— Volevo presentarmi a rapporto — disse Cruz. — Non mi sono ancora completamente ripreso, ma sono sicuro che c'è qualcosa che posso…
— No, no, lei… riposi. Riposi e basta — si affrettò a dire Carl. Non si era reso conto che le rianimazioni si fossero spinte così in là. Qualcuno avrebbe dovuto avvertirlo! Cruz parlava con un lieve accento… il modo di parlare della Terra. — Signore, preferirei prestare servizio. Forse…
Carl scosse la testa: — Senta, capitano, non mi chiami signore. Sono Carl Osborn, lei forse si ricorderà di me. Sono uno spaziale. Io…
— Certo che la riconosco. Sono un po' al corrente degli avvenimenti dopo la mia morte — replicò Cruz con un fievole sorriso. — Ho letto il giornale di bordo. È incredibile… e credo che chiamarla «signore» sia assolutamente appropriato.
Carl rimase a fissare l'uomo per un lungo momento, non sapendo cosa rispondere. Malgrado la sua tormentosa malattia, Cruz pareva… giovane. Per niente stagionato. — Ho… pensato, signore, che, quando avrà avuto qualche giorno per riprendersi, lei potrebbe riprendere il comando.
Cruz fissò lo scorrere d'immagini e di dati sulla superficie d'una dozzina di schermi lì accanto. — Mi ci vorrebbero anni anche soltanto per capire ciò che sta accadendo. I vostri strumenti, le vostre tecniche, e… Venendo qui, ho visto una donna nel Pozzo Due che pareva un fungo volante.
— Quella è una strana, signore — spiegò Carl. — Vivono a circa due clic in fondo al Pozzo Due, nella loro propria biosfera.
— Ma quella roba verde… l'aveva perfino nei capelli!
— È un simbionte che trattiene i fluidi e accresce l'elaborazione dell'ossigeno… i particolari non li conosco.
Cruz scosse la testa. — Incredibile. Come ho detto, non ho la minima idea di come stiano le cose.
— Ma io speravo…
— Capisco — annuì Cruz, come colto da un'intuizione. — Adesso che siamo ritornati nel sistema solare interno, lei forse pensava che io potessi aiutarvi a negoziare qualcosa con la Terra?
— No, signore. Ci siamo resi conto che quello è un vicolo cieco. Io speravo soltanto… be', lei è il capitano!
Il sorriso di Cruz era remoto, come ripiegato su se stesso, quasi che stesse scrutando qualcosa di molto lontano. — Ero il capitano della Edmund, e per un breve periodo, mentre scavavamo le nostre gallerie qua dentro, dove ho anche vissuto un po'. Ma adesso Halley è essa stessa una nave. Ormai sono decenni che naviga agli ordini del suo vero capitano. Io… io sono soltanto un passeggero.
— No, signore, non è…
— Un giorno aspirerò a diventare un ufficiale di questa nave. Non il comandante, però. E non dimenticherò chi ha tenuto in mano la barra del timone per così tanto tempo.
Cruz gli porse la mano. Carl sbatté le palpebre, poi, lentamente, gli tese la propria e gliela strinse.
Per tutto il tempo aveva sperato che i wunderkinder di Saul potessero riportare Cruz alla vita. E adesso l'avevano fatto, proprio all'ultimissimo minuto… e dopotutto, non si era rivelata una panacea. Avrebbe dovuto capirlo da tempo. Cruz aveva ragione. Miguel Orlando Cruz-Mendoza non era più vecchio del giorno in cui era morto, ma Halley era stata profondamente trasformata nell'arco di settant'anni dalla mano di quell'artigliante, irascibile, beatamente ingegnosa e flagrantemente stupida forma di vita che era troppo cocciuta per restarsene a casa e scordarsi l'idea di cavalcare palle di ghiaccio nell'oblio.
Con suo vivo stupore, Carl si rese conto che stava già valutando il suo ex capitano, soppesando il suo posto potenziale fra i membri dell'equipaggio. Un uomo in gamba pensò. Lo metterò al lavoro.
