è qualcosa…

CARL

Halley era appesa nella tenebra corrosiva, derubata ormai da tempo della sua rotazione dall'Uomo, adesso la sua superficie era illuminata da fuochi convulsi.

Carl seguì la battaglia che progrediva, mentre attuava il suo lungo approccio. Erano passate più di tre ore da quando si era separato da Virginia. Si erano accordati per mantenere il silenzio delle comunicazioni. Ciò aveva reso il suo viaggio solitario e frustrante, giacché poteva sentire le grida sparse della lotta, le urla aspre e lo «staccato» degli impulsi a microonde, il tutto senza potersi fare nessuna idea chiara di ciò che tutto questo significava, del modo in cui procedeva la battaglia. Aveva cercato di concentrarsi sulle grida confuse, non soltanto perché aveva bisogno di conoscere la situazione quando fosse atterrato, ma per calmare la propria rabbia.

Esaminò il panorama che si profilava davanti a lui con una proiezione telescopica sulla sua visiera. I cadaveri degli archisti morti giacevano distesi vicino all'equatore. I solchi scavati dal laser butteravano i fianchi delle colline, ma adesso i laser degli archisti parevano essere stati messi fuori combattimento. Ne individuò uno, spezzato, ridotto a un tubo infranto. I lanciatori si erano dimostrati più efficaci dei goffi e impacciati saldatori-laser. Più lontano, a sud, Carl riuscì a vedere una fila di archisti che si stava formando intorno a cinque pulsatori a microonde. Il punto focale dello scontro si sarebbe spostato laggiù.