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— Non… non c'è niente di così speciale in me. Mi piaceva lavorare nello spazio. È la mia vita. Proprio come per te.

— Abbiamo molto in comune.

— Sì, è vero.

— Durante i lunghi turni che passeremo insieme, forse… — Il suo sguardo ondeggiò.

— Senti, penso un gran bene di te, Lani.

— Ne sono felice. — Ma il suo volto aveva perso la sua espressione pensosa, concentrata. La sua certezza stava svanendo. E non c'è una sola maledetta cosa che tu possa fare in proposito pensò Carl. Non c'è niente che mi consenta di darle la risposta che vuole.

— Ma, voglio dire, io non… davvero… non penso a te in quel modo.

Lei s'irrigidì. — Oh.

Non è che riesca a parlare di questo meglio di me. Non afferra le mie allusioni, è così devo usare un'estrema franchezza, e questo le fa male, dannazione. — Sei una splendida compagna di squadra, è sicuro come l'inferno che lo sei.

Le sue lunghe ciglia sbatterono parecchie volte. L'ampia bocca sottile si torse addolorata. — Grazie.

— Oh, Dio, non intendo… non intendo respingerti, o qualcosa del genere.

— No, non devi preoccuparti. Stai dicendo la verità, come devi fare.

— Sei anche attraente, sul serio. Non intendo niente del genere.

Adesso che ci pensava, Lani era davvero bella. Con un turno di dodici mesi davanti a sé, pensa di accoppiarsi. Tutti ci avrebbero pensato. Comunque, lui aveva sempre pensato a lei come a una compagna di lavoro, e niente più. Perché?

Per qualche motivo lei, semplicemente, non era il suo tipo. Nessuna attrazione immediata, nessun lampo.

Oppure si trattava di un'abitudine che aveva preso, di respingere quasi tutte le donne, se non lo colpivano immediatamente? Carl evitò lo sguardo di Lani, tirò una succhiata dal suo tubo di alimentazione. Perfino durante le sue vacanze sulla Terra aveva sempre cercato di mantenere i suoi affari sentimentali chiaramente definiti. Ai terricoli piacevano i «cafoni» dello spazio; c'erano un sacco di farfalline pronte a precipitarsi, d'intromettitori e così via… Era facile far sapere in giro che eri interessato a un paio di settimane di sesso e di risate e di divertimento al sole. E basta. Qualche volta, sì, era stato tentato di conservare il numero di una donna, per darle un colpo di telefono la volta successiva che si fosse trovato giù… Ma una volta tornato in orbita, e riafferrato dall'ambizione, non ne aveva più fatto niente. Non aveva mai telefonato.

L'occasione favoriva la mente preparata, come diceva il vecchio cliché, ma l'occasione nello spazio favoriva anche l'anima senza impegni. Se si presentava la possibilità di una lunga missione, quelli che avevano famiglia trovavano difficile andarci. E il Consiglio per l'Analisi Psicologica prendeva questo in considerazione, abbassando il vostro punteggio. Anche se sostenevano che non era così, tutti conoscevano la verità. Tutto questo entrava nei loro calcoli. E infatti, Halley, la grande possibilità, si era presentata, confermando quella strategia.

Inoltre Lani era una ortho. Gli uguali avrebbero dovuto sposare gli uguali.

E Virginia… lei era intelligente, sexy, e una percell. Piena di vitalità, se era per questo. Meglio rimanere con quelli della propria razza. Salvo per le vacanze sulla Terra, aveva seguito questa politica da quando la sua libidine adolescenziale si era esaurita e aveva avuto effettivamente il tempo di pensare. C'erano abbastanza donne percell nello spazio da tenerlo occupato.

