Malenkov ammiccò più volte, colto di sorpresa dalla collera di Quiverian. Saul sapeva che Nicholas aveva poche opinioni politiche. Era una delle persone più brillanti che Saul avesse mai incontrato, ma quell'uomo non pareva mai voler capire che per certa gente un disaccordo non era una partita a scacchi, né uno sport per gentiluomini; sotto questo aspetto era un russo assai poco russo.
Saul tentò ancora una volta di farli smettere. — Joao! Nick stava soltanto parlando di possibiltà. Fra trent'anni la Terra avrà avuto il tempo per decidere…
Ma l'infuriato brasiliano non l'ascoltava più. La mano sinistra di Quiverian stringeva la lunga carota col suo contenitore, e la sua mano destra si strinse formando un pugno. — Siamo appena emersi dal più terribile secolo della storia umana… il peggiore del nostro mondo sin dall'olocausto del pleistocene… e adesso ci sono degli idioti che vogliono mandare delle gigantesche palle di ghiaccio ad abbattersi sui pianeti?
— Non ho mai detto…
Quiveran avanzò minaccioso verso Malenkov. — Mi dica, dottore, quanto tempo ci vorrà prima che il bersaglio non sia Marte, o Venere, ma la Terra?
Le sue braccia tagliarono l'aria per dare enfasi alla frase, cosa assai poco saggia da farsi alla debole pseudogravità. Quiverian agitò le braccia per recuperare l'equilibrio e il lungo tubo andò a infrangersi sul ripiano del bancone, spezzandosi con uno schiocco assordante. Ghiaccio scuro, bruno, solcato da vene bianche e nere, si riversò sulla superficie.
— Idiota! Goyishe kopf! — Saul agguantò il brasiliano prima che la sua testa colpisse la grossa struttura del microscopio. Si girò in fretta e indicò la gente che si accalcava alla porta.
— Tutti voi, fuori! Chiudete quel boccaporto e attivate il sigillo dell'aria. Nick, Joao, andate a prendere le maschere!
Poi spinse Quiverian verso l'armadio con le attrezzature di emergenza, alla parete. Muovendosi rapidamente, afferrò un contenitore di plastica per il riciclaggio e lasciò cadere il suo fascio di tabulati arrotolati sul pavimento. Quando Malenkov tornò, allacciandosi una piccola maschera sul viso e porgendone un'altra, Saul stava spazzando via dal pavimento i frammenti di ghiaccio che stavano rapidamente fondendo, versandoli dentro la vasca.
La voce del russo suonava ovattata: — La tua maschera, Saul! Mettitela.
Saul scosse la testa e continuò a lavorare. Aveva una fiducia totale nei piccoli simbionti presenti nel suo sangue, nella loro abilità per proteggerlo dai cianuri e da altri veleni cometari. Sarebbe stato meglio, sì, che lo facessero, altrimenti la colonia non avrebbe durato a lungo all'interno di Halley. In quel momento lo preoccupava di più impedire la contaminazione degli altri campioni che il pericolo che lui stesso stava correndo.
I frammenti sparpagliati intorno parevano esalare un aroma gradevole… qualcosa che vagamente rievocava in lui i boschi di mandorli sul lago Kinneret, in Galilea, durante la primavera.
— La mia carota! — urlò Quiverian, quando fu di ritorno, armeggiando con la propria maschera. — Cosa stai facendo, ebreo impiccione? Quello era il campione più profondo che avevamo raccolto!
Saul spazzò via gli ultimi frammenti, buttò anche la spugna nella vasca, e ne chiuse ermeticamente il coperchio. C'erano quasi un trilione di tonnellate di ghiaccio là fuori, dentro Halley, pronte a venir studiate. Quella perdita non era una tragedia scientifica.
— Oh, ma non è vero, Joao — disse Malenkov, rassicurante. Il massiccio russo esaminò i tubi autoraffreddanti sul bancone. — Diamine, soltanto un'ora fa il mio compatriota, Otis Sergeov, è tornato con una nuova carota, presa a un chilometro di profondità dentro Halley. Vediamo se mi riesce di trovarla qui in mezzo.
