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Qualcuno lo afferrò per il gomito e lo tirò via dalla fila dei danzatori, lo fece girare su stesso; Chris si trovò con la faccia quasi piantata contro il seno di un altro titanide.

— Ho detto che dobbiamo partire subito, per non arrivare tardi alla mia rivista — disse il titanide, che era una femmina, e abbassò in modo strano la manona. Nel vedere che lui non accennava ad alcuna mossa, si passò l’altra mano nei capelli, che erano lunghi e di colore rosa, e sospirò disperata. — Su, monta, Chris! Sbrigati!

Un impulso che non avrebbe saputo spiegare lo portò a sollevare il piede, scalzo, e a posarlo nella mano della titanide. Forse era un riflesso fantasma, il corpo che ricordava ancora un’abitudine che la mente aveva dimenticato. Ma era la cosa giusta da fare. Lei lo sollevò; lui si afferrò alla spalla della titanide e si trovò in groppa. La pelle della titanide era priva di peli, in predominanza gialla, ma picchiettata di macchioline scure, come una banana matura. Sotto le gambe, dove erano in contatto con il dorso della titanide, Chris sentiva la giusta temperatura e la giusta consistenza: come pelle umana, ma stesa su una struttura diversa.

Lei ruotò il torso e si abbassò da un lato, in modo da mettergli il braccio sulle spalle. Negli occhi grandi, quasi a mandorla, si leggeva una grande eccitazione. Chris rimase assai stupito quando lei lo baciò sulle labbra, premendo forte. Era talmente grossa che a Chis pareva di essere ritornato un bambino di sei anni.

— Porta fortuna, tesoro. Le coppie e il modo sono già fissati. Adesso, basta solo un po’ di fortuna, e il mio portafortuna sei tu. — Lanciò un urlo e scavò la terra con le zampe posteriori, schizzando avanti in pieno galoppo. Chris si afferrò alla vita e continuò a tenersi forte.

Non era la prima volta che gli capitava qualcosa di simile. Già altre volte era uscito dall’amnesia mentre era in piena corsa, e pensava di essere preparato a tutto.

Ma non era preparato a quello che vedeva adesso attorno a sé.

L’intero universo pareva pieno di luce chiara, di polvere, titanidi, tende e musica. Soprattutto musica. Ne attraversarono una serie di ondate, incontrando quelle che parevano tutte le forme inventate dagli uomini, e quelle, in numero ancora maggiore, inventate dai titanidi. Pareva destinata a diventare una follia acustica, ma così non era. Ciascun gruppo teneva conto della musica suonata dal gruppo adiacente. Con una sorta di gioco di prestigio in musica, si passavano tra loro la frase musicale, facevano variazioni sul tema, e poi lo rimandavano indietro per ulteriori elaborazioni, ma a un ritmo e a un tempo diversi. Chris e la sua titanide attraversarono intere famiglie di musiche: dal ragtime alla quadriglia, allo swing e a vari generi di jazz freddo, con occasionali inserzioni di interventi non-umani, che, di volta in volta, potevano essere in sordina o a pieno volume.

A volte, qualcosa di ciò che giungeva all’orecchio di Chris gli risultava del tutto incomprensibile. Tutt’al più poteva pensare che erano "esperimenti". Ma per i titanidi qualsiasi tipo di suono rientrava nella musica. I tipi apprezzati dagli umani erano un piccolo gruppo, un angolino della grande famiglia delle forme musicali. Una delle esecuzioni udite da Chris erano solo delle note prolungate, in gruppi di tre o quattro, ciascuna spostata di pochi cicli al secondo rispetto alla frequenza dell’altra. Si formavano dei battimenti, e i titanidi riuscivano a trasformare in una particolare forma di musica anche quelli.

Attraversare la folla del Festival Rosso era come viaggiare dentro un mixer a cinquantamila piste con componenti elettroniche vive. Forse da qualche parte c’era un super-titanide, un super-ingegnere del suono, che spostava i cursori, amplificando una pista, abbassando il volume di un’altra, facendo emergere per pochi istanti una linea melodica, per poi farla svanire.

Ogni tanto, qualcuno indirizzava un canto alla sua compagna (o doveva dire il suo veicolo? la sua cavalcatura?) e lei salutava con la mano e rispondeva con qualche breve canto. Poi un titanide la chiamò in inglese.

