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Ma a quel punto Cirocco aveva capito di essersi sbagliata, perché i fantasmi non l’avevano inseguita, e neppure le bombe volanti, tranne quella che li aveva feriti. Si erano rifugiati all’interno del cavo, e avevano udito i suoni della battaglia che si svolgeva lontano da loro. Non avevano potuto fare altro che medicarsi le ferite.

Cirocco voleva proseguire attorno al cavo, ma Cornamusa la chiamò. Stava osservando la superficie della roccia.

— Uno dei nostri è passato da questa parte — cantò, indicando alcuni graffi, paralleli tra loro, lasciati dai duri zoccoli di un titanide. Poco più in là, scorse su un mucchio di sabbia l’impronta di due zoccoli e di un piede umano.

— Allora, Valiha è riuscita a salvarsi — disse Cirocco, in inglese. — E almeno uno degli altri. — Si portò accanto alla bocca la mano libera e lanciò un grido di richiamo. Quando l’eco si spense, non udirono alcuna risposta. — Andiamo. Cerchiamoli.

Entrarono nella zona buia all’interno del cavo, e cominciarono a imbattersi in forme irregolari che bloccavano la strada. Cornamusa accese una lanterna, e alla sua luce poterono vedere che dall’alto era caduto un mucchio di detriti. I fili salivano per almeno una decina di chilometri prima di intrecciarsi a formare il cavo centrale di Teti. Cirocco sapeva che quella specie di labirinto aveva una sua caratteristica ecologia: piante che si abbarbicavano ai fili e animali che correvano avanti e indietro lungo di essi.

Cirocco continuò a procedere all’interno del cavo, consapevole che sotto uno dei mucchi più grossi potevano essere sepolti i suoi amici. Ma Cornamusa, di tanto in tanto, la chiamava per dirle che aveva trovato un’altra impronta. Infine giunsero a un’enorme pila di pietra. Cirocco sapeva che ormai si trovavano nel centro del cavo, e che laggiù un tempo sorgeva il solito ingresso alla scala per giganti. Ma ora c’erano solo sassi, e, in mezzo a un’ampia zona bruciacchiata, i resti di tre bombe volanti. Delle creature non restava molto: solo il metallo della camera di combustione e file di denti di acciaio anneriti.

— Sono scesi là sotto? — chiese Cirocco.

Cornamusa si abbassò per studiare il terreno alla luce della lanterna.

— Difficile dirlo. Potrebbero essere entrati nell’edificio prima che crollasse.

Cirocco inalò un profondo respiro. Prese la lanterna dalle mani di Cornamusa e raggiunse il mucchio di detriti. Poi cominciò ad arrampicarsi su di esso, con attenzione, ma, dopo pochi metri, dovette fermarsi, impacciata dal braccio immobilizzato e da un senso di stordimento. Scese di nuovo a terra. Per qualche istante rimase a sedere, portandosi la mano alla fronte, poi sospirò, si rialzò, e cominciò a prendere le pietre a una a una e a gettarle nell’oscurità.

— Cosa fai? — le chiese Cornamusa, dopo qualche minuto.

— Scavo.

Cornamusa la guardò per qualche istante. C’erano sassi di diversa grandezza, da ciottoli della dimensione di un pugno a massi di alcune centinaia di chilogrammi, che loro due avrebbero potuto spostare. Ma gran parte del mucchio, le rocce che gli davano la sua caratteristica forma, sarebbe andata bene per costruire una piramide egizia. Raggiunse Cirocco e le toccò il braccio, ma lei lo respinse.

— Rocky, è inutile. Non ce la farai mai.

— Lo devo fare. E lo farò.

— È troppo…

— Maledizione, non capisci? Gaby è qui sotto.

Scossa da un tremito, Cirocco cadde in ginocchio. Cornamusa si accovacciò a terra, e lei lo abbracciò per piangergli sulla spalla.

Quando riprese il controllo di se stessa, Cirocco si sciolse dall’abbraccio, si alzò in piedi e gli posò sulle spalle entrambe le mani. Negli occhi aveva una fiamma che Cornamusa non vedeva da molti anni sulla faccia della Maga.

— Cornamusa, vecchio amico — gli cantò. — In nome dei vincoli di sangue che ci legano, ti devo chiedere di fare per me una grande azione. Per l’amore che entrambi proviamo per la tua retro-nonna, non te lo chiederei se ci fosse un altro modo.

