— Non suddividiamoci — disse Valiha. — Divisione è vulnerabilità.
Ma non ci fu il tempo di decidere. Robin, guardando in direzione del deserto, vide comparire Gaby sulla cima di una duna. Saltava con quei lunghi balzi, permessi dalla bassa gravità, che Chris aveva imparato a non trovare più strani. Ormai li conosceva a sufficienza per capire che Gaby era stanca. Era leggermente china, come se fosse ferita al fianco.
Gaby continuò ad avvicinarsi. Quando era ancora a mezzo chilometro da loro, alzò una mano e gridò, ma nessuno riuscì a distinguere le sue parole.
E neppure lei poté sentirli, quando tutti e tre cominciarono a gridare freneticamente, cercando di avvertirla di ciò che le si stava avvicinando da dietro.
Valiha fu la prima a correre verso di lei. Chris la seguì, ma la titanide lo distanziò presto. Valiha era ancora a trecento metri da Gaby quando la bomba volante sollevò il muso e lanciò il suo carico mortale. Chris lo vide scendere lentamente, e non pensò più a cosa poteva essere nascosto sotto la sabbia. Cadde proprio davanti a lei, e Gaby sollevò le braccia per proteggersi dal mare di fuoco che era improvvisamente comparso sul suo cammino.
Ne uscì di corsa.
Pareva quasi che volasse. Era in fiamme.
Chris vide che cercava di spegnere le fiamme con le mani, sentì le sue urla. Gaby aveva perso il senso della direzione. Valiha cercò di prenderla, ma non ci riuscì. Chris corse verso di lei. Fiutò odore di capelli e carne che bruciavano, quando la colpì con la spalla e la gettò a terra. Gaby urlava e si agitava, Valiha la teneva ferma, Chris continuava a gettare sabbia su di lei. La fecero rotolare su se stessa, cercarono di farla rimanere immobile, ignorando il dolore delle scottature alle mani.
— La soffochi! — protestò Chris, quando Valiha premette su Gaby con tutto il corpo.
— Dobbiamo spegnere il fuoco — disse la titanide.
Quando Gaby finì di divincolarsi, Valiha la sollevò. Prese per un braccio anche Chris, e per poco non glielo strappò dalla spalla. Chris salì in groppa, e Valiha corse verso il cavo, stringendo fra le braccia Gaby, immobile e forse morta. Raggiunsero Robin, che li aveva preceduti nel ritornare al cavo da cui avevano assistito agli inizi del dramma. Chris la prese per mano e la fece salire dietro di sé. Valiha non rallentò il passo finché non sentì nuovamente la roccia sotto gli zoccoli.
Mentre stava per posare a terra Gaby, si guardò alle spalle e scorse un’altra bomba volante in avvicinamento. Incredibile: puntava verso il cavo a tutta velocità, su una traiettoria che passava proprio sopra Valiha. Quando si impennò per sganciare le bombe, e il motore ruggì al massimo dei giri per non urtare il cavo, Valiha si diresse verso l’interno della buia foresta di tubi monolitici che costituivano il cavo.
Udirono delle esplosìoni alle loro spalle. Era impossibile capire se una di esse annunciava la morte della bomba volante. Valiha non rallentò il passo. Entrò ancora di più nella foresta e rallentò solo quando raggiunse una zona sufficientemente buia.
— Ne arrivano altre — disse Chris. Non era mai stato così disperato. Dietro di loro, nello spicchio di cielo visibile tra un filo e l’altro del cavo, si scorgevano le sagome nere delle bombe volanti in avvicinamento. Ne contò cinque, ma era certo che ce ne fossero di più. Una cabrò a destra, l’altra a sinistra, passando tra i fili a velocità da pilota suicida. Dietro di loro, lontano, si udì un’esplosione; poi una seconda esplosione, più vicina, e la creatura passò sopra di loro, rombando. Nel buio si scorgeva nuovamente la fiamma azzurra dei suoi gas di scarico.
Davanti ai fuggitivi ci fu una mostruosa esplosione, e all’improvviso l’interno del cavo si illuminò di una luce arancione. L’ombra dei fili danzò attorno a loro al ritmo scandito dalle fiamme invisibili; poi, per un breve istante, Chris scorse il corpo carbonizzato della bomba volante che precipitava a terra. Valiha continuò a correre.
