— E toglietevi quell’apostrofo — disse a un certo punto la titanide.
— Eh?
— Dal nome. Chiamatevi semplicemente «’Chris». Odio gli apostrofi.
— Io…
— Non costringetemi a dire che, se dipendesse da me, non manderei su Gea uno che ha un nome ridicolo come Chris’fer.
— Va bene, non vi costringo. Voglio dire, d’accordo. Cambierò nome.
Lei si era fermata a un cancello che si apriva nella rete che serviva a tenere la gente lontana dal ponte. Lo tenne aperto per lui, ed entrambi passarono.
— E cambiatevi il cognome. Fatevi chiamare Major. Forse riuscirà a sconfiggere il fatalismo che c’è in voi.
— D’accordo.
— Cambiatevelo in tribunale, e mandatemi una copia dell’atto.
Si fermarono ai piedi di un enorme pilone di sostegno di cemento armato. Accanto a loro c’era una scaletta di metallo, che pareva collocata laggiù da poco tempo. Guardando verso l’alto, la si vedeva scomparire nella distanza, ma evidentemente saliva fino al livello del ponte, senza nessuna gabbia di protezione.
— Il vostro passaporto è in cima alla torre sud. È una piccola bandiera di Gea, come quella dell’ambasciata. Salite la scaletta, raggiungete il cavo, prendetela e portatela a me. Vi aspetto.
Chris’fer guardò prima la scala, poi il terreno. Si asciugò le palme delle mani sui calzoni.
— Posso chiedere perché? Lo farò, se devo farlo, ma che cosa significa? Mi sembra un gioco.
— È come un gioco, Chris. È fatto a caso, non ha senso. Se non riuscirete ad arrampicarvi su questa scaletta, non varrà la pena che vi mandi su Gea. Avanti, amico. — Sorrideva, e Chris’fer pensò che, nonostante la simpatia che lei professava per gli umani, si sarebbe senza dubbio divertita a vederlo cadere. Posò il piede sul primo scalino, alzò il braccio per afferrarsi a quello sopra di lui, e sentì che la titanide gli posava la mano sulla spalla.
— Quando sarete su Gea — disse — non aspettatevi molto. Da questo momento in poi, siete nelle mani di un potere smisurato e capriccioso.
3
L’urlatrice
La Congrega era stata fondata alla fine del ventesimo secolo, anche se allora aveva un nome diverso. A quell’epoca era un’associazione di carattere più politico che religioso. I dati disponibili sui primi tempi del gruppo affermano che i membri fondatori non prendevano eccessivamente sul serio certe parti delle loro attività. Pochi di essi credevano nella Grande Madre e nella magia. La stregoneria, all’inizio, era semplicemente una sorta di «colla» sociale, che permetteva alla comunità di rimanere unita.
Con il passare del tempo, i dilettanti cominciarono ad annoiarsi, i moderati e gli scarsamente convinti se ne andarono, e il nucleo rimasto prese sempre più seriamente i propri riti. Si cominciò a parlare di sacrifici umani. Si disse che le donne che vivevano nella comune soffocavano i neonati di sesso maschile. L’interesse destato da queste notizie servì a unire il gruppo contro l’ostilità del mondo. Si trasferirono varie volte, e alla fine giunsero in un remoto angolo dell’Australia. Laggiù la Congrega pareva certamente destinata a perire, perché tutte le sue componenti avevano giurato di non riprodursi finché non fosse stata inventata la partenogenesi. Ma arrivò l’Urlatrice, e tutto questo cambiò.
L’Urlatrice era un asteroide: milioni di tonnellate di ferro metallico, nichel, e ghiaccio, con filoni di impurità al suo interno, come in certe biglie di vetro con cui giocano i bambini, che una serena mattina di maggio attraversarono il cielo sotto forma di una striscia incandescente. Il ghiaccio si vaporizzò, ma il ferro, il nichel e le impurità finirono nel deserto, ai limiti della zona di cui era proprietaria la Congrega. Una delle impurità era l’oro. Un’altra l’uranio.
Fu una fortuna che l’Urlatrice colpisse il limite della zona, perché, anche a quella distanza, l’urto uccise il sessanta per cento degli appartenenti al gruppo. La notizia della composizione dell’asteroide si diffuse rapidamente. Da un giorno all’altro, la Congrega si trasformò, da un culto dimenticato, a una religione abbastanza ricca da porsi a fianco dei cattolici, dei mormoni e degli scientologi.
Portò anche sul gruppo un interesse di cui il gruppo avrebbe fatto volentieri a meno. Il deserto australiano sembrerebbe sufficientemente lontano dalla società, ma nel loro caso si era dimostrato un po’ troppo accessibile. La Congrega volle trovare un posto isolato nel vero senso della parola.
