Probabilmente abbiamo vinto in parte per avere spaventato a morte o quasi, gli Uber, rifletté Saul, mentre controllava il flusso tra JonVon e la padrona della macchina.
Era stato un esercito ben strano quello che aveva seguito Ould-Harrad e Ingersoll, il «Vecchio delle Caverne», lungo passaggi che nessun altro aveva mai scoperto, emergendo quasi sotto la postazione di comando degli Uber e attaccando come un esercito di fantasmi.
Dieci alte figure con il corpo dipinto d'un nero arcano, e un'impressionante ventina di selvaggi alberi viventi, un tempo uomini ma adesso simbionti che non hanno neppure più bisogno di tute spaziali…
Saul sapeva che stava furiosamente pensando… a qualunque cosa, qualunque cosa, non importa quale, piuttosto che contemplare la triste figura sulla ragnatela. Non c'era niente che lui potesse fare fino a quando la macchina non avesse riferito. Scoprì che stava strizzando il casco di duraplast fra i palmi delle mani, in preda alla tensione nervosa, e che era riuscito a lasciare un'ammaccatura sul globo nero.
Oh, Virginia. Tieni duro, tesoro. Per favore, tieni duro.
Il principale schermo olografico, sopra la consolle: comparve un'immagine, un'infermiera con un camice bianco inamidato e uno stetoscopio di vecchio modello intorno al collo, che fissava Saul con sguardo grave.
Ha ragione, dottore. La paziente è clinicamente al di là del punto di non ritorno. Le velocità sinaptiche stanno recedendo. Il danno progressivo al cervello è rallentato, ma non completamente arrestato. La perdita della corteccia, entro quindici minuti, causerà la cancellazione della memoria e della personalità. Non ci sono palliativi conosciuti.
È morta, signore.
— No, non morirà! Se il suo cervello non riuscirà più a contenerla, troveremo per lei qualche altro posto dove andare. Che mi dici di quelle procedure alle quali lei lavorava, per la completa registrazione e l'assorbimento della personalità?
Desidera la costruzione d'una simulazione di Virginia Herbert?
Saul scosse la testa: — Sto parlando di trasferimento e assorbimento totali.
Vi fu un sibilo dietro a Saul mentre la porta si apriva. — Cosa sta succedendo qui? — Una mano sulla sua spalla lo costrinse a voltarsi. Carl Osborn corrugò la fronte e tenne un pugno sotto il viso di Saul.
— Mi sono liberato di quei tuoi ragazzi dopo che mi hanno scaricato sul ghiaccio. Sono sceso attraverso uno scivolo per la spazzatura. Adesso ti faccio una domanda, Lintz. Cosa sta succedendo qui? Perché mai Virginia non si trova in ospedale?
Carl aveva un aspetto esausto, rabbioso. Le maniche della sua tuta avevano le chiusure lampo aperte fino ai fianchi, dando a quell'indumento un aspetto medioevale, pur rattoppato e insudiciato. I suoi muscoli pulsavano, e Saul seppe da un solo sguardo che Carl era sull'orlo frastagliato della violenza.
— Ecco — cominciò, in tono ragionevole, col suo miglior atteggiamento di medico al capezzale del malato. — Tienle il braccio mentre le somministro questo medicamento.
Carl sbatté le palpebre e si mosse per sollevare l'arto gelato e bluastro di Virginia. — Tu… devi salvarla, Saul. Non potrei sopportare se… se… — Si sfregò gli occhi col dorso del polso libero.
— Mi ha imbrogliato, facendo in modo che fossi io a venire rispedito indietro. E io l'ho… l'ho riportata indietro troppo in fretta.
— Hai fatto del tuo meglio, Carl. — Saul controllò un flacone d'un liquido color ambra.
Carl non parve udire. — Devi… devi salvarla.
