Il suo mech terminò la lenta ispezione della superficie mentre l'imboccatura del Pozzo 2 compariva alla vista.
Piena di cicatrici, graffiata e cosparsa di spazzatura, la regione polare settentrionale non assomigliava per nulla ai resti originari della creazione. Casse di materiali di scorta giacevano ancorate al ghiaccio oppure legate sotto «tende» di fibratessuto, in attesa di venir utilizzate più avanti. I rottami erano sparpagliati dappertutto.
Più lontano, svettavano alte sei piramidi scure fatte dei residui estrattivi dagli scavi dei pozzi, sommariamente separati in mucchi di minerali grezzi di antichissima origine ricchi di ferro-nikel, platino e iridio, e di fanghiglie carbonacee… molto simili alle sabbie bituminose della provincia canadese di Alberta. A una certa epoca, molto più avanti, quando lei sarebbe già stata in animazione sospesa, l'equipaggio di turno avrebbe cominciato a trattare quei mucchi traendone delle cose utili, ad esempio gli alloggiamenti dei propulsori a gas cometario.
Per riportarci di nuovo a casa. Non per la prima o l'ultima volta si chiese come sarebbe stata la Terra al loro ritorno. Se tutti i loro grandiosi progetti sarebbero risultati validi. Le Hawaii, la Terra, sarebbero state riconoscibili? Più amichevoli? Oppure sarebbe stato un mondo alieno, alterato al punto da essere irriconoscibile?
Uhm. Grazie al cielo in questo momento aveva fin troppo da fare, altrimenti sarebbe stata tentata di registrare quei pochi versi scadenti. Comunque, forse, avrebbe potuto tirarne ugualmente fuori qualcosa.
DEVO IMMAGAZZINARLI O CANCELLARLI, VIRGINIA?
Trasalì, poi subvocalizzò in fretta, JonVon, pensavo che te ne fossi andato. Quelle erano riflessioni private.
RIFLESSIONI PRIVATE — MEDITAZIONI — FANTASIE…
Basta! E JonVon si azzitti subito.
Irritata, Virginia riprese il controllo dei propri pensieri e si concentrò per manovrare il mech e riportarlo verso il suo ambiente di lavoro. Le zampe da ragno ruotarono una per volta. Le vibrazioni superficiali si traducevano in suoni, cosicché lei «sentiva» i piedi del mech che calpestavano la polvere scura facendola scricchiolare.
Qui, durante le prime fasi del lavoro, era stato prodotto tanto di quel vapore che una consistente porzione si era nuovamente condensata, invece che sfuggire nello spazio. Una neve sfavillante si era ricongelata in pochi istanti intorno ai condotti di sfogo del calore e dei gas che uscivano dalla Centrale. Ampie colate iridescenti si erano riversate intorno all'imboccatura del Pozzo 2.
La stessa camera di equilibrio era qualcosa di più di una struttura tetra e funzionale. Ben lungi da questo, Virginia la vedeva come un'opera d'arte. Supporti strutturali erano stati modellati in pressofusione formando alti archi fatati. Gli ancoraggi alla base parevano pugni nodosi che rinserravano l'antichissima materia di cui era fatta Halley.
Soltanto poche parti essenziali erano costituite da prezioso metallo raffinato, recuperato dalle navi automatiche di trasporto. I supporti e il corpo dell'edificio erano stati abilmente scolpiti dalla cristallina acqua ricongelata.
Era uno dei motivi per cui a Virginia piaceva lavorar fuori, al Quadrante 2, dove Jim Vidor aveva avuto il comando della squadra da costruzione. Quell'uomo era un artista.
— Costruiamo meglio quando siamo costretti a improvvisare — disse sommessamente tra sé Virginia.
Un'onda portante si inserì, subito seguita dalla voce di una donna:
— Cos'era, Virginia? Hai detto qualcosa?
Virginia girò la testa un po' troppo in fretta, inducendo il mech a ruotare goffamente mentre si sforzava di seguire i suoi movimenti. Finalmente una figura magra, in tuta spaziale, comparve nel campo visivo di Virginia, in piedi sopra una fila di figure scure legate al ghiaccio.
