— Immagino di no.
Lei sbatté gli occhi, si morse il labbro, poi aggiunse con cautela: — Mi… mi è piaciuto il modo in cui abbiamo parlato la scorsa notte, Carl. Non abbiamo mai avuto davvero l'occasione di dirci molto. Non più, dopo le prime settimane.
— Già — annuì lui, a disagio. — Ero indaffarato.
Lani proseguì con fermezza: — So che non mollerai subito Virginia.
— Mollarla? Ma io non l'ho proprio.
— Mollare la speranza, allora.
Annuì amareggiato. — Esatto.
— Non immediatamente, lo so.
Carl guardò Lani come se la vedesse per la prima volta. Era diversa da quello che aveva pensato. Forse…
Ma Virginia…
— Non c'è fretta — disse Lani, dando l'impressione di sapere esattamente quello che pensava. Tutte le mie emozioni devono essere scritte sulla mia faccia… si rese conto, a disagio.
— Io… forse hai ragione. Sono così maledettamente confuso.
Lani si sporse in avanti e lo baciò delicatamente sulle labbra. — Non esserlo. Fai il tuo lavoro e lascia le piccole cose come l'amore e la vita per più tardi.
Carl dovette sorridere. — Mi rendi le cose molto più facili di quanto io meriti.
— Voglio farlo.
— Io…
Si portò un dito alle labbra per azzittirlo. — Sst. Non devi proprio esser cortese. No, dopo una sbronza come quella.
Fece la doccia. Lani aveva installato il proprio equipaggiamento facendo in modo che perfino dentro la cabina della doccia ci fosse una proiezione della caverna di cristalli… Poi si vestì. Lei lo salutò con un bacio; e prima ancora che la sua mente avesse registrato completamente la loro conversazione, stava già salendo verso lo spogliatoio, tremante ma pronto ad iniziare il suo lavoro.
Era già al lavoro prima che il doposbronza si schiarisse, e sentì l'improvviso peso della depressione calare di nuovo su di lui. Sin da quando aveva lasciato la Terra, aveva lavorato con coerente determinazione, senza mai porsi domande. Ma adesso non riusciva a tenere la sua mente lontana dalle questioni maggiori, problemi che vedeva profilarsi per i giorni a venire. Non c'era più nessuno che potesse occuparsene, e di cui potesse fidarsi.
Carl avvertì lo spalancarsi di un vuoto, una premonizione.
Il capitano Cruz se n'è andato. Non sembra possibile. Per l'inferno ghiacciato, cosa faremo?
SAUL
Non avrebbe dovuto essere possibile.
Saul fissò quella chiazza verde e marrone nella capsula Petri. Non ci voleva certo un esame di laboratorio per sapere che stava guardando qualcosa che non avrebbe dovuto esistere.
In piedi, ma un po' rannicchiato su se stesso nella posizione rilassata dovuta alla bassa gravità, il tecnico spaziale Jim Vidor sbirciò da sopra la spalla di Saul. A rigore, quell'uomo non avrebbe neppure dovuto trovarsi là. La maschera-filtro sopra la bocca e il naso erano espedienti ben miseri, nei confronti della quarantena in cui Saul era relegato.
Saul prelevò un nuovo fazzoletto dallo sterilizzatore e si asciugò il naso. Dopo due giorni, quand'era parso chiaro che il suo corpo non aveva una gran fretta di accasciarsi e morire a causa di quello tsuris d'un raffreddore, l'ordine d'isolamento aveva perso parte della sua originaria urgenza. Comunque per gli spaziali la malattia era una minaccia astratta. Assai più reali per loro erano le difficoltà che si trovano ad affrontare a causa del gunk che penetrava dentro ogni cosa, dall'impianto di aereazione ai mech, minacciando i macchinari che tenevano in vita loro tutti.
Tuttavia, Saul fece segno a Vidor di tirarsi indietro, per lo stesso motivo per cui aveva tenuto lontano Virginia, malgrado le sue ribelli implorazioni.
Nick Malenkov poteva aver ragione, dopotutto. Qualunque cosa sarebbe potuta accadere, dal momento che Halley era capace di saltar fuori con cose come quella, appunto, che si trovava sulla capsula davanti a lui.
