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Dapprima Chris si recò a esplorarle con Robin, ma al suo ritorno trovava sempre Valiha in un grave stato di disperazione, e dovette smettere, anche se gli dispiaceva che Robin le esplorasse da sola.

— Non mi piace — le diceva ogni volta. — Conosco un po’ di speleologia, e non è una cosa che si possa fare da soli.

— Ma Valiha ha bisogno di te. E qualcuno deve andare a prendere il cibo.

Era vero. Nelle caverne c’erano altri animali, oltre agli uccelli luminosi, e tutti si lasciavano catturare facilmente, anche se non era facile trovarli. Robin ne aveva scoperte tre specie, grosse come gatti, lente come tartarughe, prive di denti e di peli. Non si capiva cosa facessero, ma Robin li trovava sempre nei pressi di certe masse grigie, coniche, di una sostanza tiepida e simile a gomma, che potevano essere un animale sedentario o una pianta, ma che dovevano avere profonde radici e che quasi certamente erano vive. Lei chiamava familiarmente "tette" quelle masse gommose, perché le ricordavano le mammelle delle mucche, e "cetriolo", "lattuga" e "gambero" le tre specie animali. Non per il gusto, giacché tutti avevano lo stesso sapore di carne di manzo, ma perché avevano quelle forme. Aveva incontrato innumerevoli cetrioli senza mai notarli, finché un giorno non ne aveva colpito accidentalmente uno con un calcio, e quello aveva aperto un occhio enorme.

Tutti e tre temevano che Valiha non avesse cibo a sufficienza, o cibo del tipo giusto. — È difficile trovare quegli animali — diceva Robin. — Preferirei vederli scappare quando mi avvicino. Invece, mi può capitare di passare a un metro da uno di essi e di non vederlo.

Questo fino al giorno in cui Robin non tagliò una delle "tette" con il coltello, e fu colpita da uno schizzo di liquido bianco e denso.

— È il latte di Gea — disse Valiha, felice, e immediatamente bevve tutto quello che Robin le aveva portato. — Non pensavo di trovarlo a questa profondità. Nel mio paese scorre a una profondità di due metri o poco più.

— Cosa intendi dire con "latte di Gea"? — chiese Chris.

— Non saprei spiegarlo. È il latte di Gea, e basta. E le nostre preoccupazioni sono finite. Mio figlio si alimenterà di questo latte. Contiene tutto ciò che occorre per la sopravvivenza.

— E noi? — chiese Robin. — Anche gli umani possono berlo?

— Certo. È il latte universale.

— Che gusto ha, Robin? — chiese Chris.

— Non lo so. Non penserai che io beva un liquido sconosciuto.

— Gli umani che l’hanno assaggiato dicono che ha un gusto amaro — spiegò Valiha. — Lo penso anch’io, ma ho l’impressione che la sua qualità vari da una rivoluzione all’altra. Quando Gea è compiaciuta, diventa più dolce. Quando Gea è in collera, diventa spesso e si caglia, ma continua a essere nutriente.

— E di che umore è Gea, adesso? — chiese Robin.

Valiha assaggiò le ultime gocce, poi inclinò la testa, pensosa.

— Preoccupata, direi.

Robm rise. — E che preoccupazioni può avere Gea?

— Cirocco.

— Cosa intendi dire?

— Quello che ho detto. Se la Maga è ancora viva, e se noi sopravviveremo fino a parlarle degli ultimi momenti di Gaby, Gea tremerà.

Robin non pareva convinta, e Chris in cuor suo era d’accordo con lei. Non capiva che pericolo potesse costituire Cirocco per Gea.

Ma Robin capì subito il significato della scoperta.

— Adesso posso andare a cercare aiuto — disse, dando così inizio a una discussione con Chris che sarebbe durata tre giorni e che lui, fin dall’inizio, sapeva di perdere.

— La corda. Ti basterà? E fiammiferi, ne hai?

— Ho tutto. — Robin aveva sulle spalle uno zaino ricavato da una delle sacche di Valiha.

Erano passati quattro giorni dalla capitolazione di Chris. In quel periodo, avevano cercato la più vicina delle "tette" e avevano trasportato laggiù Valiha.

— Hai preso l’acqua?

— Qui. Ho tutto, Chris.

