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E poi c’era Chris.

Aveva rimandato il momento di parlargli, perché si sentiva a disagio, a stare in compagnia con un maschio. Eppure, già sapeva che molte delle cose che le erano state insegnate a proposito dei maschi non erano vere. Aveva capito che la descrizione degli uomini, passando da una bocca all’altra, era diventata sempre più colorita. Non riusciva a immaginare di potersi trovare a proprio agio in compagnia di Chris, ma, visto che dovevano fare il viaggio insieme, era preferibile conoscerlo meglio.

La cosa, comunque, incontrava ogni sorta di contrattempi, e Robin accusò se stessa. Non era colpa di lui, che invece sembrava sufficientemente aperto. Semplicemente, Robin non riusciva a parlargli. Era molto più facile parlare con i titanidi. I titanidi sembravano meno alieni di lui.

Perciò, invece di parlare, lei guardava l’acqua che sgocciolava dalla tela impermeabile stesa tra due alberi. Non c’era un alito di vento. La pioggia cadeva verticalmente, senza interruzione, sotto forma di grandi gocce, ma quel riparo di fortuna era sufficiente a tenerli all’asciutto. Il fuoco era per il caffè e per la Maga; faceva abbastanza caldo, ma era sopportabile.

— Quando è nuvolo, Iperione è molto più scuro della California — disse a un certo momento Chris.

— Davvero? Non sapevo.

Lui le sorrise, ma senza alcuna superiorità. Pareva che anche lui avesse voglia di parlare.

— Qui, la luce ti inganna — disse. — Sembra abbastanza chiaro, ma è perché gli occhi si abituano. La luce ricevuta da Saturno è un centesimo di quella terrestre. Quando c’è qualcosa che blocca questa luce, si nota subito la differenza.

— Non sapevo. Noi ci regoliamo diversamente, nella Congrega. Apriamo le finestre per settimane di fila, per far crescere meglio le piante.

— Davvero? Mi piacerebbe saperne di più.

Lei gli parlò della vita nella Congrega, e trovò un ulteriore punto di somiglianza tra uomini e donne: era facile parlare con una persona che fosse un buon ascoltatore. Robin sapeva di non esserlo, e non se ne vergognava affatto, ma rispettava coloro che, come Chris, facevano in modo che gli altri si sentissero al centro dell’attenzione, e che davano l’impressione di essere completamente assorti in quello che si raccontava loro. Dapprima questo rispetto, concesso così a malincuore, la rese nervosa. Quello era un maschio, maledizione. Ormai non temeva più di essere aggredita due volte al giorno, ma si sentiva disorientata nel constatare che, dietro quel cespuglio di barba e quelle spalle troppo larghe, quell’uomo si comportava come si sarebbe comportata qualsiasi sorella.

Capiva che molti aspetti della Congrega gli sembravano davvero strani, anche se Chris non glielo diceva espressamente. Dapprima, questo le diede un po’ fastidio… come, un membro della società penista che si permetteva di pensare che il suo mondo fosse strano?… ma infine, cercando di essere onesta, dovette ammettere che tutti i costumi dovevano sembrare strani a coloro che non erano abituati a essi.

— Quei… tatuaggi, allora? Tutte li portano, nella Congrega?

— Esatto. Alcune ne hanno più di me, altre meno. Tutte hanno il Pentasma. — Inclinò la testa per fargli vedere il disegno che aveva attorno all’orecchio. — Di solito è attorno al segno della madre, ma il mio ventre è macchiato, e… — Chris aggrottava la fronte, senza capire. — Il… come lo chiamava, Gaby? L’ombelico. — Rise, ricordando la parola. — Che strano nome. Noi lo chiamiamo la prima finestra dell’anima, perché segna il vincolo più sacro, quello tra madre e figlia. Le finestre della testa sono le finestre della mente. Io sono stata accusata di eterodossia perché mi sono messa il Pentasma in modo che mi sorvegliasse la mente invece dell’anima, ma in tribunale mi sono difesa con successo citando la mia macchia. Le finestre dell’anima portano all’utero, sopra e sotto. — Si toccò l’ombelico e l’inguine, poi si affrettò a ritirare le mani perché si ricordò delle differenze tra lei e un uomo.

