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Sospirò. Domande, sempre domande… Com'era possibile che la vita fosse così gentile, e così crudele insieme, da offrire un gran numero di meraviglie da risolvere, concedendo così poco tempo per farlo, così pochi indizi?

Il loro viaggio riprese, passando accanto a strette fenditure in cui si poteva occasionalmente vedere una figura rivestita di verde intenta ad accudire a un giardino di funghi giganti, oppure seduta davanti ad una piccola consolle baluginante, intenta a lavorare per conto della colonia, ma nel luogo prescelto da lui o da lei.

Saul si sentiva intrappolato. Il ghiaccio era pesante, massiccio, tutt'intorno a lui. Era opprimente, umido, buio. Siamo vicini, molto vicini al centro percepì.

— Siamo arrivati. — Barkley fluttuò su un lato. Saul scrutò dubbioso una stretta galleria, la cui sezione ampia quanto un uomo. Si schiarì la gola.

— Simon, Sulamita, restate qui.

I gibboni in miniatura sbatterono le palpebre, infelici. Saul fu costretto a staccarseli di dosso, appendendoli sulla parete. Lo guardarono con occhi spalancati mentre si chinava e s'infilava strisciando nel passaggio muffito.

La sensazione di claustrofobia che provava crebbe a mano a mano che avanzava. Le pareti e il pavimento erano stati sfregati e lisciati, ridotti a lastre ghiacciate dagli innumerevoli pellegrinaggi. Per qualche motivo quella galleria pareva ancora più fredda perfino rispetto ai corridoi là fuori. Era lunga soltanto pochi metri, ma quando finalmente una luminosità diffusa comparve davanti a lui, Saul provava un'acuta tensione.

Quando raggiunse lo sbocco, si fermò lì, semplicemente a guardare, per qualche istante.

Quattro minuscoli luminofosfori irradiavano sopra gli angoli di una bara scolpita nella pietra. Nella bara giaceva una figura in forma d'uomo. Suleiman Ould-Harrad.

Saul entrò fluttuando dentro la cavità. Non c'era nessuna forza di gravità ad attirarlo. Era del tutto senza peso.

Afferrò una delle corna di quella bara simile a un altare. Le halleyforme simbiotiche si erano staccate, lasciando Ould-Harrad con l'aspetto di un uomo vecchio, molto vecchio, che aveva raggiunto l'eterno riposo dopo più anni di quanti ne avesse scelti. Gli occhi chiusi nel suo sonno finale davano tuttavia l'impressione d'una severa dedizione al suo popolo e alla divinità che l'aveva tanto deluso dopo averlo creato.

Saul gli rese omaggio, ricordando.

Finalmente si guardò intorno. Virginia aveva parlato di un «testamento». Eppure la cavità era vuota, spoglia, salvo per le luminosfere, il cadavere e la bara scolpita nella roccia.

— Un momento… — mormorò Saul. Si girò a testa in giù e guardò la pietra più da vicino. — Non… non ci credo.

Armeggiò alla cintura e tirò fuori la torcia elettrica che usava così di rado. Il suo vivido raggio lo accecò per un attimo, ma subito lo abbassò mentre sbatteva le palpebre per scacciare le macchie luminose che gli danzavano davanti.

Poi Saul toccò la pietra, in preda alla meraviglia, la sua mano illuminata da quello stretto raggio luminoso, accarezzando dei contorni appena accennati ma chiaramente simmetrici. La sua voce si fece sommessa.

— È questo che Suleiman ha trovato, quando ha cercato la verità nel cuore della cometa. Questo…

Era una scoperta scientifica, e molto di più.

Era sbalorditivo.

Tracciò con le dita il profilo delle costole dell'antica creatura marina, fossilizzata nella roccia sedimentaria. Saul fissò il disegno di quella cassa toracica, la bocca semiaperta dai bordi ruvidi, spalancata come se fosse stata colta nel mezzo della caccia, pietrificata nell'attimo fuggente d'un famelico inseguimento… e seppe subito che la forma che stava toccando doveva essere più antica, enormemente più antica, dello stesso Sole.

