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Qui c'era pace. Il borbottio dei cuscinetti a sfere della grande ruota, il soffio sommesso dei ventilatori… questi erano suoni che, intellettualmente, sapeva che dovevano esistere da qualche parte. Ma da moltissimo tempo ormai erano sfumati nell'abitudine, come il battito del suo cuore, in uno sfondo che a stento ricordava.

— Ciao, Saul.

Sollevò lo sguardo quando lei uscì dalla casa da tè, un ampio kimono le ondeggiava intorno alle gambe abbronzate, i suoi sandali che ticchettavano sul sentiero sabbioso. Si stava asciugando i capelli neri con un tessuto di spugna.

Gli faceva sempre effetto tutte le volte che l'incontrava. Il suo corpo era da lungo tempo finito nell'ecosistema. Eppure, cammina nella bellezza.

— Ciao anche a te — le rispose. — Com'è l'acqua?

Lei sorrise e si sedette sull'erba a neanche un metro e mezzo di distanza. — Buona. Un po' mossa. Ma c'era un'onda alta almeno due metri. Ottima per il surf.

I loro occchi s'incontrarono. Una risata silenziosa. Cos'è l'illusione? si chiese Saul. E cos'è la realtà?

La differenza si appalesava in una maniera soltanto. Virginia giaceva vicina e nitida là dove poteva arrivare la sua mano tesa. Ma lui non poteva toccarla, e mai più avrebbe potuto farlo.

— Hai un bell'aspetto — lo sollecitò Virginia.

Saul scrollò le spalle: — Invecchio in continuazione.

— Perfino con il perfetto sistema simbiotico? — lei lo stuzzicò.

— Perfino con il perfetto sistema simbiotico, già. Naturalmente, bisogna chiedersi se ha veramente importanza. O se vale veramente la pena preoccuparsi per il tempo e l'età. — La osservò con attenzione, giacché, anche se Virginia era in grado di controllare le immagini in maniera quasi perfetta, il suo volto non nascondeva più di quanto avesse mai fatto. Virginia era misteriosa. Era un libro aperto per lui.

— Potrebbe non avere importanza. — Lo sguardo di lei era lontano. — Potremmo farcela.

— Perfino oltre il perielio? — Saul la guardò scettico.

Virginia stava guardando i pesci. Non poteva toccare o disturbare l'acqua, quella vera, in nessun modo, salvo con la luce e l'ombra. — Forse, se lo faremo, un'intera nuova serie di sfide si presenterà a noi. Durante gli ultimi trent'anni sono arrivato a rendermi conto che per me il tempo potrebbe allungarsi fino all'eternità…

Sospirò, sentendo di poter leggere i suoi pensieri. — I miei cloni hanno la maggior parte dei miei ricordi, e il mio buon gusto per le donne. Ti amano tutti, Virginia.

Virginia sorrise. — Anche tutti i miei fuchi ti amano, Saul.

I loro sguardi tornarono a incontrarsi, ironia e una sensazione di perdita rigorosamente controllata.

— E allora nu? — Saul si stiracchiò. — Volevi dirmi qualcosa?

Virginia annuì, e la simulazione tirò un profondo respiro. — Il Vecchio Uomo Duro è morto.

Saul barcollò all'indietro. — Suleiman? Ould-Harrad?

— Cosa ti aspettavi? Non era più tornato nei colombari dopo le guerre dell'afelio… Ha fatto la guardia per tutto questo tempo, per assicurarsi che mantenessimo il nostro accordo, nessun incontro con nessun pianeta, salvo Giove verso l'esterno. Era molto vecchio, Saul. La sua gente lo piange.

Saul abbassò lo sguardo e scosse la testa, chiedendosi cosa sarebbe stata adesso Halley, senza il mistico nelle gallerie più basse.

Adesso… chi avrebbe avuto il coraggio di ricordare a Saul Lintz che lui non assomigliava, dopotutto, neppure lontanamente al vero Creatore?

— Ti ha lasciato un testamento — proseguì Virginia. — Sei atteso nella Profonda Gehenna.

— Non sono mai stato là sotto. — Saul avvertì una strana sensazione. Era forse paura? Si era dimenticato di quell'emozione, ma poteva essere qualcosa di assai vicino a ciò che provava.

