— Dove trovate il tempo di abbellire tutti gli oggetti? — le chiese Chris, indicandole la pagaia.
— Se non vale la pena di abbellirlo — disse Valiha — non vale la pena di farlo. Non fabbrichiamo tanti oggetti quanti ne fabbricano gli umani. E non facciamo le cose per poi buttarle via. Facciamo le cose una alla volta, e non ne cominciamo una seconda finché non abbiamo finito la prima. Tra i titanidi non troverai mai la catena di montaggio.
Chris si voltò verso di lei. — Davvero, non c’è altro? È solo dovuto a un modo diverso di vedere le cose?
Valiha sorrise. — Solo in parte. È anche dovuto al fatto che non dormiamo mai. Voi umani passate un terzo della vita in stato di incoscienza. Noi no.
— Deve essere molto strano. — Sapeva che i titanidi non dormivano, ma non aveva mai pensato veramente alle implicazioni del fenomeno.
— Non certo per noi. Ma ho l’impressione che abbiamo un senso diverso del passare del tempo. Il nostro tempo non si interrompe mai. Noi lo misuriamo, ovviamente, ma come un flusso continuo, invece che come una successione di giorni.
— Sì… ma cosa c’entra con l’artigianato?
— Abbiamo più tempo. Non dormiamo, ma passiamo circa un quarto della vita riposando. Stiamo seduti, cantiamo e facciamo piccoli lavoretti. A lungo andare, il lavoro che si riesce a compiere è molto.
Coloro che navigano sull’Ofione spesso notano che il fiume dà un senso di assenza di tempo. Ofione è l’inizio e la fine di tutte le cose su Gea, il cerchio di acqua che lega insieme tutte le cose. Come tale, dava il senso di essere un fiume molto antico, perché la stessa Gea cominciava a invecchiare.
Ofione era vecchio, ma questo è relativo. Pur essendo vecchio come Gea, era ancora un bambino, rispetto ai grandi fiumi della Terra. Inoltre, occorre ricordare che molti degli umani vedevano il fiume soltanto nel tratto che scorreva in Iperione, dove era largo e placido. In altre zone del suo corso di quattromila chilometri, Ofione era tumultuoso come il Colorado.
Chris aveva pensato che il viaggio fosse molto veloce. Del resto, era quello che si faceva quando si viaggiava in canoa: si sceglieva un fiume molto rapido, e ci si lasciava trasportare dall’acqua coperta di schiuma.
— Faresti bene a rilassarti — disse Valiha, dietro di lui. — Ti stancherai troppo presto, e poi avrai bisogno di dormire. Gli umani sono noiosissimi, quando dormono. Io conosco bene questa parte del fiume. Tra qui e Aglaia non c’è nessun pericolo. Qui, Ofione è misericordioso.
Chris posò la pagaia sul fondo della canoa e si voltò a guardarla. Valiha sedeva placidamente, dietro il cumulo delle provviste avvolte nella tela cerata. La pagaia della titanide era il doppio della sua. Valiha pareva tranquillissima, con tutt’e quattro le zampe ripiegate sotto il corpo, e la cosa parve alquanto strana a Chris, che non avrebbe mai creduto che una creatura tanto simile a un cavallo amasse stare seduta a quel modo.
— Voialtri non mancate mai di sorprendermi — le disse. — Pensavo di avere le allucinazioni, la prima volta che ho visto un titanide arrampicarsi sugli alberi. Adesso scopro che siete anche marinai.
— No, siete voi a stupirmi — ribatté Valiha. — Come facciate, per mantenere l’equilibrio, è un vero mistero. Quando vi mettete a correre, cominciate il movimento con una caduta in avanti, e poi le gambe si mettono alla pari del corpo. Vivete sempre sull’orlo del disastro.
Chris rise. — Hai ragione. Almeno, è quello che capita a me. — Osservò il suo ritmo di remata, e per qualche tempo si udì soltanto il leggero gorgoglio del remo.
— Dovrei darti una mano. Potremmo fare dei turni.
— Certo. Io remo per i primi tre quarti di riv, e tu per l’altro quarto.
— Non mi sembra giusto.
— So quello che dico. Non faccio nessuna fatica.