— Temo di non capire il particolare della macchia.

— Non posso avere figli. Avrebbero anch’essi il mio disturbo, così dicono i medici.

— Mi spiace.

Robin aggrottò le sopracciglia. — Non capisco questa abitudine di scusarsi di cose di cui non si è responsabili. O hai lavorato alla banca dello sperma Semen, di Atlanta Ga?

— Georgia — disse lui, sorridendo. — La G e la A sono l’abbreviazione di Georgia. No, non ci ho mai lavorato.

— Un giorno incontrerò l’uomo che lo ha fatto. Farà una morte poco comune.

— Non era una vera e propria scusa — spiegò lui. — Non in quel senso. Noi diciamo spesso che ci spiace, per dimostrare la nostra comprensione.

— Noi non vogliamo la comprensione di nessuno.

— Allora, ritiro l’offerta. — Il suo sorriso era contagioso, e presto Robin si trovò a sorridere con lui. — Anch’io ne ricevo fin troppa. Ma di solito lascio perdere, a meno che non abbia voglia di litigare.

Robin si chiese come potesse parlare con tanta indifferenza. I penisti erano molto diversi tra loro. Alcuni non capivano neppure cosa fosse l’onore. Altri erano molto suscettibili. Al suo arrivo, Robin aveva sopportato ingiurie che non avrebbe mai accettato da parte del suo popolo, e il motivo era che questa gente non sapeva cosa faceva. Dapprima lei aveva pensato che nessuno di loro avesse il minimo rispetto di sé, ma adesso era giunta a credere che Chris ne avesse un po’ (ma non molto); se era disposto ad accettare senza proteste la comprensione altrui, evidentemente non la considerava un pericolo per il suo senso di autonomia.

— A volte mi hanno accusato di essere litigiosa — ammise Robin. — Le sorelle, intendo. A volte possiamo accettare la comprensione altrui senza perdita di onore, allorché non implica superiorità da parte di chi la concede.

— Allora, hai la mia comprensione — disse Chris. — Da sofferente a sofferente.

— Accettata.

— Cosa intendi con "penista"?

— È il termine con cui definiamo la vostra società. È un termine delle prime sorelle.

— D’accordo. Perché vuoi uccidere quel tale in Georgia?

Senza volerlo, si trovò lanciata in una spiegazione di quello che le era stato fatto, nonché del motivo che aveva spinto a farlo, e questo portò a una descrizione della struttura di potere penista e del suo funzionamento.

Poi pensò che davanti a lei c’era un presunto membro di quella struttura. Stranamente, provò un certo imbarazzo. Gli aveva rivolto alcune accuse piuttosto gravi, e, dopotutto, lui non le aveva fatto niente, personalmente. La cosa aveva importanza? Robin non avrebbe più saputo dirlo.

— Almeno, adesso so cosa intendete con "penista" — commentò lui.

— Non intendevo accusarti personalmente — disse Robin. — Sono certa che vedi le cose in modo diverso, a causa dell’ambiente in cui sei cresciuto…

— Non esserne troppo sicura — disse lui. — Non posso certo condividere la tua idea di una enorme congiura, naturalmente. O, meglio, ammesso che ce ne sia una, nessuno mi ha mai invitato a partecipare alle riunioni. E credo che tu… che la tua Congrega… parta da un ritratto del mondo che è in gran parte superato. Se ho capito bene, su questo sei d’accordo anche tu, almeno in parte.

Lei alzò le spalle, tenendosi sulle sue. Aveva ragione; almeno in parte.

— Quando il vostro gruppo si è staccato dal resto dell’umanità, forse le cose erano brutte come dici. Io non c’ero, e anche se ci fossi stato, avrei fatto parte della classe degli oppressori e avrei pensato che fosse il giusto modo di vivere. Ma mi hanno detto che oggi le cose sono molto migliorate. Non dico che siano perfette. Le cose non sono mai perfette. Ma gran parte delle donne che conosco sono felici. Non pensano di dover ancora combattere molte battaglie.