A Gaby non piacevano i viaggi. Ma si era recata sulla Luna perché lassù si potevano effettuare osservazioni perfette. Quando vide il progetto del telescopio che sarebbe stato inviato a studiare Saturno, si disse che doveva essere lei a usarlo. Ma attorno a Saturno trovarono Gea, e la catastrofe. Per sei mesi, l’equipaggio del Ringmaster rimase chiuso nel nero ventre di Oceano, il semi-dio ribelle di Gea, alternandosi tra il sonno e la privazione sensoriale totale. Per Gaby, quei sei mesi furono come venti anni, perché li visse tutti, un istante dopo l’altro. Ebbe il tempo di capire che non aveva una singola amicizia, che non amava nessuno e che nessuno amava lei. E che la cosa aveva importanza.
Tutto questo era successo settantacinque anni prima. Da allora, lei non aveva più guardato una stella, e non ne aveva neppure sentito il bisogno. Cosa farsene delle stelle, quando si hanno gli amici?
— Che cosa c’è? — domandò Robin.
— Niente. Ero solo inciampata nei miei ricordi. Succede spesso, a noi vecchietti.
Robin le rivolse un’occhiata carica di esasperazione, e Gaby sorrise. Quella ragazza le piaceva. Raramente le era capitato di incontrare una persona altrettanto piena di orgoglio e di ostinazione, e con così tanti lati spigolosi nel carattere. Era più strana di un titanide, nel suo modo di vedere le cose: ignorava gran parte di quella che tutti chiamavano la cultura "umana", sapeva di ignorarla, e univa un cieco sciovinismo all’ansia di imparare. Parlando con Robin, bisognava andarci con i piedi di piombo. Non c’era da fidarsi delle sue reazioni, finché non ci si era guadagnata la sua fiducia.
Anche Chris le era simpatico, ma se da un lato sentiva il bisogno di proteggere Robin da se stessa, dall’altro desiderava proteggere Chris dal folle mondo esterno. Quel mondo non poteva avere molto senso per lui, eppure Chris continuava ugualmente a lottare, pur tra mille handicap, e la sua visione del mondo era completamente distorta dall’abitudine di tutta la vita: essere dominato da una serie di spiriti malevoli che parlavano con la sua voce, guardavano con i suoi occhi, e talvolta colpivano con i suoi pugni. Chris non si fidava più di lasciarsi coinvolgere negli affetti, perché sapeva che uno dei suoi alter ego l’avrebbe presto tradito. Chi si sarebbe fidato di lui, dopo che lui avesse rivelato ai quattro venti i grandi o piccoli segreti d’amore?
Chris si accorse che Gaby lo guardava, e le rivolse un sorriso impacciato. I capelli lisci, color castano chiaro, tendevano a scivolargli sull’occhio sinistro, e questo lo portava a scuotere spesso la testa per allontanarli. Era alto, almeno un metro e ottantacinque se non un metro e novanta, di costituzione media, con una faccia tirata che poteva sembrare crudele finché non si scorgeva la tristezza del suo sguardo. La prima impressione di durezza veniva data dal naso leggermente appiattito e dalla fronte sporgente.
Anche come costituzione era abbastanza robusto, ma in quel momento, sia a causa dei calzoncini corti che portava, sia a causa della pelle assurdamente bianca, aveva un aspetto talmente funereo che era impossibile pensare a lui come a una minaccia. Braccia e gambe erano muscolose, e aveva buona schiena, ma attorno allo stomaco aveva ancora troppa ciccia. Non era peloso, e Gaby preferiva che non lo fossero.
Tirandone un bilancio conclusivo, Gaby capiva perché Valiha lo trovava attraente. Si domandò se Chris l’avesse già capito oppure no.
Arrivò di gran carriera Cirocco, seguita dai suoi due titanidi identici. Si guardò attorno, si asciugò la faccia con un tovagliolo umido, e si avviò verso un angolo della tenda.