Una seconda creatura comparve dietro di loro, e udirono lo schianto di una terza che colpiva un cavo alla loro sinistra. Una pioggia di napalm incendiato sgocciolò dal cavo, a un centinaio di metri da loro, come cera da una candela. Altre bombe esplosero più avanti.
A causa delle detonazioni, dagli spazi tra i singoli fili cominciarono a staccarsi grosse pietre e altro materiale. Un masso grosso come Valiha toccò terra a una ventina di metri da loro. Valiha gli girò attorno, e si udì nuovamente il forte rumore dell’impatto di una bomba volante, seguito da due altri, intervallati dalle esplosioni del napalm.
Valiha non si fermò finché non vide l’edificio di pietra che contrassegnava l’ingresso al cervello regionale di Teti. Si fermò, timorosa di entrare. Solo il terrore delle bombe volanti l’aveva spinta così lontano, in una zona tradizionalmente evitata dalla sua razza.
— Dobbiamo entrare — le disse Chris. — Questo edificio rischia di crollare. Prima o poi, una di quelle creature ci ucciderà, se prima non saremo schiacciati da qualche masso.
— Sì, ma…
— Valiha, fa’ come ti dico. È "Fortunato" Major a parlarti. Pensi che ti direi di fare una cosa, se non si trattasse di qualcosa di sicuro?
Valiha esitò un solo istante, e poi si avviò trotterellando sotto l’arco dell’ingresso. Attraversò il pavimento di pietra finché non raggiunse l’inizio della scalinata che scendeva per cinque chilometri.
E prese a scendere.
32
L’armata scomparsa
Il fuoco chimico si era già spento da tempo, allorché Cirocco, a piedi, giunse da dietro la curva del grande cavo, seguita da Cornamusa. Il titanide procedeva a tre zampe: la gamba posteriore destra era tenuta sollevata da una fascia che gli passava sotto la pancia. L’osso era tenuto fermo da una fasciatura e da un paio di bastoni. Anche Cirocco portava i segni della battaglia. Attorno alle tempie aveva una benda che le copriva anche un occhio. Aveva la faccia sporca di sangue, il braccio destro appeso al collo, e si era rotta due dita della mano destra.
Camminavano sulla piattaforma di roccia attorno alla base del cavo, e non si fidavano di scendere sulla sabbia. Anche se gli ultimi fantasmi da loro incontrati erano privi del misterioso sistema di difesa che aveva permesso ad alcuni di loro di ignorare l’acqua e di assalire umani e titanidi, Cirocco preferiva non correre rischi. Al momento della morte, da uno di quelli che aveva ucciso si era staccata una pellicola trasparente che sembrava vinile.
Vide qualcosa sulla sabbia, si fermò, e tese la mano. Cornamusa le diede un binocolo, e lei se lo accostò con difficoltà all’occhio sano. Era Oboe. Lo capì unicamente perché c’erano alcune zone di pelle intatte. Cirocco distolse lo sguardo.
— Temo che non rivedrà mai più l’Ofione — cantò Cornamusa.
— Era forte e coraggiosa — cantò Cirocco, che non sapeva cosa dire. — Io non la conoscevo molto bene. Canteremo di lei più tardi.
A parte quell’unico corpo, non si scorgevano molti segni della battaglia. Si vedevano alcune macchie scure, ma si era alzato il vento, e la sabbia cominciava a coprirle e ad accumularsi anche sul corpo della titanide.
Cirocco si era aspettata qualcosa di peggio. Forse i suoi compagni erano stati uccisi, ma lei, prima di darli per morti, voleva vedere i cadaveri.
Quando la corsa in direzione del cavo si era trasformata in una fuga caotica, lei e Cornamusa si erano diretti a est. Cornamusa aveva cercato di raggiungere gli altri due titanidi, ma ogni volta era incappato in un gruppo di fantasmi che non temevano l’acqua, e non aveva potuto fare altro che fuggire. Gli attacchi erano stati talmente intensi da far pensare a Cirocco che i fantasmi cercassero solo lei. Pensando di poterseli trascinare dietro, e di dare in questo modo sollievo ai compagni, aveva detto a Cornamusa di correre verso la parte orientale del cavo. Erano stati inseguiti da una sola bomba volante, che per poco non li aveva uccisi lanciando una carica di esplosivo che li aveva sollevati in aria e sbattuti contro il cavo.