— Oh, mi spiace, Lani: stavo soltanto ammirando quello che Jim e i suoi ragazzi hanno fatto, fondendo e scolpendo questa camera di equilibrio.
La tuta spaziale di Lani Nguyen era stata alleggerita dalla pesante armatura, adesso che l'estate era passata e non c'era più pericolo che improvvisi getti di gas scagliassero fuori con violenza schegge di roccia. Una sorta di cotta in panno bianco copriva la tuta all'altezza del petto riproducendo la testa d'un unicorno sorridente, un simbolo che avrebbe consentito a quelli che lavoravano troppo lontani e non potevano guardarla in viso d'identificare Lani. In quel momento, comunque, il sole a picco si rifletteva sul suo visore opaco nascondendo i suoi morbidi lineamenti afro-asiatici.
— Sì, è grazioso. Ma non del tutto sicuro, a mio avviso. Al prossimo turno, Jeffers dovrebbe tirar fuori i macchinari della fabbrica e cominciare a lavorare un po' di quel ferro e carbonio ammucchiati là. Dormirò assai più tranquilla nel mio loculo sapendo che c'è un'autentica fibra-antitensione quassù, che tiene dentro l'aria.
Virginia sospirò sommessamente. — Sì, suppongo che tu abbia ragione. Ma spero ugualmente che lascino qualcuna di queste strutture di cristallo al loro posto. Sarebbe un peccato se lasciassimo soltanto cicatrici su ogni centimetro di questo piccolo mondo.
Sentì Lani sbuffare, ma con cortesia, senza nessun altro commento.
Virginia sapeva che per uno spaziale i discorsi sulla «conservazione della natura» non erano altro che una forma di luddismo. Andava benissimo cercare di salvare quello che rimaneva sulla povera e svuotata Terra, ma applicare quelle idee alle vaste risorse che si trovavano là fuori per gli spaziali era segno di ottusità.
Stupidi o no che fossero, comunque, una grande maggioranza di terrestri la pensavano così. E Virginia non era ancora sicura se essere o no in disaccordo.
Riportò il suo mech accanto al mucchio di apparecchiature e aiutò la ragazza ameroasiatica a scaricare una nuova cassa di rivestimento per gallerie in fibratessuto. Carl Osborn sarebb; salito fin lassù tra non molto per lavorare insieme a Lani su un nuovo collegamento fra il Pozzo 2 e il Pozzo 1. Lani aveva chiesto a Virginia di salire, per mech interposto, naturalmente, per aiutarla a montare un voluminoso mech autonomo in vista dell'imminente operazione.
Questo mio mech funziona davvero benissimo pensò Virginia. Il modello era certamente in gamba quel che bastava ad eseguire gli ordini di Lani senza il mio controllo diretto. Mi chiedo quale sia stata la sua vera ragione per chiedermi di essere presente quassù.
Insieme spinsero la cassa verso il portello spalancato della camera di equilibrio, fornendo il sostegno della punta delle dita per quel voluminoso carico soggetto soltanto alla debole attrazione del nucleo di Halley. Fu allora che Lani parlò di nuovo, con voce volutamente disinvolta.
— Fintanto che sei quassù, Virginia, voglio ringraziarti per avermi aiutato a fare il Primo Turno.
Virginia trasalì, e fece quasi cadere la sua estremità della cassa mentre la stavano calando fino al pavimento della camera di equilibrio.
— Uhm… sei la benvenuta, Lani. Non… non credo di aver cambiato troppo le cose, comunque.
Questo era certamente vero. Tre settimane prima, mentre cento fra uomini e donne, temporaneamente risvegliati, si aggiravano intorno come formiche che si preparassero al lungo inverno, Lani aveva accennato qualcosa a Virginia circa la possibilità d'influenzare gli elenchi degli addetti ai vari turni. Lei avrebbe voluto rimanere sveglia per il primo periodo di un anno e mezzo, dopo che quasi tutti gli altri fossero stati raffreddati.