Le gallerie e i pozzi formavano degli eccellenti amplificatori acustici. A mano a mano che il ghiaccio sfregava e premeva contro le nuove frizioni, i gemiti echeggiavano fino alle profondità del nucleo, svegliando i dormienti, anche se di questi ce n'erano assai pochi, con l'ora cruciale sempre più incombente.
Con un tuffo che la portava più vicina di cinquanta chilometri ad ogni secondo, Halley si precipitava verso il suo antico nemico. Ogni passato incontro aveva spogliato la cometa d'uno strato si pelle di ghiaccio, ma adesso rombava tutta e si torceva sotto l'effetto di nuove forze che cercavano di frantumarla sull'incudine del suo Sole.
Virginia seguiva quella tempesta ululante e accecante attraverso i suoi occhi elettronici. A mano a mano che una telecamera moriva a causa delle raffiche pungenti di polvere e di plasma, lei ne dispiegava un'altra fatta uscire dalle cavità più profonde. Il Sole appariva il doppio più grande di come lo si vedeva dalla Terra. Ma dalla superficie non si vedeva nessun disco incandescente. Halley ruotava ma non si vedeva nessun sorgere del Sole. Invece una corona bianco-incandescente ribolliva in alto. Una chiazza di ardente luminosità segnava il punto dove il fiume che sgorgava dal Caldo incontrava la marea di ioni che esplodeva fuori da Halley, e la vittoria andava inevitabilmente al Caldo. Spezzati, ionizzati, i gas roteavano, venivano deflessi lateralmente e vorticavano intorno al piccolo mondo di ghiaccio come un sudario magnetizzato. Questa turbinante atmosfera non mostrava nessuna lealtà attraverso il suo genitore, ma si precipitava invece verso l'esterno.
Adesso le code gemelle di Halley si srotolavano attraverso uno spazio più esteso dell'orbita di Mercurio. Il contorto vessillo di plasma luminoso conteneva meno fluido di molti dei grandi stagni della Terra, ma la luce avvampante del Sole lo rendeva l'oggetto più visibile del sistema solare. Gli abitanti progrediti di una stella vicina avrebbero potuto captare le scintillanti cortine quasi dritte che sgorgavano dalla stella centrale. La coda di polvere, per contrasto, era una curva fascia rossastra, interrotta da sentieri bui, sfavillanti di sassi e granelli non più grandi d'un micron.
Ma coloro che calcavano la particella di ghiaccio genitrice non potevano vedere la più bella coda che avesse mai aggraziato una cometa in tutta la storia. A mano a mano che sfrecciava sempre più in profondità nel pozzo gravitazionale della sua stella, quella chioma ardente d'una luminosità insostenibile si allargava sempre più divorando l'intero cielo. Adesso accecata, Halley non poteva neppure vedere la sua nemesi. Il cielo era dovunque un bagliore.
Virginia aveva calcolato con grande accuratezza quell'effetto, giacché quella era la chiave. Se avesse permesso ad Halley di rimanere priva di rotazione, la faccia rivolta in permanenza al Sole sarebbe salita fino alla temperatura di quattrocento gradi, la temperatura che qualunque corpo solido avrebbe avuto a quella distanza dal Sole. Adesso osservava gli schermi sepolti a decine di metri sotto il ghiaccio che le indicavano il flusso del calore. A mano a mano che il calore filtrava sempre più in profondità, Virginia faceva ruotare più velocemente quel mondo di ghiaccio, per attenuare gii effetti della vampa del Sole, spandendoli nel modo più uniforme in tutti i suoi punti, consentendo al lato notturno d'irradiare verso la tenebra dello spazio.
Ma la tenebra si stava affievolendo. Ben presto la stessa atmosfera «estiva» della cometa cominciò a riflettere da ogni parte il bagliore del Sole sulla faccia in ombra di Halley, e le temperature aumentarono più in fretta mentre la cometa continuava a precipitarsi verso il perielio.
— Cosa te ne sembra? — Carl stava osservando gli schermi della Centrale con Lani al suo fianco. — Abbiamo già sparato via venti metri di ghiaccio! — proseguì, con veemenza. — Quanto tempo ci vorrà perché finiamo in pezzi?
