Complessivamente, impiegarono tre ettoriv per uscire dal Canyon. Fu la media più bassa che avessero mai tenuta. I frutti che costituivano la parte più gradevole della loro alimentazione erano assenti. Mangiarono i cibi conservati che avevano nelle sacche. Ma c’era ancora un po’ di selvaggina. A un certo punto, quando incontrarono un pianoro ricco di piccole creature con dieci zampe, coperte di scaglie, i titanidi ne presero più di un centinaio e passarono tre giorni ad affumicarle per conservarle, insaporendole con erbe e radici.
Robin non si era mai sentita così bene. Si era accorta con una certa sorpresa che quella vita le piaceva. Si alzava presto, faceva una buona colazione, e alla fine della giornata non aveva difficoltà a prendere sonno. Se non fosse stato per la morte di Salterio, si sarebbe potuta considerare felice. Da moltissimo tempo non le succedeva.
Era strano vedere che Ofione si fermava dove finiva il giorno, ma le cose stavano esattamente così. Alla sua estremità orientale si immetteva in un piccolo lago scuro chiamato Triana, e non ne usciva più. Fino a quel momento, il fiume era stato una costante del loro viaggio: si erano separati da esso soltanto in corrispondenza delle pompe. In definitiva, anche Nox e Crepuscolo erano soltanto due zone in cui il fiume si allargava a dismisura. La scomparsa del fiume parve a Robin di cattivo auspicio.
Ma i cattivi presentimenti legati alla scomparsa del fiume non erano niente, rispetto allo spettacolo che si stagliò davanti a loro, quando la loro ridotta flottiglia giunse sul Triana. Era un ossario. La spiaggia di sabbia bianca era coperta dagli scheletri di miliardi di creature, che formavano grandi dune e onde immote, che si accumulavano a costituire rachitici golgota. Giunti alla riva, si fermarono all’ombra di una singola piastra ossea alta otto metri, mentre scricchiolavano sotto i loro piedi le costole di creature più piccole di topolini.
Pareva il luogo dove ogni cosa finiva. Robin, pur non giudicandosi superstiziosa, era tutta presa da cupi presentimenti. In precedenza non aveva mai dato peso all’esiguità della luce diurna di Gea. Tutti parlavano dell’«eterno pomeriggio» che regnava nella ruota; invece Robin l’aveva sempre visto come un mattino. Ma laggiù non era capace di farlo. Le sponde del Lago Triana parevano cristallizzate nell’istante che precede la fine del tempo. Le ossa accumulate erano il profilo dei grattacieli della metropoli della morte, l’anticipo dell’immenso deserto di Teti.
Le ritornò in mente un’osservazione di Gaby, allorché aveva paragonato Ofione a una toilette. Visto da Tiana, il fiume lo era davvero. Tutti i morti della grande ruota andavano a finire sulle rive di quel lago. Stava per dire qualcosa a Gaby, ma si fermò in tempo. Anche Salterio sarebbe probabilmente finito laggiù.
— Ti senti triste, Robin?
Sollevò lo sguardo e vide che la Maga la osservava. Cercò di liberarsi della malinconia, ma non ci riuscì. Cirocco le posò la mano sulla spalla e la condusse lungo la riva. Poche settimane prima, a Robin quel gesto avrebbe dato fastidio, ma adesso le dava sicurezza. La sabbia era fine come zucchero, ed era piacevolmente calda sotto le dita dei piedi.
— Non lasciarti abbattere — disse Cirocco. — Questo posto non è quello che sembra.
— Non saprei dire a cosa sembra.
— Non è il sacchetto della spazzatura di Gea. È un cimitero, questo è vero. Ma Ofione non finisce qui. Il fiume scorre sottoterra, per poi risalire all’altro estremo di Teti. Le ossa sono portate qui dagli animali che si nutrono di cadaveri. Sono lunghi mezzo metro, e una delle loro forme vive nell’acqua, mentre l’altra vive nel lago. È una storia complicata, ma si riduce a questo: nessuno dei due tipi può sopravvivere senza l’altro. Si incontrano qui sulla riva per scambiarsi doni, per accoppiarsi, e per mettere al mondo i piccoli. È un tipo di situazione che si incontra spesso su Gea.
— È deprimente — disse Robin.