Tutt'intorno a lui, l'incombente pressione di trilioni di tonnellate di roccia e neve non era niente, a confronto dell'improvviso peso degli anni.

CARL

Il respiro di Lani era come il leggero fruscio d'una spazzola di fibra sopra la ruvida pietra. Uno stanco guerriero sul morbido campo di battaglia pensò pigramente Carl. Si strinse a lei, come nel cavo di un cucchiaio, e lei scivolò all'indietro nel sonno, cercandolo. Era attraverso quei lievi gesti, all'apparenza inconsapevoli, che la gente finiva veramente per conoscersi, si disse. Era possibile nascondere molte cose, ma non l'elementare ricerca della carne per trovare conforto e intimità. La delicata iridescenza del sudore luccicava sulla fronte di Lani e le sue gambe si mossero, aprendosi a ventaglio, trovandolo. Poi si rilassò con un piccolo fremito, il suo sospiro divenne un respiro regolare, e ridiscese di nuovo nel sonno.

Carl si spinse via con delicatezza e galleggiò fuori dal letto. Era tempo di fare il suo giro, ma non c'era bisogno che lei si disturbasse.

Le gambe e le braccia gli ricordavano il travaglio del giorno prima, con una dolce, formicolante sensazione di dolore. Perfino nella gravità appena percepibile, adesso sentiva uno stiramento qui, uno stringimento là… ho perso il conto, ma devo aver superato di molto i quaranta pensò, mentre si lavava i denti. Lo specchio si mostrava d'accordo: delicate zampe di gallina che si diramavano dagli occhi, la mascella rugosa, le tempie ancora di più schiarite. Tutti distintivi dei vari turni di servizio. Durante gli ultimi trent'anni era rimasto sveglio quasi un terzo del tempo. Le crisi erano andate e venute, anche se nessuna aveva mai uguagliato i guai affrontati durante l'orbita verso l'esterno. Tutte le volte il vecchio Lazarus Carl ha rimesso a posto le cose. Si fece uno sberleffo allo specchio. E te ne hanno reso merito. Nessuno si è accorto che li hai semplicemente indotti a pensare ad alta voce fino a quando le risposte non sono apparse ovvie.

S'infilò una tuta azzurra pulita, assaporando la sensazione di freschezza di quel morbido tessuto prodotto in casa. Era sempre stato disordinato, accorgendosi di rado che i suoi indumenti erano sporchi fino a quando una casuale inspirazione non informava il suo naso. Era stato attraverso quei particolari esteriori che Lani aveva trasformato il suo mondo. Si dividevano con risolutezza e precisione i lavori casalinghi, cosicché nell'insieme non era che lui avesse meno lavoro da fare… eppure adesso tutto pareva in ordine, puntuale e pulito.

Sì, Lani mi ha civilizzato. Si chinò e le diede un tenero bacio. Lani mormorò qualcosa e affondò ancora di più nel suo cuscino, mentre lui usciva.

Adesso le gallerie erano più affollate, rispetto a qualunque altro periodo che riusciva a ricordare sin dall'inizio della Sgomitata. Durante tutti quei lunghi anni bui era rimasta soltanto una squadra si sorveglianza ridotta al minimo, anche se l'equipaggio sveglio era stato più numeroso di quello originariamente previsto, naturalmente, perché la sgomitata non era mai terminata. C'erano i tubi degli sfiondatori da lucidare e da riallineare, i lanciatori da equipaggiare con nuovi ammortizzatori e impianti per la messa a fuoco. Gli interventi per la manutenzione erano un guaio costante, a mano a mano che le parti si rompevano, o semplicemente si logoravano. I lanciatori del polo Nord avevano sparato fino all'ultimo minuto, finché il ghiaccio che evaporava verso l'esterno sotto forma di nuvolaglia di gas non aveva reso le operazioni impossibili. Erano stati costretti a fare così: il sorvolo di Giove aveva richiesto un grande cambiamento di velocità.

Adesso i lanciatori giacevano riparati nei loro pozzi, sepolti a trenta metri di profondità, in attesa della rinascita, giacché avevano altre pallottole da sputare verso le stelle; altra velocità da impartire… se qualcuno fosse sopravvissuto ai pochi mesi seguenti.