— Ti ho disturbato?
Robin scosse la testa. — Non riesco a dormire — confessò. — È la prima volta, in tutta la mia vita, che non dormo in un letto.
— Oboe sarà lieta di procurarti dell’altro muschio.
— Non servirebbe. Devo abituarmi, credo.
— Potresti metterti qualcosa di più leggero.
Robin le mostrò l’elegantissima camicia da notte che Oboe le aveva preparato. — Non è il mio genere — disse. — Come si può dormire in una camicia da notte come questa? Starebbe bene in una vetrina.
Gaby rise, poi appoggiò a terra un ginocchio e si aggiustò uno stivale. Quando sollevò nuovamente lo sguardo, vide che Robin la guardava. Meglio affrontare l’argomento, pensò. Sa che non sei entrata per portarle gli asciugamani puliti.
— Credo di doverti delle scuse, per prima cosa — disse. — E quindi ti faccio le mie scuse. Mi spiace di averlo fatto, non avevo giustificazione.
— Accetto le scuse — disse Robin. — Ma l’avvertimento resta valido.
— Giusto. Capisco. — Gaby sceglieva le parole con la massima attenzione possibile. Occorreva qualcosa di più di una scusa, ma non voleva assumere toni di superiorità.
— Quello che ho fatto è sbagliato sia nella tua cultura che nella mia — disse. — Le scuse sono per avere violato il mio codice di comportamento. Ma mi dicevi che voi streghe avete un sistema di doveri, non ricordo più la parola.
— Labra — disse Robin.
— Già. Non pretendo di capirne tutte le sfumature. Credo di averlo violato, anche se non so come. Perciò devo chiederti un aiuto. C’è un modo per risolvere la questione tra noi? Posso fare qualcosa per cancellare l’accaduto?
Robin aggrottava la fronte. — Non vorrai…
— No, sono disposta a fare qualsiasi cosa. C’è forse un modo?
— Sì. Ma…
— Quale?
Robin sollevò le mani. — Come in tutte le culture primitive, credo. Un duello. Tra noi.
— Un duello di che tipo? — chiese Gaby. — A morte?
— Non siamo primitivi fino a questo punto. Lo scopo è la riconciliazione, non l’omicidio. Se pensassi di doverti uccidere, lo farei, sperando di essere aiutata in tribunale dalle sorelle. Un combattimento a mani nude.
Gaby rifletté. — E se vinco io?
Robin sospirò, esasperata.
— Non hai capito. L’importante non è vincere; almeno, non nel senso che pensi tu. Non dobbiamo cercare di dimostrare chi è la migliore. La lotta servirebbe soltanto a far vedere chi è più forte e più veloce, e questo non ha niente a che fare con l’onore. Ma, accettando di lottare con la clausola di non ucciderci, ciascuna di noi riconosce che l’altra è un avversario meritevole, e dunque onorevole. — S’interruppe, e per un attimo fece una faccia estremamente perfida. — Non preoccupartene — aggiunse. — Non vincerai…
Gaby le sorrise a sua volta, e pensò nuovamente che quella strana ragazzina le era davvero simpatica. Più che mai, desiderava averla dalla propria parte, quando fossero iniziati i pericoli.
— Allora? Sono un’avversaria meritevole?
Robin attese qualche istante, prima di rispondere. Da quando aveva proposto la lotta, Gaby si era accorta di un certo cambiamento in se stessa. Si chiese se Robin lo stesse prendendo in considerazione. Doveva lasciarla vincere? Poteva essere rischioso, se Robin l’avesse sospettata di lottare senza impegno. E se Robin avesse perso, avrebbe seppellito la scure di guerra? Gaby doveva basarsi sulla sua parola. Pensava di conoscere a sufficienza la piccola strega: il suo concetto di onore non le avrebbe permesso di suggerire la lotta, se non avesse pensato di mantenere i patti. Perciò doveva aspettarsi un combattimento serio, e probabilmente anche qualche ammaccatura.
— Se è davvero questo che vuoi… — disse Robin.
Robin si toglieva i vestiti, e Gaby la imitò. Erano a mezzo chilometro dal fiume, e il fuoco del campo era una macchiolina di luce che si scorgeva a distanza, in mezzo alla pioggia. Il campo dove dovevano combattere era una bassa depressione fra due collinette. C’era dell’erba, ma il terreno era sufficientemente compatto: terra cotta dal calore, che cominciava a inumidirsi soltanto allora, dopo sei ore di pioggia continua. Comunque, c’era qualche difficoltà a muoversi. In certi punti c’erano delle pozzanghere e del fango.