Virginia avvertiva il suo crescente livello di conflitto. Era un uomo che risolveva problemi, e in quella grande crisi lui non aveva nessun ruolo. Come gli altri, era un passeggero impotente sulla propria nave.
— Siamo al sicuro — disse Virginia con un tono rassicurante, usando una serie di toni alti che rendevano la sua voce più ricca di quanto lo fosse mai stata l'originale.
— I sigilli dei pozzi?
— Intatti — garantì Virginia, esibendo delle panoramiche dei coperchi d'acciaio in punti che si trovavano duecento metri all'interno di ciascun pozzo. Al di là di essi, enormi tappi di ghiaccio sbarravano la strada al Caldo.
— Smettila di preoccuparti — disse Lani, con voce gentile, appoggiando una mano sulla spalla di Carl. — Tanto vale che ci godiamo lo spettacolo.
Più tardi, Virginia pensò a quanto fosse ironico il fatto che le parole di Lani fossero punteggiate da lunghi, rintronanti rombi che penetravano fin dentro la Centrale. La cavità sferica vibrava, crepitando. Pezzi di apparecchiature schizzavano via dalle loro mensole.
— Un crollo — annunciò Virginia, proiettando un'immagine sullo schermo centrale. Una massa mulinante di neve e di ghiaccio sembrava sgorgare dalle pareti di una galleria, cadendo con dolorosa lentezza.
— Maledizione! — esclamò Carl. — Dove?
— Il sito 3 C, come la nostra proiezione suggeriva.
— La pressione…
— Chiuso ermeticamente. Nessuna perdita. — Virginia analizzò il profilo della voce di Carl, e vi trovò un alto livello di tensione. Se soltanto avesse ascoltato un po' di più Lani…
La reazione umana fondamentale ad eventi di dimensioni così immani era quella di chiudersi a riccio.
Virginia aveva notato questo fatto durante gli ultimi giorni prima del perielio. I suoi mech vagavano attraverso quel labirinto di gallerie, saggiando il terreno alla ricerca di perdite o d'improvvise fontane di calore vagante. Di rado incontravano qualcuno. Perfino Stormfield Park era deserto, adesso, la giostra si era fermata.
Uomini e donne facevano il proprio lavoro, i propri turni di servizio, raccogliendosi nei pochi momenti liberi insieme a coloro che amavano, osservando il maelstrom sgargiante là fuori attraverso gli schermi. Jeffers aveva messo a punto un nuovo tipo di fibra ottica leggera che poteva sbucar fuori come un serpente da una cavità sepolta in profondità, riducendo così i rischi, ma anche così crepature e sfiatatoi continuavano ad aprirsi a causa dell'alta pressione, ed eruzione spontanee di fango schiumeggiante ricco di sostanze rosse inondavano molte delle stazioni di osservazione di Virginia.
Si era riservata un minuscolo frammento del nucleo di memoria come suo «ufficio». Lì, sedeva in mezzo ad un ronzare di macchinari, percependo il rassicurante strofinio d'una sedia, l'ammiccare delle luci delle consolle. Vorrei poter disporre di abbastanza nucleo per andarmi a fare una nuotata pensò. Posso sentire anche le mie stesse tensioni…
Come specie, rifletté, l'homo sapiens non aveva mai veramente varcato i limiti della tribù. La storia degli ultimi centomila anni aveva mostrato con quanta abilità e intelligenza aveva saputo adattarsi alle maggiori esigenze. Sotto la pressione della necessità avevano formato villaggi, città, nazioni. Eppure avevano riservato il loro vero calore e le più ferventi emozioni a una cerchia ristretta di amici e parenti. Erano pronti a morire per conservare la tribù, la famiglia, i vicini. Gli appelli per questioni più importanti funzionavano soltanto attingendo alle sorgenti più sottili e profonde.
Così, quel coro di tremori che si addensava sullo sfondo, il crepitio d'una parete che crollava, il borbottio basso e sgranato del ghiaccio sotto tensione, tutti questi suoni spingevano l'equipaggio a ritirarsi dentro se stessi. Non nella solidarietà, ma nella consolazione e nella rassicurante presenza fisica degli spaziali, o degli strani, o degli hawaiani, loro sodali. I simili cercavano i propri simili per quelle che avrebbero potuto essere le ultime ore. Salvo per una solitaria figura che di rado lasciava la Centrale.