Si era verso il 2030, e la possibilità c’era.
Quando due corpi orbitano intorno a un centro comune di gravità, come nel sistema Terra-Luna, si creano cinque punti di stabilità gravitazionale. Due sono sull’orbita del corpo più piccolo, a sessanta gradi di distanza. Uno è tra i due corpi, un altro è dietro il corpo più piccolo. Sono chiamati punti lagrangiani, e hanno sigla da L1 a L5.
Nei punti L4 e L5 c’erano già alcune colonie, e altre erano in costruzione. La scelta migliore era L2: da laggiù, la Terra era totalmente nascosta dietro la Luna.
Perciò costruirono la Congrega in L2. Era un cilindro lungo sette chilometri e con un raggio di due. La gravità artificiale era fornita dalla rotazione intorno all’asse centrale; per avere la notte, bastava chiudere le finestre.
Ma l’isolamento ebbe breve durata. La Congrega era stato uno dei primi gruppi privati che si erano trasferiti nello spazio, ma non fu il solo. Presto le tecniche di colonizzazione dello spazio furono perfezione, economizzate, standardizzate. Ditte costruttrici presero a fabbricare le colonie in serie, come aveva fatto Henry Ford con la Modello T. Come dimensione, c’erano tutte le taglie, dal semplicemente gigantesco al pantagruelico.
La zona cominciò ad affollarsi, e di gente stramba. A quel punto, qualsiasi gruppetto di pazzoidi, separatisti o contestatori era in grado di comprarsi la propria colonia lagrangiana. Il punto L2 venne soprannominato Sargasso dai piloti, che evitavano accuratamente di avvicinarsi; coloro che dovevano recarsi laggiù lo chiamavano invece la Palla da Flipper, e facevano una smorfia.
Alcuni dei gruppi non erano in grado di occuparsi di meccanismi sofisticati. Si aspettavano di vivere nel più puro squallore pastorale, all’interno di colonie che erano solo una grossa scatola vuota. Le ditte costruttrici erano liete di accontentarli, in base alla convinzione che gli abitanti della colonia, se avessero avuto sotto mano macchinari sofisticati e costosi, si sarebbero fatti male. Di tanto in tanto, una di queste colonie si spaccava, rovesciando nel vuoto contenuto e abitanti. Oppure, l’ecologia interna impazziva, e la gente moriva di fame, o soffocava. C’era poi sempre qualcuno disposto ad acquistare il guscio vuoto, a sterilizzarlo mediante l’esposizione allo spazio e a trasferirsi laggiù a prezzi d’occasione. La Terra aveva sempre una grossa riserva di pazzoidi e di contestatori. Le Nazioni Unite erano liete di sbarazzarsene, e non facevano domande. Era un’epoca di speculatori: grandi fortune costruite in poco tempo, moralità da pescecani. Si combinavano accordi che sarebbero stati giudicati immorali perfino da un palazzinaro della Florida, il che è tutto dire.
Nel Sargasso c’erano culture che assomigliavano più a carcinomi che a comunità. I regimi più repressivi che l’umanità avesse mai conosciuto si formarono e morirono nei punti lagrangiani.
Ma la Congrega non era uno di questi. Anche se erano in L2 da soli cinquant’anni, il periodo era sufficientemente lungo per qualificarli tra i fondatori. E come succede ogni volta ai primi abitanti di un luogo, rimasero stupefatti nel vedere che razza di gente andava ad abitare accanto a loro. Ormai si erano dimenticati le proprie origini. La maturità, il benessere, l’ambiente che richiedeva una costante attenzione, avevano reso, dapprima, la Congrega molto più tollerante, e poi le avevano dato una grande robustezza, una grande vitalità, con un imprevedibile margine di libertà personale. Il liberalesimo aveva alzato la testa, e gli austeri e intransigenti massimalisti dei primordi erano stati sostituiti dai riformatori. Il rituale religioso era stato di nuovo messo in secondo piano, e le donne erano ritornate a quella che, anche se non lo sapevano, era la fonte prima della loro comunità: il separatismo lesbico. Anche se la parola «lesbico» aveva perso già allora gran parte del suo significato di contestazione. Sulla Terra, per molte delle donne del gruppo, l’omosessualità era sorta come risposta alle ingiustizie sofferte a causa del sesso maschile. Nello spazio, nell’isolamento, era divenuta l’ordine naturale, la base indiscussa di ogni realtà. Gli uomini erano delle astrazioni, degli esseri ricordati in maniera imprecisa, orchi che venivano citati per spaventare le bambine, e, per di più, orchi poco interessanti.