— Nessun'altra maniera possibile — replicò Conti, deciso. — Forse passano attraverso le crepe? Attraverso le vene di neve più cedevole? Questa non è una forma terrestre di nessun tipo!
— Ma così grande! — Lani. — Quelli che Saul ha trovato erano per la maggior parte microorganismi, giusto?
— Sì — confermò Conti. — E la poltiglia verde e i filamenti non ti danno la caccia, da quello che ho sentito dire l'ultima volta.
Samuelson scoppiò a ridere. — Questi sono di sicuro più grossi.
— E robusti. Sono capaci di passare attraverso l'isolante — disse Carl.
Erano sospesi nel quasi-vuoto, fissandosi l'un l'altro. Samuelson si allontanò con un calcio dalla parete e indicò con un gesto sopra di sé, dove le chiazze di fosforo si stendevano come una punteggiatura, formando una V allungatissima a causa della prospettiva. — Potrebbe succedere in qualunque punto del pozzo.
Carl scosse la testa. — Sono passati vicino al collare, e in nessun'altra parte. Cos'ha di speciale questo posto?
Conti intervenne: — Qualcosa con il collare, nel punto in cui s'innesta nel ghiaccio?
— Dovremo controllare ogni collare, ogni intersezione.
Samuelson annuì: — Dannatamente giusto. Sarà anche indispensabile raccogliere tutti i pezzetti di quella roba che sono stati soffiati dentro a questo pozzo.
— Buona idea — trasmise Carl. — Mettiamoci al lavoro.
Si sparpagliarono per il pozzo e nelle gallerie adiacenti. Carl intrappolò parecchi grumi purpurei alla deriva e li ripose in una borsa di plastica. Bioccoli di gelatina galleggiavano liberi oppure si erano appiccicati alle pareti. Erano collosi e lasciavano macchie su tutto quello che toccavano. Continuò a commentare senza interruzione le loro azioni rivolto alla Centrale, descrivendo a Malenkov quella forma di vita. Saul Lintz s'inserì, mitragliandolo di domande. Carl non aveva nessuna idea di come doveva rispondere e Saul chiedeva dei campioni immediati.
— Dovremo decontaminarci prima di tornare in una qualsiasi zona pressurizzata. Di questo sono sicuro — disse Carl.
— Be', fate del vostro meglio. Vi farò avere dei flaconi in cui mettere i campioni.
— Mi arrangerò io. Non far entrare nessuno in questa sezione.
— Credi che sia così pericoloso?
— Hai dannatamente ragione.
Interruppe la comunicazione e continuò a cercare. La sua squadra si era sparpagliata tutt'intorno controllando ogni intersezione alla ricerca di segni di cedimenti. Qualcosa lo tormentava, ma non aveva il tempo per fermarsi a pensare. Quei frammenti purpurei erano andati alla deriva in lungo e in largo e lui aveva soltanto poche persone a disposizione per riuscire a recuperarli tutti. Giunto alla galleria che conduceva orizzontalmente alla Centrale, Samuelson trovò una punta purpurea che sporgeva appena attraverso la plastica. Chiamò Conti, e tutti e due insieme prelevarono un campione.
Furono incauti.
Quando Carl arrivò là pochi minuti più tardi, stavano entrambi schiaffeggiando delle chiazze su se stessi e lamentandosi, sorpresi dal dolore che provavano. Attraverso le loro visiere, ognuno dei due pareva stupito, pallido in volto, gli occhi spalancati che roteavano intorno a sussulti.
— Cos'è successo?
— Ho cercato di prendere questo pezzo e mi è scappato — disse Samuelson. — Conti l'ha afferrato e… gli ha mangiato il guanto.
C'era una strana chiazza sulla mano destra di Conti. — Suppongo che tu abbia sfiorato il pezzo col braccio? — chiese Carl.
— Sì, e quel dannato affare mi ha punto.
Il volto di Conti era distorto in una smorfia angosciata. — Sta peggiorando.
— Samuelson, accompagnalo. Voi due andate all'ingresso della camera di equilibrio di emergenza. Chiamerò Malenkov e gli farò sapere che state arrivando.
— Cosa… cosa credi che stia… facendo? — chiese Conti.