Con lo zaino sulle spalle, pareva ancora più piccola: a Chris fece venire in mente un bambino di pochi anni, vestito per uscire a giocare con la neve, e provò l’irresistibile desiderio di abbracciarla per proteggerla. Ma questo era proprio ciò che lei non voleva, e Chris si affrettò a guardare da un’altra parte per non farsi scorgere.

— Ricordati di lasciare dei segni lungo il sentiero.

Lei gli mostrò il martello, poi tornò a infilarlo nella cintura. Era una bellissima cintura, fabbricata da Valiha con le pelli di "cetriolo". Pensavano che non appena Valiha fosse stata in grado di muoversi con le stampelle, lei e Chris avrebbero seguito il sentiero tracciato da Robin, ma la speranza era che Robin potesse ritornare molto prima di allora.

— Arrivederci, Valiha.

— Arrivederci. Ti direi "Gea sia con te", ma so che preferisci viaggiare senza di lei.

— Giusto — disse Robin, ridendo. — Lasciala nel suo mozzo, a preoccuparsi della Maga. Ci rivediamo tra una chiloriv.

Chris la guardò allontanarsi. Gli parve che si girasse ancora una volta a salutare; poi scorse solo più la luce dei tre uccelli che portava in una gabbietta, e infine più niente.

Il latte di Gea era effettivamente amaro. Il suo gusto cambiava leggermente da un giorno all’altro, ma Chris avrebbe desiderato una maggiore varietà. In meno di cento rivoluzioni ne ebbe la nausea, e cominciò a domandarsi se era meglio quel liquido o la morte per inedia.

Quando poteva, andava a raccogliere legna e a catturare animali, e Valiha cercava di prepararglieli in maniera sempre diversa. Chris li mangiava come se fosse digiuno da giorni. ’ Chris tornò ad avere degli attacchi, dopo un lungo periodo tra il Festival di Crio e l’arrivo nella caverna. Si svegliava in qualche posto e non ricordava come c’era arrivato. Ogni volta che questo gli accadeva, si voltava verso Valiha per vedere se le avesse fatto del male, ma Valiha gli diceva di no. Anzi, spesso gli pareva assai soddisfatta. A quanto pareva, Valiha lo preferiva durante i suoi attacchi di pazzia.

Forse era quella la cura, si disse un giorno. Aveva trovato il modo di trasformare la pazzia in normalità. Chris non sapeva cosa faceva durante i suoi attacchi: non osava chiederlo a Valiha, e Valiha non gliene parlava mai.

Parlavano d’altro. Dapprima parlarono di se stessi, e presto Valiha si trovò senza argomenti: Chris si era dimenticato di quanto fosse assurdamente giovane. Anche se era adulta e matura, le sue esperienze erano estremamente limitate. Ma entro breve tempo anche Chris esaurì il racconto della sua,vita, e dovette passare ad altri argomenti. Parlarono delle loro speranze e dei loro timori, umani e titanidi. Inventarono giochi e racconti. Valiha era abilissima nel raccontare: la sua immaginazione e le sue prospettive erano leggermente sfalsate rispetto a quelle umane, e Chris rimaneva sorpreso dalle sue intuizioni e dalle sue osservazioni inquietanti. Cominciò a capire cosa significava essere quasi umani, ma non umani del tutto. Pensò a quanti miliardi di esseri umani, sulla Terra, non avevano mai fatto un’esperienza così affascinante.

Rimase stupito dalla pazienza di Valiha. Lui si sentiva impazzire dalla claustrofobia, nonostante la sua libertà di movimento fosse assai superiore. Cominciò a capire perché sulla Terra uccidessero i cavalli che si rompevano le zampe: la costituzione fisica dei cavalli non era fatta per stare sdraiati. Le zampe dei titanidi erano molto più flessibili di quelle dei cavalli terrestri, ma Valiha passò un periodo estremamente sgradevole. Per mezza chiloriv non poté fare altro che rimanere distesa sul fianco. Poi, quando le ossa cominciarono a saldarsi, poté ritornare in posizione eretta, ma solo per breve tempo, perché doveva allungare le zampe davanti a sé.

Chris capì la scomodità della posizione quando lei, incidentalmente, disse che i titanidi, nei loro ospedali, erano sospesi a un’imbracatura che sollevava il tronco e lasciava libere le gambe. Chris rimase stupito.