Rabbia, frustrazione, disperazione: era arrivata a conoscerle come illuminazioni temporanee dell'anima individuale, lampi in un buio perenne. Gli esseri umani avevano un tempo di reazione che si era evoluto dalla necessità di cimentarsi, combattere, nutrirsi, fuggire. Non erano più condizionati dal lento oscillare dei mondi, più di quanto non lo fosse un'effimera dall'Impero Romano.
L'equipaggio di Halley si era abituato al proprio destino e lentamente, in maniera impercettibile, ognuno di quegli uomini e donne si era abituato a se stesso, ritraendosi nel proprio buco e nel proprio angolino umanocentrico. A Virginia piaceva affacciarsi alla loro scala temporale, osservare Angelique che cresceva a guizzi sorprendenti. A mano a mano che aumentava la fiducia nella nuova tecnica, altri erano andati ad aggiungersi al primo bambino, giocando in gallerie e pozzi virtualmente sgombri da halleyforme pericolose.
A mano a mano che Halley rallentava inerpicandosi fuori dal basso truogolo inclinato del pozzo gravitazionale del Sole, Virginia aveva distolto la sua attenzione dalla scienza, anche se continuava a raccogliere dati, a formulare teorie, a discutere con Saul e gli altri, movendosi verso questioni di portata maggiore.
Come un tempo aveva fatto Cartesio, anche lei si trovò costretta a farlo. Si chiedeva cosa avrebbe potuto dedurre dai princìpi di base. Cogito, ergo sum? Ma chi era l'Io che aveva fatto questa affermazione?
Per usare il gergo della scienza, lei era un nuovo phylum, non più un vertebrato, ma biocibernetico. Lei era un matrimonio fra l'organico e l'elettronico, con un tocco di consapevolezza sapiente. Secondo una definizione rigorosa, un phylum avrebbe dovuto emergere dall'evoluzione tramite la selezione sessuale e la speciazione dei geni. Ma una volta comparsa l'intelligenza, quel processo lungo eoni diveniva fuori moda. Un nuovo phylum poteva emergere e svilupparsi per progettazione.
La Virginia che adesso risiedeva nelle sinapsi raffreddate e nei dispiegamenti olografici non era più strettamente umana. Però aveva ancora una miriade d'impronte e difetti, sfaccettature e pecche umane. Non poteva ignorare le contrarietà di Saul e Carl e Jeffers e Lani più di quanto non poteva dimenticare la propria giovinezza e il rude affetto di suo padre.
Eppure era di più. La gioia che provavano Carl e Lani le faceva sentire un'occasionale fitta di dolore; e la malinconica nostalgia di Saul per il suo corpo fisico era un'autentica afflizione. Ma malgrado capisse e sentisse tutto questo, arrivava a vederlo come una sottosezione dei problemi molto più grandi che adesso si trovava ad affrontare. Quella gente fragile era legata al vero scorrere della vita che le leggi della selezione naturale avevano decretato, la loro morte era scritta nelle loro ossa. Perfino Saul, il suo compagno nell'immortalità, cavalcava la marea ormonica. Essi sentivano profondamente i problemi inerenti alla morte e vi riflettevano sopra.
Nella nube di Oort orbitavano sotto lo splendore delle stelle fisse un trilione di nuclei cometari, più territorio di quanto ne fosse mai stato promesso ad una qualsiasi banda di straccioni erranti. I coloni avrebbero avuto Carl come il loro Giosué, un'ironia che indubbiamente era già venuta in mente a Saul, e sarebbe stato lui a condurli innanzi.
Ma anche se Virginia li avesse aiutati a badare ai loro bisogni meglio che poteva, essa aveva anche il proprio unico destino come la prima d'una nuova specie.
Se lei rappresentava un nuovo phylum, la prima legge doveva essere la sopravvivenza. Era per questo che adesso considerava l'attacco dalla Terra come un risultato fortunato e non voluto della stupidità dell'umanità. La Terra avrebbe potuto averla, avrebbe potuto vincere le proprie paure e accogliere il nuovo phylum. Ma adesso lei era imbarcata su un nuovo corso, un corso che alla fine sarebbe andato a suo vantaggio.
