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Carl aspettò che ci fosse una pausa nella conversazione, attirò lo sguardo di Virginia e la condusse con sé in una nicchia. Le descrisse rapidamente le lamentele di Jeffers. — Pensi che possa aver ragione? — le chiese.

— Vuoi dire, se gli ortho cercheranno di rastrellare tutto quello che possono? — Ebbe un sorriso d'intesa. — Ma certo. Questa non è un'opera di carità.

— Io non sono venuto solo per fare soldi. — Carl si tirò indietro incrociando le braccia. Sapeva che probabilmente si sarebbe mostrato più scaltro se fosse apparso più urbano, perfino un po' cinico, o per lo meno riteneva che fosse questo ad attirare la maggior parte delle donne sulla Terra. Ma in qualche modo il suo vero io finiva sempre per emergere.

— Offeso? — Virginia sorrise, le sue labbra piene si chiusero rivelando dei denti d'uno stupefacente splendore. — Non essere così austero. Perfino gli idealisti devono mangiare.

— Non hai firmato qualche piccolo accordo riservato sulla Terra?

Virginia corrugò la fronte. — Certo che no. Ascolta, ci saranno sempre delle voci secondo cui il tale o il tal altro hanno un contrattino extra per far filtrare fuori qualche scoperta. Chi lo sa, forse qualcuno trasmetterà qualcosa sulla Terra su raggio ristretto prima che noi torniamo, e troverà una bella mazzetta ad aspettarlo su un conto svedese.

— Non mi sorprenderebbe. Con quattrocento persone che faranno i turni di guardia nell'arco di settant'anni, ci saranno possibilità in abbondanza per imbrogliare.

Virginia agitò imbronciata il suo calice a bolla pieno di pina colada, con una cannuccia rosa. A Carl i festosi colori del salone parevano fuori posto dal momento che il nudo acciaio e il vuoto si trovavano soltanto a pochi metri da là. Era probabile che gli psicologi avessero pensato che chiazze tropicali di ambra, verde e oro potessero strappare la gente dalla cruda realtà, ma con lui non funzionava.

Virginia disse lentamente: — C'è un vecchio detto: Le persone normali scelgono i propri amici, ma un genio sceglie i propri nemici.

Carl fece una smorfia: — Cosa vuoi dire con questo?

— Sono gli ortho a dirigere questa spedizione, concesso. Se noi creiamo un attrito, essi potranno fare molto di più per renderci difficile la vita.

Carl ci rifletté un momento: — D'accordo. Concesso. Questo, comunque, non cambia i miei scopi.

Virginia annuì. — Ah, sì. La Terza Fase.

Carl si rendeva conto del fatto che, per lei, le sue opinioni erano troppo semplicistiche, un'approvazione troppo pedissequa della dottrina delle colonie della Terra Vicina. Tuttavia, onestamente, non riusciva a vedere come lei non potesse essere d'accordo.

Un secolo di lotte aveva finalmente dato all'umanità la tecnologia per sfruttare il sistema solare: mezzi di trasporto efficienti, apparecchiature meccanizzate per l'assemblaggio e l'estrazione mineraria, biosfere artificiali integrate di qualunque dimensione necessaria.

Adesso, argomentavano i coloni, era il momento di spostarsi fuori.

I satelliti senza equipaggio erano stati il primo livello dello sfruttamento dello spazio: Altopiano Uno. Molto indietro nel tempo, negli anni intorno al 1980, la gente aveva fatto miliardi con i satelliti per le comunicazioni. Avevano salvato molte vite umane con i satelliti metereologici.

Le fabbriche spaziali automatiche che utilizzavano i materiali luaari erano state il successivo gradino: Altopiano Due.

Ognuno degli altopiani era stato scalato dai pochi che ne avevano capito i vantaggi molto in anticipo e avevano corso enormi rischi a causa di quella visione. Altopiano Due era quasi fallito, prima di trasformarsi in un rampante miracolo economico, contribuendo a districare il mondo dal Secolo dell'Inferno.