— Eppure, la barca va in fretta.
Valiha gli strizzò l’occhio, e cominciò a pagaiare con forza. La canoa parve volare sull’acqua, saltando sulle onde come una pietra piatta. La titanide remò in quel modo per una decina di colpi, poi riprese il ritmo di prima.
— Potrei mantenere quel ritmo per un’intera rivoluzione — disse. — Accetta il fatto che sono molto più robusta di te, anche se tu fossi in piena forma. E adesso non lo sei. Abituati gradualmente.
— Certo. Ma penso che dovrei fare qualcosa anch’io.
— Sono d’accordo. Riposati, e lascia a me i lavori servili.
Fece come lei gli diceva, ma le parole di Valiha non fecero che risvegliare una delle sue vecchie riserve mentali.
— Mi sento alquanto a disagio — disse. — E il motivo fondamentale è questo: che noi umani ci serviamo di voi titanidi come… ecco, come animali da soma.
— Noi possiamo portare un carico più grosso del vostro.
— Certo, lo so. Ma io non ho neppure uno zaino. E… ecco, mi sento sempre un po’ in colpa quando…
— Quando ti porto sulla schiena, vero? — Lei gli sorrise e roteò gli occhi verso l’alto. — Tra poco proporrai di fare la strada a piedi, per permettermi di riposare, vero?
— In un certo senso.
— Chris, non c’è niente di più noioso che camminare con un essere umano.
— Neppure guardarlo mentre dorme?
— Mi hai battuto. Sì, è più noioso ancora.
— A quanto sento, ci trovi noiosi.
— Niente affatto, siete sempre affascinanti. Uno non sa mai cosa farà un essere umano, e per quale motivo. Se avessimo delle università, il corso più frequentato sarebbe quello di Studi Umani. Ma io sono giovane e impaziente, come ha detto la Maga. Se vorrai, potrai camminare, e io cercherò di rallentare il passo. Ma non so se gli altri saranno d’accordo.
— Lascia perdere — disse Chris. — Semplicemente, non voglio essere di peso a nessuno, in nessun senso.
— Non lo sei affatto — lo rassicurò lei. — Quando ti porto in groppa, il mio cuore si solleva e i miei piedi volano come il vento. — Lo fissava negli occhi, e aveva una strana espressione sulla faccia. Lui non riuscì a interpretarla con esattezza, ma sentì il desiderio di cambiare argomento.
— Perché sei venuta, Valiha? Su questa barca, a fare questo viaggio?
— Io, personalmente, o parli anche degli altri titanidi? — Proseguì senza aspettare la risposta. — Salterio è con noi perché accompagna sempre Gaby. E lo stesso vale per Cornamusa. Quanto a Oboe, suppongo che sia venuta perché molte volte la Maga concede un figlio a coloro che fanno la circumnavigazione del grande fiume.
— Davvero? — rise lui. — Mi chiedo se farà avere un figlio anche a me, quando sarò di ritorno! — Si aspettava che lei ridesse, ma le rivide sulla faccia quella strana espressione. — Ma non mi hai detto perché sei venuta. Tu… be’, sei gravida, vero?
— Sì. Chris, mi dispiace veramente di essere corsa via, e di averti lasciato solo. Io avrei potuto…
— Oh, lascia perdere. Ti sei già scusata, e, poi, sono cose che mi rendono sempre nervoso. Non dovresti riposarti?
— C’è ancora molto tempo. E, poi, non è una condizione che dia gravi preoccupazioni. Sono qui perché viaggiare con la Maga è sempre un grande onore. E perché sei mio amico.
Di nuovo quello sguardo strano.
— Disturbo?
Chris sollevò lo sguardo, sorpreso. Non dormiva, ma non era neppure del tutto sveglio. Aveva le ginocchia rigide per avere mantenuto per molto tempo la stessa posizione.
— No, niente affatto. Sali sulla nostra barca. — La canoa di Gaby si era messa a fianco di quella di Chris e Valiha. Gaby passò dall’una all’altra e si mise a sedere davanti a Chris. Piegò di lato la testa e lo osservò con aria interrogativa.
— Stai bene? — gli chiese.