— Neppure io — bisbigliò Virginia. Nessuno dei suoi mech si era mai avventurato laggiù, nelle distese più profonde del nucleo della cometa, dove le creature più strane si rifugiavano nel buio totale. Virginia si riscosse.

— Una guida ti aspetterà alla base del Pozzo Uno, alle cinque e trenta di domani mattina. Io…

Sollevò lo sguardo. I suoi occhi si sfocarono per un momento. — Adesso devo andare. Carl e Jeff hanno bisogno d'una simulazione, molto estesa. Ci vorrà una grande estensione di memoria. — Si lisciò il kimono sopra le gambe abbronzate. — È tempo di spogliarmi del corpo e di ridurmi ai nudi elettroni.

Saul si alzò insieme a lei. Si guardarono. La sua mano si sollevò.

— Non farlo — bisbigliò lei, la sua voce era divenuta tesa e delicata. — Saul…

Le dita di Saul descrissero una carezza, ma si arrestarono un attimo prima di toccare la liscia morbidezza che pareva la sua guancia. Per un istante le punte si accesero di un vampa rosata, e Saul sentì, quasi…

— Torna presto — disse Virginia, con un sospiro. — Oppure chiamami e parlami.

Poi, con un frusciare di seta, se ne andò.

I suoi nuovi gibboni, Simon e Sulamita, si tenevano aggrappati a lui mentre seguiva la guida, un uomo che un tempo si era chiamato Barkley, e aveva diretto le serre per le fattorie orbitali della Terra, prima di venir esiliato in una missione a senso unico nello spazio profondo. Adesso Barkley era la propria serra… il proprio habitat. Indossava un ecosistema di fibre verdi e arancione, e si nutriva di questo e di quello… un po' di luce qui, un pezzetto di sostanza carbonacea nativa lì…

Certi tipi di simbiosi spaventano perfino me pensò Saul, mentre navigavano attraverso un labirinto di passaggi stretti e contorti che li conduceva sempre più in profondità dentro il ghiaccio. Per quanto in superficie il campo gravitazionale di Halley fosse debole, Saul sentì sfumare a poco a poco la sua attrazione fino a quando essa non scomparve del tutto dalla sua sensibilità. Quello era il nucleo, il centro. Qua sotto i primi granelli si erano formati, quattro miliardi e mezzo di anni prima, dando inizio ad un processo di accrescimento a mano a mano che un numero sempre maggiore di frammenti si era raccolto, fondendosi e crescendo fino a formare una palla di materia primordiale, la materia dello spazio profondo.

Si aprirono la strada spingendosi attraverso le fronde spesse e oleose d'una pianta a foglie-serratura… una vegetazione che si comportava in una maniera molto simile al portello d'una camera d'equilibrio, giacché avrebbe reagito ad una perdita di pressione appiccicando una foglia sopra l'altra fino a quando l'aria non fosse stata ermeticamente chiusa, senza alcuna fessura, su un lato della barriera. Era una tecnica efficace, ma Saul trovava la cosa pur sempre inquietante, mentre strisciavano attraverso quella massa vischiosa. I gibboni rabbrividivano, ma sopportavano senza lamentarsi.

Qui l'energia della pila a fusione era razionata, impiegata in maniera limitata. Alla pallida luce della sua luminoampolla, i corridoi luccicavano come lui li ricordava dai primissimi giorni, con la buia, maculata bellezza della roccia nativa del carbonaceo e della neve clatrata. Il naso di Saul si arricciò all'odore di mandorle amare del cianuro e degli ossidi nitrosi… reso piacevole dai simbionati geneticamente progettati presenti nel suo sangue, ma più intenso di quanto l'avesse mai ricordato.

Si fermò per raccogliere dei campioni in diversi punti, qua e là lungo il percorso. Ogni volta, la sua guida si fermò pazientemente ad aspettarlo, imperturbata.

Le tracce si stanno facendo sempre più abbondanti, man mano scendiamo in profondità… come ormai sospettavo da anni.

Non aveva molto senso, naturalmente. Perché mai le forme di protovita dovevano pervadere il materiale primitivo con densità sempre maggiore là in basso, dove le periodiche ondate di calore dovute ai successivi passaggi accanto al Sole non penetravano mai? Era un mistero, ma era pur sempre un fatto inoppugnabile. Era vero che le forme più complesse si erano sviluppate più in alto, ma la sostanza di base era più densa vicino al nucleo.