Per quanto avesse cercato di porsi in posizione intermedia nel conflitto ortho-percell, la sua vita personale era qualcos'altro. E pur essendo avveduto da parte di un percell sostenere che erano tutti uguali, ciò non significava che lui potesse ignorare la natura umana. Era sicuro che, anche dopo che la stupidità dei governi ortho sulla Terra avesse fatto il suo tempo, alla fine la razza umana avrebbe dovuto dividersi. Gli ortho sarebbero sempre stati con i nervi a fior di pelle nei confronti dei percell, questo era naturale. Meglio che le due razze tenessero le distanza, facendo dello spazio un dominio riservato soprattutto ai percell. Gli incroci non avrebbero risolto niente, sarebbero serviti soltanto a peggiorare le cose.

— Non c'è nessuna ragione per cui non possiamo lavorare insieme, essere amici. — Le porse una mano guantata.

Lei l'afferrò stringendola con forza. Attraverso al sua pelle-tuta azzurra avvertì in lei un intenso, struggente desiderio. Il suo corpo rivelava ciò che il suo volto aveva nascosto. Delicatamente, si liberò dalla stretta della sua mano.

— Io… avevo sperato.

— Ca… capisco…

— Non saremo in molti svegli durante ciascun turno.

Carl corrugò la fronte. — Già. Dovremo decidere la rotazione.

— Sì, sarà necessaria… una discussione pubblica. — Tirò su col naso, fece per sfregarselo con la mano, e si fermò quando il guanto toccò il casco. Dovette usare il pigliagocce dietro alla piastrina di glassite. — Io…

Carl si sentì infelice. Che lei si mettesse a piangere per causa sua, quando lui non aveva mai neppure pensato a lei in quel senso. Odiava cose del genere, quando scopriva di essere stato stupido senza neanche saperlo. Come se la gente fosse sintonizzata su frequenze che voi non ricevete.

Al di sotto di questa costernazione c'era anche una piccola corrente di orgoglio deliziato. I vecchi comportamenti erano ancora abbastanza forti da indurre un uomo a provare una piacevole sorpresa davanti a una dichiarazione inaspettata. Non l'avrebbe mai detto a nessuno, naturalmente, ma forse, fra molti anni, avrebbe potuto accennarne a Virginia…

Lani tirò su un'altra volta col naso. Chiuse gli occhi e sternuti con forza, il tciùuuu! trasmesso all'esterno gli tuonò quasi dolorosamente negli orecchi.

Si riprese, sbatté le palpebre, e fissò con sguardo ottenebrato il suo sfavillante palazzo di cristallo, indifferente adesso alla sua bellezza.

Addolorato, Carl si rese conto che non aveva affatto pianto per lui. Aveva già accantonato il suo approccio fallito e si stava concentrando su faccende più immediate.

Lani, semplicemente, era raffreddata.

SAUL

Saul si soffiò il naso e mise via rapidamente il fazzoletto.

Le frenetiche settimane dell'insediamento della base si erano smorzate in quelle lunghe, vuote e tranquille attese del Primo Turno di guardia. E mentre quel suo dannato raffreddore non accennava a volersene andare, si trovò ad evitare sempre più Nicholas Malenkov e gli scettici esami medici del grosso russo. Saul sapeva che era soltanto questione di tempo prima che Malenkov dicesse qualcosa sul suo perpetuo tirare su con il naso.

Non era certo di ciò che Nick avrebbe fatto se non fosse guarito presto, ma Saul non aveva nessuna intenzione di farsi cacciare in qualche loculo. Almeno, non per un bel pezzo ancora. C'era, semplicemente, troppo da fare.

Si pizzicò la radice del naso. In quel periodo, quelle momser di antistamine lo tenevano in uno stato di perpetuo ottundimento, ma lui, in realtà, non poteva farci proprio niente.

Saul sbatté gli occhi guardando le pareti color pastello del salone privo di gravità, concepito per accrescere le anguste attrezzature ricreative della ruota centrifuga. Era una scena vuota e spoglia. Salvo per poche sedie e armadi, l'unica area completata di trovava là, accanto all'autobar. Ci sarebbero voluti anni prima che il salone assomigliasse in qualche modo al progetto previsto dal Grande Disegno.