— I titanidi amano questo posto. Non sono molti, i titanidi che si spingono fin qui, ma, quando lo fanno, scattano molte fotografie da mostrare agli amici, al loro ritorno. Ha una sua bellezza, se uno si abitua.
— Non credo che mi ci abituerò mai. — Robin,si asciugò la fronte, poi si tolse la camicia e si recò sulla riva. La immerse nell’acqua, la strizzò, e poi tornò a indossarla. — Perché fa così caldo? Il sole non arriva neppure a riscaldare la pelle, ma la sabbia è rovente.
— Viene dal di sotto. Tutte le regioni sono riscaldate o raffreddate da liquidi che scorrono nel sottosuolo. I liquidi raggiungono le grandi pinne poste nello spazio per essere riscaldati, e vanno nella parte in ombra per raffreddarsi.
Robin fissò la faccia di Cirocco dal colorito scuro, la pelle abbronzata delle braccia e delle gambe. Ricordò che sotto quella coperta, che era, a quanto pareva, l’unico abito da lei posseduto, anche il resto della pelle di Cirocco era altrettanto scuro. Però sembrava un’abbronzatura, e la cosa destava già da varie settimane le sue perplessità. Maledizione, la pelle di Robin era bianca come il giorno in cui era arrivata.
— Tu e Gaby siete di pelle scura? Direi di no, ma non capisco come ci si possa abbronzare quaggiù.
— Io sono un po’ più scura di Gaby, ma lei è chiara come te. E hai ragione, non è colpa del sole. Un giorno o l’altro te ne spiegherò il motivo. — Smise di camminare e guardò verso est. C’era un varco tra gli alti mucchi di ossa, ed era possibile vedere una catena di collinette, a qualche chilometro dalla loro posizione. Si voltò e chiamò il gruppo; Robin notò con sorpresa che lei e Cirocco si erano allontanate più di duecento metri.
— Quando avrete smontato le barche — gridò Cirocco — venite a raggiungerci qui.
Qualche minuto più tardi, erano tutti attorno a Cirocco, che si sedette sulla sabbia e tracciò con il dito una lunga mappa.
— Febe, Teti, Tea — disse. — Triana. — Fece un piccolo cerchio, poi disegnò alcune alture, leggermente a est. — I Monti Eufonici. A nord, i Monti della Tramontana. E qui, isolata, la Oreja de Oro. — Guardò Chris. — Significa l’Orecchio d’Oro, e lassù c’è la possibilità di compiere un’impresa, se vuoi. Se invece non ti interessa, non passeremo di là.
— Non mi interessa — disse Chris, sorridendo divertito.
— Bene. A est, invece…
— Non ce ne parli? — chiese Robin, anche se pensava che avrebbe fatto meglio a stare zitta.
— Non ce n’è bisogno — disse Cirocco. — Nell’Orecchio d’Oro non c’è niente che ci interessi, a meno che non ci rechiamo laggiù. Non è un pericolo mobile, come Kong. — Mentre Robin si chiedeva se la prendeva in giro, Cirocco era intenta a disegnare una fila di montagne, da nord a sud, che attraversano l’intera larghezza di Teti.
— Il Nastro Azzurro Reale. Qualcuno deve essere stato colto dall’estro poetico. Quando ci sono le giuste condizioni atmosferiche hanno effettivamente un colore azzurrino, ma in gran parte sono montagne brulle. Ci sono delle rocce a precipizio, ma, se ci si reca nella regione a sud, si può passare da un picco all’altro senza eccessive difficoltà.
"Dal lago, la strada si dirige a nordest, attraverso lo spazio che c’è tra i Tramontana e gli Eufonici, che ha nome Valle di Teti. — Alzò gli occhi, con la faccia seria. — Ovvero, come talvolta è chiamata, Passo dell’Ortodonzia."
— Avevamo giurato di non ripetere mai più questa orrenda battuta — disse Gaby.
Cirocco rise. — Scusa. Comunque, dal passo la strada procede a est e incontra una serie di salite e di discese molto leggere, giunge al cavo centrale, attraversa il Nastro Azzurro Reale, e poi arriva a questo lago, in cui c’è, proprio nel mezzo, il cavo inclinato: Lago Ciliegia. Ah, ovviamente, ha un colore rosso scuro.
— E un gambo molto lungo — disse Gaby.