— Cosa possiamo fare?
— Non lo so! Io… io non so distinguere la differenza fra i segmenti di olo-bio memoria che sono stati trasferiti e quelli che sono semplicemente morti. Non c'è nessun modo di compiere un inventario, perché vaste parti di lei sono state semplicemente inghiottite dalla rete dei dati. Si sta diffondendo dappertutto, per poi scomparire!
Esitò, poi salì sulla ragnatela e sollevò il proprio connettore neurale.
— Non c'è nessun'altra scelta. Entro.
La mano di Carl gli strinse il braccio per un attimo. I loro occhi s'incontrarono.
— Sii prudente, Saul. Fai del tuo meglio.
Saul annuì. Si strinsero la mano.
Poi Saul si distese e chiuse gli occhi.
VIRGINIA
Wendy si fermò con un ronzio. Ticchettò. Sollevò un braccio artigliato. Esitò.
Il piccolo mech ruotò la propria torretta e usò i suoi sensori.
Il suo sistema visivo percepì linee, angoli, ragnatele marezzate di frequenze spaziali. Seguendo la sua programmazione, valutò i segnali e li trasformò in disegni. Riconobbe cose identificabili come macchine, strumenti, la porta, gente.
Di recente la programmazione di Wendy era cambiata molte volte. La sua padrona aveva trovato in continuazione nuove tecniche per analizzare le linee e le forme, nuovi modi per dar loro dei nomi… una lista sempre crescente di comandi per obbedire e per compiere scelte sottili. Adesso, all'improvviso, un altro flusso di nuova programmazione scorreva ancora una volta dentro il piccolo mech. Questa volta, però, arrivava come un torrente.
Fiumi caotici di dati gli si riversavano dentro, facendolo rimanere immobile per lo stordimento. Quella marea era di gran lunga troppo vasta per poter essere manipolata dai sistemi di Wendy, come una tazza che cercasse di contenere un'oceano. Era una situazione disperata, impossibile.
Eppure vi fu un momento… soltanto un istante… durante il quale la piccola macchina fissò la serie di linee e di forme riconoscendone i nomi, e vide quando le fissò, e provò un breve stupore.
Cosa sono? si chiese il mech. Cos'è tutto questo?
Perché?
Ma semplicemente non c'era spazio perché il programma potesse operare, e la marea rinunciò a tentare di affollarsi in quel minuscolo spazio. Come un'onda si spostò da qualche altra parte, cercando disperatamente una casa.
Wendy rimase immobile come una statua molto a lungo, anche dopo che quell'impetuoso fiume di dati se n'era andato. Quel tremolio di autocoscienza era scomparso, sempre che fosse stato qualcosa di più di un fantasma. Ma sulla sua scia qualcosa aveva messo radici. Un'ombra. Un'impressione.
Lentamente, incerto, il braccio principale del piccolo mech si stese e toccò un oggetto che giaceva su una consolle, vicino al punto in cui due uomini dialogavano fra loro con parole che adesso pareva quasi capace di comprendere.
Raccolse la graziosa spazzola per capelli, con dorso di madreperla, e la riconobbe per quella che era.
— Mia — squittì ad alta voce la macchina, asciutta. Gli uomini non sentirono, così non si accorsero quando Wendy sollevò la spazzola e se la passò con delicatezza sopra il carapace.
Sulla superficie del ghiaccio, un rigido mech da sollevamento, immobile da quando aveva completato la sua ultima istruzione di molti giorni addietro, d'un tratto si flette in un sussultante spasimo di risveglio. Balzò su con tanta forza che descrisse un arco nello spazio, ruzzolando su tratti ghiacciati di neve macchiata di rosso.
Gli spasmi del mech cessarono a mano a mano che quell'ondata di dati turbinava e si allontanava. Però un'esile impronta rimase dopo che quella marea che era rovinata fuori da lui come un torrente se ne fu andata. Quel fuco operaio atterrò agilmente sulla crosta gelida e si guardò intorno cercando qualcosa da fare.
In una direzione intravide degli uomini che scavavano dei buchi e si affrettavano a rattoppare le cupole avvolte dalla nebbia.
Non era abbastanza intelligente da rendersi conto che stava prendendo un'iniziativa per la prima volta nella sua esistenza… ma il mech si affrettò in quella direzione per offrire i suoi servigi.
In profondità sotto il ghiaccio, una macchina molto più progredita, un roboide da manutenzione semiautonomo, si fermò confuso mentre riparava, come suo lavoro abituale, un fuco minerario. Fece una pausa, poi cautamente mise giù i suoi strumenti e cominciò a prestare attenzione ai suoni che lo attorniavano. C'era gente che parlava lì vicino. Ma nessuna delle loro parole apparteneva ai corretti comandi impressi in codice, così li aveva finora ignorati, prestando coerentemente attenzione soltanto al proprio compito.
Soltanto adesso la macchina riconobbe che molti dei suoni derivavano dal dolore e dalla paura.
Nuove priorità lottavano fra loro. Per la prima volta c'era qualcosa di più importante della riparazione delle macchine. Si spostò nella stanza accanto.
Un occhio dalle luccicanti sfaccettature ispezionò un ospedale improvvisato. C'era un andirivieni frettoloso e continuo di medici, i quali assistevano gente spaventata e ferita. La nuova programmazione aveva impiegato pochi secondi a riempire la capace memoria di quel mech di alto livello. Adesso, però barcollava sotto quel sovraccarico.
— Ancora troppo angusto! — gridò la sua piccola voce metallica, adesso con un timbro e un vibrato che fecero sollevare lo sguardo per la sorpresa a qualcuno degli uomini che si trovavano lì accanto.
— Non c'è spazio! Questo non è il mio corpo!
«Dov'è il mio corpo?
Finalmente il mech si ricompose, quando quell'ondata strabocchevole di dati defluì da qualche altra parte, lasciando soltanto la sua impronta: una nuova programmazione. La grossa macchina si avvicinò con delicatezza alla fila dei feriti.
— Glielo porto io, dottore — disse rivolto ad un uomo che stava sollevando un luccicante fegato artificiale per sistemarlo nel punto previsto, sopra una donna ferita. Il medico si girò e per un attimo sbatté le palpebre, sorpreso. — D'accordo — rispose. — Premilo là contro il ghiaccio, con il pannello rivolto verso l'esterno, capito?
— Sì — disse il mech.
Il mech riconobbe il volto di quell'uomo. Vide esattamente gli stessi lineamenti sul volto di un altro medico lì accanto. E ancora una volta su uno dei pazienti. Malgrado non fosse abbastanza intelligente da mostrarsi curioso sul perché potesse avvenire una cosa del genere, reagì a causa di quel riconoscimento. Quello era un viso che il suo nuovo programma conosceva bene.