Alcune ore più tardi era di ritorno da un'ispezione di alcune caverne adibite ad uso agricolo e dei nuovi idroponici modulari a spirale che stavano abilmente disponendo in maniera tale da estrarre il calore di scarto dovuto al riciclaggio dei liquami fognari, che venivano immessi dall'esterno grazie a una combinazione di coclee. Gli ultravioletti s'irradiavano da una discarica assiale di plasma freddo, e quelle piante gigantesche anelavano ad avvicinarsi ad essa spingendosi verso l'interno. Carl ammirava quell'impresa prometeica di rilocalizzare le cupole, trasferendole dalla superficie all'interno del nucleo, e stava tornando attraverso il Pozzo 4 quando un cramp lento e borbottante lo strappò dai suoi pensieri. Sembrava provenire dall'interno delle pareti stesse.
S'inserì nella sua linea privata: — Jeffers!
— Lo sto seguendo. Gli acustici lo stanno captando dappertutto.
— Un'esplosione?
— No, una caduta di pressione. Credo che sia arrivato dalla superficie.
Carl richiamò sul display, rapidamente, le telecamere che ancora rimanevano in funzione in superficie. La maggior parte mostravano trasparenti Niagara rovesciati, turbinanti sorgenti di vapore che s'innalzavano dal ghiaccio descrivendo lunghi archi sferzanti che si perdevano nel mutevole cielo velato. I raggi ultravioletti del Sole ionizzavano il gas. Poi la pressione del vento solare faceva volgere queste fontane verso l'esterno, incurvando quel flusso fino a fonderlo con gli spettrali nastri della chioma.
Al di sopra del lontano orizzonte un blocco di ghiaccio granuloso ruzzolava su se stesso, ad un chilometro di altezza nel cielo. Lì accanto si era spalancato un enorme foro frastagliato, esso stesso una sorgente di nuove sostanze volatili. Simili a serpenti, filamenti verde e rubino s'innalzavano da quella fossa, che si contorcevano incessantemente.
— Un rigurgito sismico? Oppure un tratto di ghiaccio amorfo che ha cambiato stato tutt'a un tratto.
Quando la crosta di ghiaccio stressata cedeva, poteva venir strappata via per intero. Ciò trasferiva di colpo il calore del sole su depositi più freschi, il che scavava nuovi canali e col tempo approfondiva ancora di più le crepe.
Jeffers disse: — Già. Pare proprio di sì. Virginia aveva ragione anche a proposito di questo.
— Aveva detto che non sarebbe successo molto spesso fino al momento del perielio.
— Oh, immagino che sia soltanto un assaggio.
Carl annuì fra sé e si spinse via. Passò accanto a gruppi di strani avvolti nella vegetazione verde e purpurea, i quali non prestarono nessuna attenzione alla sua presenza. Stavano controllando le vecchie chiusure ermetiche per accertarsi che non ci fossero intrusioni da parte della halleyforme primitive, che provvedevano comunque a raschiar via ed a sostituire con quelle mutate e amichevoli nei confronti degli umani, che erano state elaborate da Saul.
Più oltre incontrò due cloni di Saul che stavano costeggiando la galleria, sorreggendo delicatamente un decolombarizzato mentre lo conducevano in uno dei serbatoi più caldi. Annuirono in perfetta sincronia e gli gridarono: — Ne rimangono ancora una ventina di probabili.
Carl scoppiò a ridere.
Adesso erano adulti completamente sviluppati, con una propria mente. Facevano perfino gli stessi gesti e avevano lo stesso accento. Ma per qualche motivo non riusciva a pensare a loro se non come a dei sostituti di Saul. Il fatto che Saul fosse riuscito con successo a clonare se stesso, mentre il tentativo di duplicare gli altri membri dell'equipaggio era fallito, significava che quello strano adattamento simbiotico era cruciale. Era possibile che soltanto lui potesse venir copiato nell'ambiente di Halley. Così, durante quegli ultimi decenni, i multiSaul erano stati impagabili per la loro resistenza alle nuove affiliazioni casuali, e la loro curiosa disciplina interna. Saul aveva usato l'apparato di JonVon per il trasferimento della memoria, per instillare grossi frammenti della sua personale esperienza nei suoi cloni.
Ciò che aveva appreso avrebbe potuto permettere ad altri di allevare bambini naturali senza nessun timore. Sarebbe stato bello sentir trillare le risate infantili nei pozzi. Ma la lunga caduta verso il perielio aveva soffocato sul nascere qualunque idea del genere. Nessuno poteva sopportare l'idea che la promessa dell'infanzia potesse non sbocciare mai.