— Lo faremo — gli promise Saul. E premette il flacone contro la mano di Carl. Lo spaziale sollevò lo sguardo su di lui, sbattendo le palpebre per la sorpresa nell'udire il sibilo del narcotico che gli veniva iniettato: un ipnotico ad azione rapida.
Fu scosso da un tremito, aprì la bocca come per parlare, ma non ne uscì nessun suono.
— Bene — gli disse Saul, conducendolo per il braccio fino alla parete. — Adesso, se vuoi, puoi rimanere sveglio, Carl. E perfino farmi delle domande, quando non sarò troppo occupato. Ma voglio che tu te ne stia qua dietro a rilassarti. Allenta i tuoi muscoli. Lascia che tutto quello che si trova sotto il tuo collo si appisoli per un'ora, più o meno. Ne hai bisogno.
Carl lo fissò con sguardo accusatore, ma rimase dove si trovava. Saul tornò alla consolle e parlò ad alta voce alla macchina.
— JonVon, è fattibile? Che mi dici del programma che hai usato per trasferire i miei ricordi nei miei cloni?
La rappresentazione olografica tremolò, e con viva sorpresa di Saul comparve un volto che aveva conosciuto molto tempo addietro. Era un simulacro di Simon Percell, dal ciuffo di capelli bianchi ai minuscoli capillari rotti sul naso del grande biologo.
Pare una versione più anziana di Carl Osborn.
Quelle famose sopracciglia cespugliose s'intrecciarono.
I tuoi cloni sono eccezionali, Saul. Nessun altro genotipo è riconducibile ad una così rapida crescita fino alla maturità… Probabilmente è dovuto alla tua stessa immunità alla malattia.
Il programma di trasferimento della memoria che hai usato può venir impiegato soltanto fra cervelli umani quasi identici. Le risonanze devono apparir vere punto per punto. E non esiste il fenotipo di qualcuno che segua con abbastanza precisione il genotipo.
Sembra impossibile utilizzare quel metodo se non con una minuscola frazione di esseri umani. In altre parole, amico mio, tu sembri essere uno dei pochi immortali potenziali.
Saul rimase a bocca aperta. La verosimiglianza era stupefacente. Simon era immediato, reale. Con la coda dell'occhio poté vedere Carl Osborn rabbrividire. Che fosse per timore reverenziale nei confronti del padre patrono dei percell, o per la rivelazione fatta su lui stesso, Saul, non era chiaro.
— Non c'è tempo, allora. Tu, JonVon, devi assorbire lei all'altra maniera, distruttiva o no che sia. Virginia ne ha parlato come di qualcosa di teoricamente possibile. Procedi immediatamente.
Il simulacro annuì.
Ci sarà una parvenza superficiale di dolore.
Il tempo stava strisciando via. Saul ringhiò, disperato. — Fallo! Quest'emergenza scavalca ogni altra cosa!
Procedo.
La reazione fu quasi immediata. Scariche statiche tremolarono su tutti gli schermi. Saul dovette afferrare il braccio di Virginia quando il suo volto si contorse e le gambe sbatterono. I suoi tendini s'indurirono, e urlò come un animale in trappola.
Saul torse la ragnatela, formando una specie di camicia di forza improvvisata, legandola con dei lacci con un solo scopo: impedire che il connettore neurale le si strappasse dalla testa.
— Sei un… bastardo — sentì dire dall'uomo alle sue spalle. La voce di Carl era senza inflessione, calma, come se stesse commentando le previsioni del tempo. — La stai… uccidendo — proseguì la voce uniforme. — Se io… potessi muovermi… sai, ti farei a pezzi a mani nude.
Saul terminò di legarla. Accarezzò i capelli di Virginia e quel tocco parve calmarla un po'. Quando si voltò i suoi occhi erano gonfi d'un liquido appiccicoso che non voleva cader giù. — Se non dovesse funzionare, Carl, ti offrirò la mia gola e ti darò il permesso.
I loro occhi s'incontrarono. Carl annuì leggermente. Era un patto.