— Dov’è Valiha? — chiese. — E non doveva esserci un titanide per Robin? — Si sfilò la coperta e andò dietro un paravento di tela, alto fino alle spalle. Da una doccia appesa sopra di lei incominciò a scorrere l’acqua. Sollevò la faccia in direzione del getto e scosse la testa. — Scusatemi ancora un momento, ragazzi. Fa un caldo infernale, là fuori.
— Valiha è ancora con il suo gruppo — disse Chris. — Non sapevo di doverla portare qui.
— Stai correndo un po’ troppo, Rocky — protestò Gaby. — Perché non cominciamo dall’inizio?
— Scusate — disse Cirocco. — Hai ragione. Robin, non ci siamo ancora presentati. Chris, noi ci siamo già visti, ma tu non te ne ricordi. Il fatto è che Gea ha detto a Gaby che stavate scendendo qui.
— "Stavamo scendendo"? — strillò Robin. — Mi ha buttato giù.
— Lo so, lo so — disse Cirocco, cercando di calmarla. — Credimi, odio questa sua abitudine. Ho protestato in tutti i modi possibili, ma non è servito a niente. Non dimenticare, sono io a lavorare per lei, e non viceversa. — Con un’espressione indecifrabile sulla faccia, girò la testa verso Gaby, sostenne il suo sguardo per un momento; poi riprese la sua opera di convinzione.
— Comunque, sapevamo che stavate arrivando, e sapevamo che probabilmente sareste riusciti entrambi a farcela. Strano, ma quasi tutti i pellegrini ci riescono. L’unico modo di morire nel Grande Salto è quello di lasciarsi prendere dal panico. Ci sono alcune persone…
— Si può morire affogati — disse Robin, aggrottando la fronte.
— Cosa vuoi che ti dica? — rispose Cirocco. — Chiaramente, è pericoloso, ed è anche uno scherzo orribile. Ma cosa devo fare, chiedere scusa di una cosa che non è colpa mia? — Fissò Robin, che non rispose, ma che, alla fine, scosse la testa in segno di diniego.
— Come stavo dicendo, ci sono alcune persone che non si lasciano avvicinare dagli angeli che cercano di aiutarle e, d’altronde, anche gli angeli non possono fare più di tanto. Perciò, lo scopo di Gea… e premetto che mi limito a riferirvi quello che Gea ha detto a me, e che non dico queste cose per difenderla… è di insegnare loro a reagire nel modo giusto in un momento critico. Se vi lasciate prendere dal panico, non sarete mai degli eroi. O, almeno, così ragiona lei.
Chris aveva un’espressione sempre più perplessa.
— Se pensate che tutto questo discorso significhi qualcosa per me, — disse — allora temo di essermi perso la parte più importante.
— Il Grande Salto — spiegò Gaby. — Probabilmente, è un bene che tu non ricordi niente. Gea getta giù dal mozzo i pellegrini, servendosi di un ascensore truccato, dopo avere parlato con loro. Precipitano lungo tutto il raggio, fino alla periferia.
— Non ricordi proprio niente? — chiese Cirocco. Non si sentì più scorrere l’acqua della doccia, e un titanide le porse un asciugamano.
— Niente. Dal momento in cui ho lasciato Gea, e fino a non molto tempo fa, la mia memoria è una tabula rasa.
— Potrebbe essere comprensibile, anche senza il tuo disturbo — disse Cirocco. — Ma ho parlato con uno degli angeli. Guardò Robin. — Era un nostro vecchio amico: "Ciccio" Fred.
Gaby rise. — È ancora sulla breccia, quello? — Si accorse che Robin la guardava con occhi fiammeggianti, e cercò di smettere di ridere, ma non ci riuscì.
— È ancora sulla breccia, cercando di mettere il sale sulla coda alle umane di passaggio. Mi ha detto di avere recentemente trovato due veri gatti rabbiosi. Una alla fine si è decisa a collaborare, e lui l’ha lasciata nell’Ofione. L’altro, invece, era tutto pazzo. Non è riuscito ad avvicinarsi, ma l’ha tenuto d’occhio e lo ha seguito, pensando che, una volta giunto vicino alla terra, gli sarebbe entrato un po’ di sale in zucca. Immaginatevi il suo stupore quando l’uomo è finito a piena schiena sul dorso di un aerostato.