Ma Chris pensava già ad altro. Fin dall’inizio della rissa, si trovò leggermente emarginato rispetto al suo centro, e seguì la maggioranza dei presenti, che cercavano di allontanarsene il più possibile. Finirono tutti ammucchiati contro una delle pareti, sotto le docce che spruzzavano acqua tiepida sopra decine di metri quadri di pelle, gran parte della quale era pelle femminile. Chris cominciò ad abbracciare donne a caso, e dopo qualche tempo ottenne un sorriso come risposta. La donna era piccola e bruna, e il diversivo gli piacque, perché era stufo delle bionde e delle donne grandi; rise quando lui la afferrò, se la mise in spalla, la portò nel dormitorio vuoto e la scaricò su una delle cuccette in alto. Qualche istante più tardi, era felicemente intento a fornicare.
E fu un vero peccato, una vera ingiustizia, giacché avrebbe continuato per tutto il giorno, ma un’inserviente fascista capitò davanti a loro per dire che dovevano recarsi in sala di visita per qualche maledetta irrigazione o simili idiozie, e si rifiutò di dare retta a Chris quando lui le spiegò che era stufo di farsi infilare tubi nei pertugi. La cosa divenne davvero fastidiosa, e Chris si decise a sollevarsi (la sua compagna fece uno strano rumore, quando lui le montò con i piedi sul petto) e cercò di dare un pugno all’inserviente, che però si era già tirata indietro e prendeva la mira per sparargli.
Si risvegliò con la faccia sporca di sangue e di vomito; e domandandosi cos’era successo, ma senza eccessiva curiosità. Aveva la barba di tre giorni, incrostata di sangue. Non ricordava molto, e questo era la sua fortuna.
Volevano sapere se adesso intendeva comportarsi bene, e lui li assicurò che l’avrebbe fatto.
La donna che gli aveva sparato lo aiutò a ripulirsi. Pareva ansiosa di dargli tutti i dettagli della sua permanenza in carcere e dei motivi che lo avevano portato laggiù, ma Chris non la ascoltò. Ricevette i suoi effetti personali e fu accompagnato a una specie di ascensore. Quando le porte si chiusero alle sue spalle, vide che la cabina galleggiava entro un liquido giallo che si muoveva in un condotto di dimensioni ciclopiche. Dopo averlo notato, comunque, smise di pensare alla cosa.
Il viaggio richiese quasi un’ora, e per tutto questo tempo Chris non pensò a niente. Quando uscì dalla cabina, scorse lo sconvolgente cielo curvo di Gea, fece un passo sul suo terribile suolo curvo, si guardò attorno, ma non provò nessuna particolare sensazione di timore o di reverenza. Ormai aveva superato questo genere di impressioni. Sopra di lui, passava un aerostato da mille metri. Chris lo fissò senza particolari emozioni, e gli vennero in mente i colombi. Restò ad attendere che succedesse qualcosa.
6
Tendopoli
Nasu era intrattabile. Lo testimoniavano due nuovi segni sul braccio di Robin. L’anaconda non ama le docce e le manipolazioni: Nasu era spaventato da tutto ciò che gli era successo nei due giorni precedenti, e il suo modo di comunicarlo era quello di colpire il bersaglio più vicino, costituito da Robin. In tutto il tempo che erano stati insieme, Nasu aveva morsicato Robin soltanto tre volte, in precedenza.
La stessa Robin non si sentiva molto meglio. Alcune delle avvertenze che le avevano dato alla Congrega erano solo delle fantasie. Ma il calore era terribile.
La temperatura era di trentacinque gradi. Questa stupefacente notizia le era stata fornita dalla guida che li aveva accolti alla superficie, e l’aveva controllata lei stessa, con sommo stupore, servendosi di un termometro. Era assurdo condurre un ambiente in quella maniera, ma la gente non se ne curava. Si lamentava, ma non aveva intenzione di fare niente per cambiare la situazione.
Robin sentiva la necessità di spogliarsi. Resistette quanto più possibile, ma poi si disse che, dato che sua madre si era già sbagliata su molte altre cose, lei non correva rischi nel disobbedirle su questo particolare. Gran parte della gente che circolava sulle strade polverose di Titantown era nuda; perché non poteva mettersi nuda anche lei? Come compromesso, comunque, decise di non scoprirsi i fianchi, per indicare che intendeva difendersi da qualsiasi tentativo di stupro. Anche se il suo timore dello stupro era assai diminuito.
