Non ho mai fatto niente del genere prima d'oggi mentre ero collegata. Pensò all'ondata crescente di sensazioni. Mi chiedo cosa avrà da dire JonVon.
Sopra di loro, senza che vi prestassero attenzione, la simulazione era rimpiccilita ancora di più, fino a comprendere l'intera parete di argilla impregnata di sali e le ramificazioni luminescenti della corrente elettrica.
Forme luminose avevano cominciato ad emergere dalle fenditure color ruggine. Svolazzavano intorno nel torrente caldo, adesso rivestite e coronate contro quelle martellanti molecole, per avventurarsi in un mondo multicolore, consumandosi le une con le altre, crescendo, e producendo piccole repliche di se stesse.
CARL
A tutta prima pensò che non fosse niente d'importante.
Carl ripulì via la poltiglia verde e bruna dai condotti di distillazione e proseguì oltre. La zona di raccolta del gas del Pozzo 3 era una lunga galleria buia, i suoi fosfori davano ad ogni cosa una tinta verde tiglio.
L'impianto pareva a posto: i motori magnetici ronzavano, le condutture gorgogliavano, un odore di uova marce proveniva dai composti solforosi. Qui si condensavano gli eccessi di vapore provenienti dalle molte miglia di gallerie che adesso perforavano il nucleo di Halley. Bioinventario mostrava un surplus di fluidi utili e parlava della possibilità d'immagazzinarli. L'evaporazione sarebbe probabilmente diminuita a mano a mano che i ghiacci più volatili fossero stati usati, e inoltre ci sarebbe stata una minor attività generatrice di calore durante la lunga crociera verso l'esterno. Pareva che ogni cosa andasse dannatamente bene.
Ma c'era una cosa marrone e appiccicosa nei filtri. Merda. È dappertutto. Carl la pulì via cautamente con un getto d'acqua e sciacquò il suo secchio coperto dentro il condotto diretto verso l'esterno. Una vaporizzazione a senso unico che andava a scaricarsi direttamente nello spazio aperto.
Quella fanghiglia dall'aspetto così singolare non avrebbe dovuto trovarsi lì. I prefiltri avrebbero dovuto eliminare la roba grossolana e setacciarla per recuperare i solidi utili. Quei filtri avrebbero dovuto catturare le impurità e cristallizzarle.
Forse c'era qualcosa di speciale in quella particolare sostanza appiccicosa. Carl riempì un barattolo per la raccolta di campioni, i tizi del laboratorio biologico brontolavano incessantemente perché gli venissero forniti esemplari di qualcosa di strano. Con un calcio Carl si allontanò verso il colombario 1. Malenkov dovrebbe dare un'occhiata a questo.
Nel passare attraverso la grande camera di equilibrio per entrare nel Complesso Centrale, Carl si rese conto di sentire la mancanza di Jeffers. Adesso l'equipaggio dei fondatori si trovava al sicuro, al completo, addormentato nei suoi loculi, rendendo le cose un po' troppo solitarie per quelli del Primo Turno. Il capitano Cruz l'aveva nominato sottufficiale anziano, il che significava che lui doveva, semplicemente, andare in giro più degli altri a controllare… ma, insomma, questo pur piccolo onore gli faceva piacere.
Comunque, a lui piaceva lavorare da solo, planando con fluida agilità attraverso le camere di equilibrio e i pozzi in compagnia di Bach o Mozart che s'insinuavano attraverso i suoi orecchi. Forse sono un eremita per natura pensò. Mi chiedo se gli specialisti addetti alla selezione dell'equipaggio abbiano potuto accorgersene attraverso i loro test psicoinventarianti. In quegli ultimi giorni non aveva visto praticamente nessuno.
Quando entrò attraverso il portello di poppa delle Scienze della Vita, la prima cosa che sentì fu una conversazione a voce alta e alterata:
— Vai dentro adesso! Non intendo scendere a compromessi! — si fece udire la voce bassa e rauca di Nicholas Malenkov.
Carl girò l'angolo e trovò il medico russo intento a discutere con Saul Lintz nel corridoio. Virginia Herbert seguiva la scena a braccia conserte. Rivolse una rapida occhiata a Carl, ma sembrava triste e distratta.