— La roba cresceva nel deumidificatore principale, dottor Lintz, in alto, dove il Pozzo Uno interseca il livello A. L'ho mostrata al dottor Malenkov quando sono ridisceso qui dal Complesso, ma lui è impegnato a tempo pieno in infermeria, adesso che la Peltier è priva di sensi. Ha detto che era lei il grande custode della fauna nativa su questo iceberg, comunque, così l'ho portata da lei.
Senza alcun dubbio, Nick supponeva che avresti usato un mech come fattorino pensò Saul. Ogni poche ore un mech bussava alla sua porta, portandogli un thermos di minestra e un minuscolo foglietto di Virginia. Forse quei pacchettini erano la ragione per la quale quel suo dannato microbo non era peggiorato. Lavorando con le mani guantate in una scatola isolante, usò dei forcipi sterilizzati per lacerare un grumo di filamenti rossi e verdi, trasportandone alcuni sul vetrino di un microscopio. L'unità ronzò quando le sonde cominciarono a strisciare in avanti, portandosi in posizione. Era ovvio che quella cosa che non poteva esistere, esisteva. Doveva venir esaminata.
Naturalmente, Malenkov non poteva avere nessun interesse a guardare qualcosa di così macroscopico. Come medico del Turno-1, la principale preoccupazione di Nich era la strana e terrificante malattia che era comparsa dal nulla, aveva ucciso il loro capo, e adesso aveva un'altra vittima prostrata in infermeria.
Lo «scongelamento» di Bethany Oakes e di un'altra mezza dozzina di rimpiazzi era stata ritardata dalla scoperta del limo verde negli scambiatori di calore, che erano stati laboriosamente puliti a mano. La decolombarizzazione ora ripresa teneva troppo occupato il medico russo, perché potesse badare a qualcosa di così grosso, e perciò «innocuo», come dei filamenti che crescevano in una remota galleria.
Saul, esiliato nel suo laboratorio, aveva poco da fare, salvo analizzare i campioni di tessuto prelevati al povero Miguel Cruz e al nuovo paziente… e rispondere alle domande della preoccupata stazione di controllo sulla Terra. Soprattutto aveva in corso un programma d'incubazione ad ampio spettro, dal quale non poteva aspettarsi risultati almeno per altre trentasei ore.
— I test le hanno rivelato niente su cosa ha ucciso il capitano, dottore?
Saul scrollò le spalle. — Ho trovato segni d'infezione, senza dubbio, e fattori proteici estranei, ma niente di più definito di questo. — Era arrivato a rendersi conto, finalmente, che con tutta probabilità non sarebbe mai riuscito a rintracciare il fattore patogeno, o i fattori patogeni, senza parecchi altri dati. Aveva bisogno di saperne di più, in senso basilare, sulle forme di vita di Halley.
Se Nick non voleva permettergli di avvicinarsi ai pazienti, allora avrebbe dovuto cercare altrove! Ciò che Saul voleva più di ogni altra cosa, era uscire nei corridoi e vedere con i propri occhi… raccogliere campioni, costruire un database, e scoprire cosa aveva ucciso il suo amico. Ma quella dannata quarantena…
Girò la testa e sollevò un fazzoletto di carta prima di sternutire. Le orecchie gli rombarono e la sua vista vacillò per un momento.
Bene, per lo meno Jim Vidor non sembrava sentirsi molto in pericolo nel visitare un appestato. Sì, era arretrato di fronte a quell'improvvisa eruzione, ma non appena Saul aveva recuperato la propria compostezza, lo spaziale era tornato ad avvicinarsi per guardare di nuovo da sopra la sua spalla.
— Ha nessuna idea di cosa sia, dottor Lintz? Questa roba nuova era raccolta tutt'intorno agli ingressi dei tubi al livello B, e temo che possa diventare un problema grosso almeno quanto quello della poltiglia verde, se dovesse intasare il deumidificatore.
Nick ed io abbiamo paura delle cose minuscole… forme di vita microscopiche che uccidono da dentro. Ma gli spaziali hanno altre preoccupazioni… S'inquietano se le macchine s'intasano, se le valvole si rifiutano di aprirsi o di chiudersi, li preoccupano l'aria e il calore e la risucchiante vicinanza del vuoto.