Il primo pene da lei visto, nelle docce di massa dell’immigrazione, l’aveva fatta ridere, e le aveva fatto guadagnare un’occhiataccia da parte dell’orgoglioso possessore. Anche il resto doveva essere altrettanto comico. Non le pareva che potesse gonfiarsi al punto da farle male, ma per il momento accantonò il problema, in attesa di controllare questo particolare su qualche maschio intento allo stupro.
La prima notte non ci furono stupri, anche se Robin rimase sveglia per molto tempo, per potersi difendere da eventuali attacchi. La seconda notte, due maschi si dedicarono allo stupro, in fondo al dormitorio. C’erano delle cuccette vuote, e Robin si sedette a guardare. Gli arnesi sballonzolanti, che in precedenza l’avevano fatta tanto ridere, si ingrandirono più di quanto non avesse creduto… ma non tanto, in fin dei conti. Le donne non sembravano patire danni. Nessuna era stata percossa fino all’incoscienza, e non avevano la faccia a terra. Una, anzi, stava sopra l’uomo.
La donna disse a Robin di andarsene, e lei se ne andò perché aveva visto a sufficienza. Pensava che se qualcuno le avesse dato una botta in testa e quel che segue, l’esperienza sarebbe stata spiacevole, ma non eccessivamente pericolosa. Ricordava di essersi dilatata assai di più, nel corso di esami medici.
Guardò ancora le donne, dopo la fine dello stupro, per controllare se provassero vergogna. Ma non ne vide alcuna traccia. Dunque, almeno questo particolare era vero: alle donne peniste veniva insegnato a subire con indifferenza la degradazione. Gli schiavi, ricordò, lo facevano sempre, almeno esteriormente. Si meravigliò al pensiero di quanta ribellione dovesse covare in quelle loro anime.
Durante il periodo in cui Robin rimase a osservare, non ci furono donne che facessero l’amore tra loro. Robin se lo spiegò con la supposizione che fossero costrette a nasconderlo agli occhi degli uomini.
Titantown era stata inizialmente costruita sotto un grande albero, ma con la fine della guerra tra titanidi e angeli, molti anni prima, si era estesa verso est. Gran parte dei titanidi abitava ancora sotto l’albero o fra i suoi rami. Alcuni si erano trasferiti sotto tende di seta multicolore, accanto alla folle via che era diventata una sorta di luna park per turisti. Una via piena di mescite e ippodromi, casinò, empori, attrazioni, spogliarelli e spettacoli vari. Il terreno era coperto di uno strato di segatura e di sterco dei Titanidi, nell’aria si mescolavano l’odore dello zucchero filato, del profumo, dei cosmetici, della marijuana e del sudore. L’intera zona mostrava il caratteristico disinteresse dei Titanidi per l’urbanistica e la pianificazione. Di fronte a un casinò da gioco sorgeva la Chiesa Primitiva Intergalattica Battista, che a sua volta sorgeva a fianco di un bordello inter-specie: tre tendoni esili come promesse. Le voci intonate dei cori dei titanidi si mescolavano al rumore delle roulette e ai soffi della passione che oltrepassavano le sottili pareti di tela. Al primo forte vento, l’intera zona poteva essere spazzata via in un attimo, per poi risorgere qualche ora più tardi, con una nuova configurazione.
L’ascensore per il mozzo partiva una volta ogni ettoriv — equivalenti, le dissero, a cinque giorni della Congrega, ovvero quattro virgola due giorni terrestri — e Robin si trovò con trentasei ore libere. Una visita a Titantown poteva essere istruttiva, anche se Robin non capiva bene la funzione di quel luogo di confusione. Il concetto di svago che le era stato instillato nella Congrega non le permetteva di vedere quella sorta di baraonda come un posto dove divertirsi. Divertimento, per le streghe significava gare atletiche, banchetti, festeggiamenti, anche se sapevano apprezzare un tiro ben giocato e una storia menzognera ben raccontata.