— Ordina, Maga — cantò Cornamusa, in tono solenne.

— Devi ritornare alla tua terra natale. Laggiù devi implorare tutti affinché si rechino nel grande deserto, perché giungano su Teti per il bene della loro Maga, nella sua ora del bisogno. Convoca i grandi leviatani del cielo. Chiama Corazzata, Esploratore, l’Aristocratico, Inaffondabile, Finefischio, Bombasto, Sua Eccellenza, e anche il Vecchio Scout. Di’ loro che la Maga farà guerra ai razzi celesti, che spazzerà per sempre dalla grande ruota del mondo la loro genia. Di’ che, in cambio di questo giuramento, la Maga chiede loro di accogliere chi glielo chiederà, e di portarlo su Teti. Farai questo per me, Cornamusa?

— Lo farò, Maga. Ma temo che non saranno in molti, del mio popolo, a venire. Teti è lontana da noi, la strada è piena di pericoli, e la mia gente teme questi luoghi. Noi pensiamo che Gea non desideri vederci qui.

— Allora, riferisci questo. A chiunque verrà, sarà concesso un bambino in occasione del prossimo Festival. Di’ loro che, se mi aiuteranno, darò loro un Festival di cui si canterà per le prossime mille megarivoluzioni. — Ritornò all’inglese. — Credi che vengano?

Cornamusa alzò le spalle e rispose nella stessa lingua: — Non più di quelli che possono salire sugli aerostati.

Cirocco batté la mano sulla spalla del titanide, si alzò in piedi, e cercò di aiutarlo a rialzarsi. Cornamusa si rialzò a fatica. Lei lo fissò a lungo, poi salì in punta di piedi per baciarlo.

— Aspetterò qui — cantò. — Conosci il fischio del grande pericolo, per chiamare i leviatani del cielo?

— Lo conosco.

— Presto uno di loro ti raccoglierà. Fino a quel momento, cerca di essere molto cauto. Ritorna a casa senza correre rischi, e ritorna da me con molti lavoratori. Di’ loro di portare cavi, carrucole, argani, e i migliori palanchini, martelli e picconi.

— Farò come dici. — Abbassò gli occhi. — Rocky — disse poi — credi che siano ancora vivi?

— È perfettamente possibile. Se sono intrappolati qui sotto, Gaby sa cosa deve fare. Sa che niente mi impedirà di farla uscire, e dirà agli altri di rimanere in cima alle scale. È troppo pericoloso scendere fino a Teti senza la mia presenza a frenarlo.

— Se lo dici tu, Rocky.

— Lo dico io. Ora va, con tutto il mio amore, figlio.

33

Segnata dal fuoco

— È stato Gene — disse Gaby, con un mormorio roco. — Non riuscivo a crederlo, ma era Gene, quello che si è buttato col paracadute dalla bomba volante, prima che esplodesse.

— Gaby, cerca di calmarti — disse Chris.

— Sì. Adesso ho voglia di dormire. Ma prima volevo dirtelo.

Robin non era in grado di dire da quanto tempo erano sulla scala. Le pareva che fosse passato almeno un giorno intero. Aveva dormito una volta, ma era stata svegliata dalle urla di Gaby.

Robin non osava guardarla. Le avevano tolto quanto rimaneva dei vestiti e l’avevano messa su uno dei sacchi a pelo. Nel pronto soccorso di Valiha c’erano tubetti di pomata contro le scottature, ma li avevano finiti prima di riuscire a coprire tutta l’area bruciata. Non avevano neppure potuto toglierle di dosso la sabbia, perché avevano solo l’acqua delle borracce.

Era una fortuna che l’unica loro lanterna, ora tenuta bassa per risparmiare il combustibile, facesse così poca luce. Gaby era una massa di ustioni di secondo e di terzo grado. Il fianco destro e la schiena erano neri. La pelle faceva un suono secco quando lei si muoveva, e ne usciva un siero trasparente. Disse di non sentire alcun dolore; questo significava che i nervi stessi erano morti. Ma le aree rosse intorno alle ustioni più gravi le facevano molto male. Riusciva a sonnecchiare per pochi minuti, agitata, poi riprendeva conoscenza e gemeva. Chiedeva acqua, e gliene davano qualche piccolo sorso.