Ogni ascesa pareva provocare un'apprensione terrocentrica: prima, che l'investimento potesse fallire; poi, che la culla dell'umanità venisse relegata a un ruolo di pura periferia. Ciò era aggravato dagli interminabili problemi sociali della Terra: malesseri che le colonie spaziali, com'erano progettate, non condividevano. Le Norme sulla Nascita e l'Infanzia, le quali imponevano che ogni bambino nato nello spazio dovesse passare almeno cinque anni a terra, erano un'espressione legale delle paure latenti.

Altopiano Tre era un sogno, un problema politico, un punctum dolens economico, un atto di fede: tutto contemporaneamente. Ma adesso le grandi colonie rotanti erano possibili. Adesso i coloni consideravano le Norme sulla Nascita e sull'Infanzia come simboli dei lacci di un grembiule che ormai, da tempo, stava loro piccolo. Volevano sfruttare gli asteroidi rocciosi e la Luna, ma avevano anche bisogno delle sostanze volatili per i propellenti e la biosfera. Avevano perfino finanziato una minuscola miniera di ghiaccio su Ganimede, ma non aveva funzionato molto bene.

Alcuni vedevano nelle comete la chiave, e credevano ferventemente che gli esseri umani potessero sparpagliarsi per il sistema solare come i semi d'un soffione, se soltanto avessero imparato a intruppare quelle antichissime palle di neve entro orbite dove potessero venir utilizzate.

Virginia si abbandonò languidamente sulla sua sedia a rete. — Non puoi aspettarti che Mamma Terra molli l'osso facilmente.

— Hanno tutto da guadagnare. Gli porteremo asteroidi a iosa, materiali grezzi, gli forniremo nuovi mercati…

Virgina lo fermò sollevando una mano. — Per favore, conosco a memoria la litania. — Un'espressione divertita di finta pazienza a lungo sopportata le passò fugacemente sul volto, disarmandolo all'istante. Forse non era intesa in quel modo, ma con un singolo gesto lei riusciva a farlo apparire, agli occhi di se stesso, goffo, lento di comprendonio, troppo ovvio nei suoi discorsi. E, forse, lo sono davvero. Ho vissuto nello spazio più della metà della mia vita da adulto.

— Soltanto perché ti è familiare, non significa che sia sbagliata.

— Carl, pensi davvero che estrarre sostanze volatili dalle comete possa portare il millennio?

— Dove altrimenti, possiamo trovare fluidi a basso costo? — Per lui, quello era l'asso nella manica, un freddo fatto economico. Proprio agli inizi del sistema solare, quel giovane sole caldo aveva soffiato via la maggior parte degli elementi leggeri verso l'esterno, lontano dalle zone interne. Soltanto la Terra aveva conservato abbastanza elementi volatili da rivestire il suo mantello roccioso di una sottile pellicola d'aria e d'acqua. Quando gli esseri umani si erano avventurati nello spazio per sfruttare le risorse che vi si trovavano, gli asteroidi, la Luna, Marte, avevano dovuto trasportare i propri fluidi dalla Terra.

— Sicuro — disse Virginia. — Prendi il ghiaccio dalle comete! Fra ottant'anni saremo di ritorno, gloria agli eroi, ai conquistatori! Ma per allora qualcuno potrebbe aver scoperto dei laghi ghiacciati nelle viscere della nostra Luna. Oppure aver trovato un sistema economico per intaccare i crio-asteroidi fuori dalle lune gioviane… chissà?

Carl la fissò stupefatto. — È pazzesco! Non c'è nessun modo di affrontare il costo per calarsi nel pozzo gravitazionale di Giove, soltanto per recuperare acqua e ghiaccio. Il progetto Giove lo sta dimostrando.

Lo sguardo di lei ebbe un guizzo. — E allora? È forse più facile dare la caccia alle comete?

I suoi occhi scuri lo stuzzicavano, Carl lo sapeva, ma non poteva desistere.