— Voglio un campione per poterlo studiare — insisté Saul.
— Ho preso dei campioni — replicò Malenkov, piantandosi con le mani sui fianchi e sporgendosi minaccioso in avanti. — Soltanto epidermide e fluidi.
— Mi servirà molto di più per scoprire cosa…
— No! Più tardi lo faremo rivivere, forse! Quando sapremo cosa l'ha ucciso. Se prenderai dei campioni dagli organi interni, più tardi avremo più difficoltà a riportarlo in vita.
Carl corrugò la fronte: — Ehi, cosa… Saul si asciugò il naso con un fazzoletto, ignorando Carl, e ribatté: — Non puoi curarlo se non sai cosa l'ha ucciso!
— Hai strisce della gola, urine, campioni del sangue…
— Potrebbe non essere sufficiente. Io…
— Ehi! — intervenne Carl. — Qualcuno vuol dirmi cosa sta succedendo?
Malenkov soltanto adesso si accorse di Carl. D'un tratto la sua espressione cambiò, da incollerita a labbra strette a un'altra scoraggiata, gli occhi intristiti. — Il capitano Cruz.
Carl avvertì un'improvvisa sensazione di leggerezza alla testa, d'incredulità. — Cosa? Ma… se l'ho visto appena due giorni fa?
Nessuno degli altri due uomini parlò… c'era ancora il vapore surriscaldato della loro discussione. Virginia interloquì con calma: — Ieri gli è venuta febbre, ed è andato a letto. Quando Vidor è andato a cercarlo stamattina, non… non voleva svegliarsi. È morto nel giro di un'ora. E a quanto pare, non c'erano altri sintomi.
— Febbre? Tutto qui?
— Non sembra che abbia più intenzione di svegliarsi.
Lo shock di quella notizia parve farsi strada soltanto ora, dando a Carl la sensazione di precipitare. Il comandante Cruz era stato il centro, il cuore e il cervello dell'intera spedizione. Senza di lui…
— Cosa… cosa faremo?
Malenkov fraintese l'esitante domanda di Carl. — Ora lo metteremo in un loculo. Non ci sono danni neurali, o quasi.
Stordito, Carl disse: — Be'… certamente… ma voglio dire…
Saul s'intromise: — Sento che dovremmo avere più dati per studiare questi casi. Non siamo certi per quanto tempo abbia avuto una temperatura alta. Aspettare altro tempo gli fa rischiare danni al cervello. — Malenkov agitò bruscamente una mano davanti a Saul, cancellando ogni obiezione. — Venite.
Storditi, lo seguirono tutti fino al centro del complesso dei loculi. Carl era stupefatto. Cercò di pensare, rosicchiandosi il labbro. Gli esperti di sociologia avevano scritto ampiamente come piccole imprese ad alto rischio dovessero avere un leader olimpico chiaramente superiore per evitare la divisione in fazioni e superare i momenti difficili. Un Drake, un Washington. Senza quel leader…
Nella sala di preparazione, Samuelson e la Peltier stavano effettuando controlli e sistemando diagnostici intorno al corpo che era già avvolto in un grigio sudario di circuiti. Il volto di Miguel Cruz-Mendoza era tranquillo, eppure proiettava ancora la poderosa sensazione d'un fermo proposito. Filamenti di nebbia ricamarono l'aria quando la temperatura della camera cominciò a scendere. Malenkov parlò ai due tecnici al lavoro attraverso un microfono, e il gruppo osservò le ultime procedure dell'internamento.
— Così, avevi autorizzato la sua messa nel loculo ancora prima della nostra discussione — osservò Saul con calma.
— Volevo che tu capissi la mia logica. Mentre Matsudo è nel colombario, sono io il responsabile della salute dell'intera spedizione — replicò Malenkov, rigido.
— E in effetti lo sei. — La voce di Saul recava soltanto un asciutto accenno d'ironia.
— Spero che possiamo riportarlo indietro… molto presto — proseguì Malenkov. — Dannazione! Proprio all'inizio!
Virginia disse, coraggiosamente: — Collaboreremo tutti, naturalmente. Dovremo…