Mangiando pensò Carl. Ma lo tenne per sé. — Andate dai medici. — Diede ad entrambi una spinta verso l'interno. — Sbrigatevi!
Durante l'ora seguente, Malenkov gli trasmise dei rapporti sulle loro condizioni. Quella creatura purpurea aveva divorato le fibre delle loro tute, attraversandole, probabilmente reagendo ad esse come se si trattasse d'un potenziale alimento. — Forse gli piaccione le catene molecolari lunghe — aveva suggerito Malenkov. Una volta dentro, aveva bruciato la pelle. Probabilmente una parte era penetrata nel flusso sanguigno. Conti e Samuelson riferivano di una sensazione di dolore attenuata che si andava diffondendo. A tutti e due era stato dato un sedativo, ed erano in osservazione.
Carl avvertì Lani, e continuò nella sua ricerca. D'un tratto, quasi un'ora più tardi, gli venne un'idea.
— Saul Lintz! Sei là?
Il collegamento incrociato ticchettò e ronzò. Poi: — Sì.
— Questa roba purpurea è leggera, si muove facilmente. La maggior parte di quella che abbiamo tagliato via è stata risucchiata dentro i fori.
Carl visualizzò gli strati alternati di materiale inerte e di vuoto che costituivano l'isolante. Al di là dell'isolante c'erano due buoni centimetri di elio, il cui scopo era quello d'isolare la parete del ghiaccio. Forniva inoltre una via alle evaporazioni, cosicché queste sciamassero verso la superficie, sfuggendo infine nello spazio. — Dove conduce lo sfiatatoio di questo pozzo?
— Il condotto a vuoto del Pozzo 3 convoglia ogni cosa dal colombario Uno alla superficie. Non è qui, però, che puoi avere le migliori informazioni. Farai meglio a chiederlo a Vidor.
— No, ascolta: noi pensiamo sempre che le evaporazioni sfuggano verso l'alto, giusto? Ma il vento che abbiamo avuto qua sotto era forte.
— Sì, abbiamo perso un sacco d'aria.
— Il punto è: quel getto d'aria era tanto intenso da soffiarne un po' all'indietro?
— Forse. Comunque, fuoriuscirà piuttosto in fretta, anche se… Oh, capisco, sei preoccupato che…
— Esatto. La roba purpurea. È stata trasportata indietro dall'aria, verso la Centrale.
— Ci sono cavità che fungono da deposito lungo quella direzione, e…
— Esatto. — Carl esitò, e poi decise. — Saul! Durante questa crisi io scavalco Malenkov in autorità. Da questo momento sei fuori dalla quarantena. Sequestra Quiverian e chiunque altro riesci a trovare. Scendo al Tre J. Voi della biologia farete meglio a pensare molto in fretta. Scommetto che questi affari sono penetrati nel colombario Uno.
SAUL
Saul sbatté gli occhi per la stanchezza attraverso una nebbia causata da un doppio antistaminico, mentre finiva di ripulire dalle ultime tracce verdognole i bordi dell'unità filtrante. Ridotto dagli altari della scienza ai più umili lavori pensò scontrosamente. La mamma è andata a lavare i piatti per mandare il suo ragazzino all'università… perché poi faccia questo?
Naturalmente la sua vera «mamma» non aveva fatto una cosa del genere. Era stata un colonnello dell'esercito israeliano, un eroe della liberazione di Bagdad del '09, e probabilmente avrebbe approvato che il suo intellettuale figliolo fosse costretto a usare un secchio e uno straccio, di tanto in tanto.
Comunque, quell'ironica fantasticheria divertiva Saul, così la coltivò. Digrignò i denti e pestò sul filtro per rimetterlo al suo posto. Trent'anni d'istruzione, e mezzo miliardo di miglia di viaggio nello spazio… il tutto per fare il bidello. Confermava la sua radicata convinzione che esisteva davvero una cosa chiamata progresso.
Per Io meno, la crisi attuale sembrava averlo tolto dalla lista dei paria. Ogni membro dell'equipaggio era necessario per combattere le infestazioni delle halleyforme, e pochi erano coloro che ogni tanto brontolavano e arricciavano il naso in sua presenza.