— Che cos’hai, lì con te, Valiha?

— Il mio quadrifoglio portafortuna, spero — rispose Valiha. — Il mio biglietto per maternità.

Chris fu lieto di sapere il suo nome. A quanto pareva, la titanide lo conosceva, fin troppo bene, a dire il vero, e si aspettava che anche lui la conoscesse. Chris si domandò, e non per la prima volta, che cosa fosse successo tra loro.

La loro destinazione era un cratere dalle pareti rosicchiate e con un diametro di mezzo chilometro. Cercò nei propri ricordi il nome, che per qualche istante rimase fuori portata, e che poi si lasciò afferrare: Grandioso. Un nome che era privo di una spiegazione, ma che gli pareva giusto, come spesso gli capitava quando usciva da uno dei suoi attacchi. Anche la roccia posta ai margini del cratere aveva un nome, ma Chris non riuscì a farselo venire in mente.

Giunto al bordo di Grandioso si guardò alle spalle per dare un’occhiata all’accampamento dei titanidi, una gabbia di matti da cui si levava il rumore di mille orchestre intente ad accordare gli strumenti, un tumulto di colori che terminava in una lunga nube di polvere portata via dal vento.

Entrare nel cratere fu come scendere in un altro mondo. C’erano molti titanidi, ma senza la baldoria e l’anarchia dell’accampamento. Grandioso era coperto da un tappeto di erba verde, e su quel tappeto era tracciata una rete di linee bianche. I titanidi si erano disposti in piccoli gruppi, con un massimo di quattro per ogni riquadro, come pedine di un gioco su scacchiera. In alcuni dei riquadri si scorgevano strutture allegre ma dall’aria deperibile, come per esempio baldacchini di fiori. Altri erano spogli. Valiha entrò in quel dedalo, percorse quattro riquadri in avanti e sette di lato. Si unì a due altri titanidi, in un riquadro in cui erano contenuti alcuni oggetti strani, come corone di agrifoglio e un’intera serie di pietre lucide, il tutto disposto secondo configurazioni che a Chris non dicevano assolutamente niente.

Valiha fece le presentazioni, e Chris si sentì chiamare "Fortunato" Major. Cosa poteva averle raccontato? I due titanidi erano una femmina chiamata Cembalo (Trio Lidio) Preludio e un maschio dall’improbabile nome di Hichiriki (Quartetto Frigio) Madrigale. Anche Valiha, venne a sapere, apparteneva all’«accordo» dei Madrigale, caratterizzato dalla pelle gialla e dai capelli rosa. Il suo secondo nome, quello tra parentesi, era Assolo Eolio. Seppe che questo nome dipendeva dal tipo di nascita, ma la cosa non gli fu di molto aiuto.

— E tutto questo… — Evitando di terminare la frase, Chris sperava di nascondere la propria ignoranza di cose che invece, secondo la titanide, avrebbe dovuto sapere benissimo. Indicò le linee bianche, le pietre e le corone. — Che modo era, mi dicevi?

— Trio Mixolidio Doppio Bemolle — rispose lei. A quanto pareva, il nervosismo le metteva voglia di parlare, anche se si trattava di argomenti detti e ridetti. — È sulla targhetta che puoi vedere di fronte a noi. Capirai che non vuole dire niente… un Trio Mixolidio Doppio Bemolle non ha nessun significato nella musica; è solo una serie di parole inglesi che noi usiamo al posto delle parole vere, che tu non sapresti cantare. Oh, forse non l’ho detto, ma questo modo significa che Cembalo è l’antemadre e Hichiriki l’antepadre. Se otteniamo l’approvazione, Cembalo sarà il retropadre.

— E tu la retromadre — disse Chris, ormai fuori pericolo.

— Esatto. Loro due hanno prodotto l’uovo, e Cembalo lo feconderà in me.

— L’uovo.

— Eccolo. — Infilò la mano nel marsupio (comodo, pensò Chris, avere una borsa naturale) e gli lanciò un oggetto grosso come una pallina da golf. Sorpreso, lui per poco non lo lasciò cadere, e Valiha rise.

— Non ha il guscio — spiegò. — È il primo che vedi? — Aggrottò leggermente la fronte.