Выбрать главу

— Carl?

Respirò prodondamente e trascinò via il suo sguardo da quella città di smeraldo, dove adesso interi isolati avvampavano di un intenso splendore, mentre altri venivano ridotti in acri rovine, bruciando lentamente. Si chiese da quanto tempo fosse in quello stato, assorto.

— Ah?

— Jeffers è appena riuscito a comunicare utilizzando una placca-dati a raggio ristretto. Riferisce che i lanciatori sono stati messi fuori uso. Ould-Harrad ha finito.

— Oh. — Non ebbe nessun'altra reazione. Questo era soltanto un altro fatto, un frammento casuale d'informazione in un universo privo di significato. Fu sorpreso di scoprire che aveva stretto la mano di Lani.

Poi l'immagine olografica subì un violento cambiamento. La città di smeraldo si dissolse in un mare di lava rossa, il granito translucido dell'immense torri si sbriciolò in silenzio, fondendo e scorrendo nelle strade rigonfie ed eruttanti.

Saul si rilassò completamente. Il lungo silenzio si prolungò. Carl non osava dire niente.

Gli acustici crepitarono, tornando alla vita. Carl accese e spense l'interruttore senza ottenere nessun risultato.

— Non puoi spegnermi tanto facilmente, spirito spensierato.

— Virginia! — Nella sua eccitazione dette in un balzo che lo fece schizzare fino al soffitto, sbattendovi contro la testa. — Sei là.

Il viso era tornato. Adesso era fresco, sodo e sicuro. Virginia Herbert sorrise, il suo volto era abbronzato, un grande fiore giallo infilato dietro l'orecchio. Dietro la sua testa, nubi cotonose punteggiavano un impossibile cielo azzurro.

— Dovevo fare un po' di ordine — disse il viso.

Lani chiese titubante: — Sei… davvero…

— Io? — La donna nell'olo scrollò le spalle… portando così, in vista, un paio di spalle nude. — Certamente la sensazione è quella.

— Riesci a vederci? — chiese ancora Lani.

— E anche a sentirvi. Quello che hai riferito dalla superficie… che pazzi! Ould-Harrad è un idiota. — Quindi fece una pausa, come se stesse ascoltando. — Oh, Saul. Adesso capisco perché. Ti comprendo.

Saul non si mosse. Pareva dormire normalmente.

Stordito, Carl sapeva che stava ascoltando la voce della morte, ma pareva così vibrante, così piena di quell'antica vivacità…

— Con tutti questi danni, l'equatore è finito come sito per i lanciatori. — Il tono di Virginia si addolcì, guadagnò armoniche, mentre si affaccendava ancora con esso. — Rimane soltanto il polo Nord. Ed esiste un solo profilo possibile per la missione, che utilizzi una spinta da nord.

Carl riusciva a parlare a fatica. È appena morta. Come può una mente… — Io…

— Giove. Le dinamiche orbitali lasciano aperta quella possibilità di sorvolo.

Lani corrugò la fronte. — Ero convinta che fosse impossibile.

La voce rispose calma, quasi loquace: — Non proprio, però… Richiede una variazione di velocità molto alta, e un approccio a Giove completamente diverso rispetto al piano originario della missione. Con i lanciatori che sparano dal polo Nord per tutto il periodo della caduta verso l'interno, trent'anni, poniamo…

— Trent'anni? — gridò Lani.

— Proprio così. E dovremo passare attraverso il perielio per farlo. — Il volto sollevò le sopracciglia, divertito. — Questo sorvolo di Giove è rivolto verso l'esterno, gente.

Carl sentiva le parole, ma erano tutta una cascata di suoni con poco significato. Virginia aveva combattuto ed era morta e adesso era tornata, una voce che echeggiava negli angusti confini di quella stanza… la Virginia che lui conosceva, però, non era affatto lei. Questa voce non mostrava paura, nessun trauma, neppure una traccia di tristezza. Cos'era? L'ascoltò mentre continuava a parlare, sentì la salda stretta di Lani, e d'un tratto si rese conto che quella voce aveva ragione. C'era ancora un modo per uscirne, e non aveva importanza quali tragedie avessero sofferto, quali rimorsi provassero: il tempo e la grande tenebra vuota tutt'intorno a loro poteva guarirli, ed essi avrebbero continuato per la loro strada.

PARTE SETTIMA

IL CUORE DELLA COMETA

Anno 2133

Soltanto un sogno terrestre che per noi è finito, il lampo di una cometa sul fiume della terra. Un sogno due volte lontano, una confusione spettrale sulla temuta illusione della terra.
Edgar Lee Masters: Antologia di Spoon River

SAUL

La lingua del «volpino» ciondolò, mentre svolazzava agilmente attraverso la foresta, con le gambe protese verso l'esterno per mantener tese le membrane delle sue ali, cogliendo le correnti trasversali dall'aria mentre si librava sospeso alla ricerca di preda.

LeGrand Cavern era un'autentica orgia di colori, una selva di ampie foglie delicate e di verdi rampicanti. A intervalli, lungo le pareti rivestite di verde, gli sfiatatoi facevano sgocciolare una condensa che si disperdeva in una soffice nebbia, stendendo un velo di luccicanti goccioline sopra il fogliame che ondeggiava lentamente. Frutti d'un vivido purpureo, d'un arancio e d'un giallo brillanti, enormi e succosi, erano appesi a steli sottili, simili a fili.

Viticci fibrosi tessevano un delicato ricamo attraverso il cuore della cavità, passando da un albero-colonna a una radice di chiavepietra, all'albero-colonna successivo, creando una fitta giungla tridimensionale in quella che un tempo era stata una vuota cattedrale di ghiaccio.

Saul osservò il volpino che annusava l'aria, svolazzando sempre più vicino a una folta macchia di foglie di demicasava, ficcandoci dentro il naso per stanare qualunque cosa vi fosse nascosta.

Con quella che parve un'improvvisa esplosione, una gallina pelle-di-pollo schizzò fuori dalla macchia, sbatacchiando furiosamente le ali prive di penne a pochi centimetri dalle fauci scattanti del volpino. L'uccello si tuffò dentro l'incavo d'una radice di chiavepietra, lasciando il volpino tutto uggiolante per la delusione, all'affannosa ricerca di un'apertura più ampia che non c'era.

La vita continua pensò Saul, sorridendo. Un gioco giocato con serietà da pezzi che soltanto vagamente percepiscono il loro ruolo in questo insieme.

Si riempì i polmoni di quei ricchi odori di vita. Quante cose sono state fatte dai giorni della guerra dell'afelio! Ma devono ben essere tante, visto che sono passati trent'anni. Uomo e ambiente si sono adattati l'un all'altro.

LeGrand Cavern era una delle tre cavità «naturali» nelle quali venivano provati i nuovi adattamenti all'ecosistema sempre più complicato di Halley. In altre cavità, gli umani e i mech badavano a mescolanze più ordinate e meno ribelli di forme di vita… frutteti e fattorie e coltivazioni di aragoste. Ma questo canyon era uno dei luoghi favoriti di Saul, dove diversi esperimenti si sdipanavano da soli, e dove comparivano delle soluzioni nuove e sorprendenti.

Il volpino (un artefatto basato su geni di volpe, ma modificati in maniera così estesa da essere, ormai, quasi irriconoscibile) annusò un altro odore e lanciò un acutissimo yip! Svolazzò intorno ad uno dei giganteschi alberi-colonna, che attraversavano la grande sala con ogni angolazione, come raggi o massicci sostegni.