Aveva bisogno di tempo per pensare. Per esplorare.
La vecchia specie dell'Homo Sapiens sulla Terra si sarebbe inevitabilmente diffusa, prima dentro il sistema solare, poi forse oltre. Avevano già mostrato la loro ostilità alle stranezze racchiuse nei mondi di ghiaccio. Ci sarebbero voluti secoli prima che i loro timori si acquietassero.
Virginia sapeva, anche se il suo bagaglio umano non lo sapeva, che non ci sarebbe mai stato un ritorno al regno del Caldo. Le società umane, una volta sviluppatesi in maniera separata, possono assai di rado incontrarsi di nuovo in termini amichevoli e su un piano di parità. Assai peggio, per due distinti phylum.
La mente, quell'oceano in cui ogni razza trova subito la propria rassomiglianza; eppure crea, trascendendo questo, lontana, su altri mondi, su altri mari.
Aveva tempo per la poesia, per interminabili bizantini sentieri di contemplazione. Le pareva perfino d'intravedere il modo in cui tutto avrebbe dovuto essere, quando avessero raggiunto la grande nube di mondi che li attendeva là fuori.
Adesso, le specie umane avrebbero avuto un destino diviso, fili che avrebbero dovuto progredire un po' lungo percorsi separati. Ci sarebbero stati meno dolori, se si fossero tenuti in disparte.
Valutò la probabile evoluzione della nuova specie dell'Uomo di Carl Osborn, e del proprio phylum, e rimase soddisfatta. La riproduzione, l'adattamento, quei problemi erano immensi, ma lei si sentiva all'altezza della situazione.
E in quanto all'Umanità Planetaria… Stando ai suoi calcoli, il nuovo phylum e la vecchia specie non si sarebbero più incontrati per quattromila anni. Bene. C'era tempo in abbondanza per pensarci.
RINGRAZIAMENTI
Questo romanzo è stato scritto sulla base delle migliori informazioni disponibili all'epoca, sulle comete in generale e sulla cometa di Halley in particolare. È stato creato nella consapevolezza (e speranza) che il successo delle sonde inviate ad incontrare Halley nel 1986 e le osservazioni internazionali condotte su questa cometa moltiplichino enormemente le nostre conoscenze su questi affascinanti residui della creazione. Se dovesse risultare che alcune di queste nuove informazioni possono invalidare qualche premessa della nostra storia, speriamo che il lettore almeno ci accrediti il coraggio di averla scritta. Sentivamo di dover raccontare questa storia adesso, per onorare un inviato interplanetario le cui visite sono così ben sincronizzate da avvenire una singola volta nella vita di un uomo.
Gli autori desiderano ringraziare quegli esperti che hanno loro prestato assistenza, compresi i professori Mike Gaffey, John Lewis, John Cramer, Bert King, e Karl Johannson, come pure il dottor Ray Newburn del JPL e il dottor Eric Jones dei Los Alamos Lbs.
Il dottor Donald Yeomans del JPL e il dottor Neal Hulkower del TRW Inc. ci hanno aiutato nei problemi della meccanica orbitale. Vorremmo inoltre ringraziare Anita Everson, Joan Abbe, Sue Roberts, Dan Spadoni, Nancy Grace, William Lomax, Bonnie Graham, e Diane Brizolara. Karen e Poul Anderson e Astrid e Greg Bear sono stati ugualmente molto cortesi nei nostri confronti.
Louis d'Amaria e Dennis Byrnes del Jet Propulsion Laboratory hanno contribuito a smuovere la trama con i loro meravigliosi calcoli sugli incontri planetari. A ciascuno di loro andranno una cena e una bottiglia.
E come sempre, Lou Aronica della Bantam Books è stato comprensivo delle necessità di autori che stavano sgobbando pungolati da scadenze «astronomiche».
Saremo molte cose, nel futuro. Ma non cesserà mai di esserci bisogno di coraggio.
David Brin e Gregory Benford
settembre 1985