— Sergeov! — imprecò Quiverian. — Quel mutante percell fanatico? Oh, numi! C'erano tanti bravi planetologi che avrebbero potuto venire con noi! Perché, oh, perché mi hanno accollato simili assistenti: un colossale russo sciocco, un percell senza gambe, e uno stregone genetico!
Malenkov scrollò le spalle e rispose amabilmente come se fosse la più ragionevole domanda del mondo: — Immagino che tu debba sopportarci perché quegli altri tizi non sono venuti, Joao.
Saul chiuse gli occhi, e se li coprì con le mani.
— Già! — Quiverian si lanciò verso la porta ignorando il segnale giallo di allarme per l'aria, e si aprì la strada tra la folla lì fuori.
— Ma cos'è mai che lo rode? — chiese Malenkov a Saul, dopo che la porta si fu nuovamente chiusa con un sibilo. Corrugò la fronte. — Saul? Cosa ti succede? Stai male?
Saul finalmente si scoprì gli occhi. Erano pieni di lacrime.
— Saul? Amico mio, io…
Saul picchiò sulla consolle, lì al suo fianco, e scoppiò in una fragorosa risata, incapace di contenersi ancora.
— Joao ha ragione — dichiarò, asciugandosi gli occhi. — Decisamente, la cometa di Halley merita di meglio. Ma dovrà sopportarci.
Saul non rimase sorpreso, un po' più tardi, quando arrivò un ufficiale a indagare sul ghiaccio versato. Ma neppure sbatté gli occhi quando fece il suo ingresso il tenente colonnello Suleiman Ould-Harrad, con un blocco d'appunti in una mano e un rilevatore di tracce di gas nell'aria nell'altra. Il mauritano dalla pelle scura era l'ultima persona che Saul si sarebbe aspettato.
La specialità di Ould-Harrad erano i grandi, enormi sistemi di sopravvivenza, del tipo che stavano installando su Halley proprio adesso. Ma doveva essere stato l'unico ufficiale disponibile al momento per indagare sull'incidente.
Tutti erano a conoscenza del motivo per cui Ould-Harrad partecipava a quella missione. Il giovane ufficiale aveva avuto degli amici nella Congiura del Temple Mount, e soltanto i legami che aveva avuto con la famiglia reale centroafricana gli avevano consentito di cavarsela con l'esilio invece che con la prigionia per il crimine di associazione sovversiva.
Durante gli ultimi tre anni il mauritano non aveva detto più di dieci parole a Saul. Quella cortesia era stata ricambiata.
La Terra è molto lontana alle tue spalle ricordò Saul a se stesso. E niente può cambiare il passato. Si fece da parte. — Entri, colonnello. Ho già dettato un rapporto sull'incidente. Proceda pure e dia un'occhiata intorno, mentre io le preparo una fotocopia.
Ould-Harrad pareva a disagio mentre seguiva Saul dentro il laboratorio, le sue ampie narici si allargarono nel percepire il debole odore dei gas cometari liberati. I suoi occhi continuavano a guizzare sugli indicatori dello strumento. La sua cupa espressione pareva ben poco rallegrata dall'ovvia buona salute di Saul.
— Dottor Lintz, non avrebbe dovuto rimanere qui dopo che era stato dato l'allarme.
Saul batte la mano sullo schermo d'un estensore. — Sì, sì, lo so. Ma qualcuno doveva pur rimanere a pulire. Comunque, tanto valeva che io fossi la prima cavia. È giusto che sia io ad offrire ai cianuti che abbiamo nel sangue la loro prima prova sul campo, no?
La consolle sputò fuori una scheda di dati. Saul la contrassegnò col proprio nome in codice. Sorrise a Ould-Harrad. — Se dovessi morire, tanto vale che tutti si arrampichino dentro le capsule ibernanti ad aspettare qualche secolo che ci raccolgano, perché questa spedizione sarebbe finita.
L'ufficiale annuì seccamente, accettando la logica. — Comunque ci sono norme… procedure concepite per la sicurezza e l'ordine collettivi.
Saul buttò all'ufficiale la scheda con i dati, ed ebbe una risata alquanto agra.
— Sicurezza e ordine, certo. Come le ricordo bene, queste parole. Il generale Lynchon non ha forse usato quest'identica frase quando le truppe dell'ONU sono penetrate fra le colline della Giudea?