Si misero una davanti all’altra, e Gaby valutò la sua avversaria. Erano pressappoco pari. Gaby aveva qualche centimetro di altezza e qualche chilo di più.
— Ci sono delle procedure da rispettare, dei rituali?
— Sì, ma si tratta di cose complicate, e per te non avrebbero significato; meglio lasciarle perdere. Abracadabra e salagazam, tu t’inchini a me e io mi inchino a te, e il rito è soddisfatto. Va bene?
— Ci sono delle regole?
— Come? Oh, credo di sì, non pensi? Ma non so fino a che punto tu conosci la lotta.
— So come uccidere una persona con le mani nude.
— Allora, diciamo niente colpi che causino danni permanenti all’avversario. Chi perde dovrà essere in grado di camminare, domani. A parte questo, tutto è permesso.
— Giusto, ma, prima di cominciare, mi incuriosiva il tatuaggio che hai sullo stomaco. Cosa significa? — Indicò il ventre di Robin.
Sarebbe andata meglio se Robin si fosse guardata la pancia invece di guardare la mano di Gaby, ma fu colta fuori guardia lo stesso, quando Gaby scalciò con il piede che aveva accuratamente infilato nel fango. Robin evitò il calcio, ma un mucchietto di fango la colpì sulla faccia, accecandole un occhio.
Gaby aveva previsto il balzo all’indietro ed era pronta a sfruttarlo, ma i riflessi di Robin furono più svelti, e Gaby si prese un calcio sul fianco. La rallentò quanto bastava a Robin per eseguire la sua mossa a sorpresa.
Si voltò dall’altra parte e corse via.
Gaby le corse dietro, ma non era una tattica a cui fosse abituata. Si aspettava qualche trucco, e perciò la rincorse più lentamente di quanto avrebbe potuto. Di conseguenza, Robin riuscì presto a distanziarla. Si fermò quando la distanza tra loro salì a dieci metri, e, quando si voltò, aveva entrambi gli occhi bene aperti.
Gaby pensava che probabilmente vedeva meno bene di prima, ma la pioggia le aveva tolto gran parte dello svantaggio. Gaby rimase colpita dalle azioni di Robin. Quando tornò ad avvicinarsi alla ragazza, lo fece con grande cautela.
Fu come se fossero ripartite dall’inizio. Gaby si sentiva impacciata, perché non aveva mai combattuto in quella maniera, in precedenza. Aveva imparato la lotta molto tempo prima, e anche se le sue conoscenze non erano certo arrugginite, faticava a ricordare cosa avesse imparato in quelle lezioni. Negli ultimi ottant’anni aveva sempre combattuto seriamente, nel senso che quei combattimenti potevano essere mortali. L’impostazione della lotta non era mai più stata quella di una lezione. Robin, invece, doveva avere una grande esperienza di quel tipo di lotta. Dato il caratterino della ragazza, Gaby era disposta a metterci la mano sul fuoco.
Non c’era motivo perché la lotta durasse più di qualche minuto, anche lottando corpo a corpo. Ma Gaby ne dubitava. Quando si avvicinò all’avversaria, decise di rischiare il tutto per tutto; non cercò di colpire con calci o pugni, e in tal modo lasciò a Robin un varco, perché era certa di riuscire a bloccarla in tempo, se lei ne avesse approfittato. Invece, Robin non cercò di approfittarne, e finirono per afferrarsi per le braccia, con un presa di lotta greco-romana. Senza bisogno di dirlo a parole, questo costituiva una sorta di accordo tra loro, e Gaby si ripromise di rispettarlo. Accettando che la lotta si ritualizzasse al di là delle regole pattuite, Robin in sostanza le diceva che non voleva che si facessero male. Questo significava che giudicava Gaby un’avversaria onorevole.
Occorse un certo tempo. Gaby comprese che, accettando quel tipo di lotta, rinunciava a qualsiasi vantaggio. Ma la cosa non aveva importanza. Si aspettava di perdere, ma questo non le impedì di offrire tutta la resistenza di cui era capace. Robin si trovò in un vero combattimento, e non in un gioco.