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Rimpianse di non saper più urlare.

35

Fuggiaschi

Chris e Robin ne parlarono a lungo, ma la situazione era disperata. Se fossero stati chiusi in una stanza, avrebbero atteso la morte senza muoversi, ma finché c’erano le scale ad attirarli, l’unica soluzione era quella di scendere.

— È nella miglior tradizione degli eroi — disse Chris. — Morire nel tentativo.

— Piantala, con questa storia degli eroi. Non possiamo fermarci quassù. Anche se ci fosse una sola possibilità su un milione, dovremmo provare a scendere.

Ma non fu facile convincere Valiha.

La titanide era un fascio di nervi. La logica aveva poco effetto su di lei. Capiva che occorreva scendere, ma a questo punto la sua mente si bloccava. Non era giusto che un titanide si trovasse laggiù. Scendere era inconcepibile.

Chris era disperato. Per prima cosa, c’era Gaby. Non era piacevole rimanere vicino al suo corpo. Presto… ma non riuscì a pensarci. Era già terribile l’idea di non poterla seppellire.

Non seppero mai quanto tempo impiegarono per scendere le scale. Gli orologi erano nelle sacche di Cornamusa, e non c’era modo di misurare il passare del tempo. Mangiavano quando sentivano i morsi della fame, e dormivano quando erano esausti. Questo perché, ogni volta, dopo essere scesi di venti o trenta scalini, Valiha si sedeva e cominciava a tremare. Per rialzarsi doveva ogni volta attendere che le ritornasse il coraggio. E quando non la tenevano d’occhio, si girava come un automa e prendeva a salire la scala, costringendoli poi ad andare a riprenderla.

Robin, che già normalmente aveva poca pazienza, cominciò presto ad avere i nervi a fior di pelle. — La strangolerei — diceva Robin. — Ma non posso abbandonarla.

— Non la abbandoneresti affatto — disse Chris. — Potremmo proseguire per cercare aiuto, e poi fare ritorno.

— Non giocare sulle parole — disse Robin. — Cosa c’è in fondo? Probabilmente, una vasca piena di acido. E anche se è vuota, e se Teti non ci uccide, e se riusciamo a raggiungere una delle gallerie… sempre che ci siano delle gallerie anche qui, come c’erano nell’altro caso… occorreranno settimane per andare e altre settimane per ritornare. Se la lasciassimo qui, morirebbe.

Ma infine anche la discesa ebbe termine. — Il pavimento sembra asciutto — mormorò Robin.

— Stento a crederci.

Erano nascosti dietro la curva della scala e finalmente potevano scorgere quello che doveva essere l’ultimo scalino. Da qualche tempo si aspettavano di trovare un lago di acido, con Teti immerso al suo interno. Invece videro soltanto un segno di livello, dieci scalini più sotto, e un pavimento spoglio. Teti era ancora nascosto dietro la curva.

— È una trappola — disse Robin.

— Giusto. Giriamoci e ritorniamo su.

Robin sorrise, e Chris si voltò verso Valiha e le parlò con calma, cercando di tranquillizzarla con il suono delle parole. Durante l’ultimo chilometro della discesa, Valiha era caduta in uno strano fatalismo. Si fermava meno frequentemente, ma aveva rallentato il passo. Una volta, Chris aveva avuto l’impressione che dormisse camminando. Faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Forse era quello che nei titanidi stava al posto della paura. Ora che pensava a questo, Chris ricordava che non aveva mai visto un titanide che avesse paura: né di fronte ai fantasmi, né in quella scala interminabile. A quanto pareva, Valiha non aveva "paura" di Teti. All’inizio c’era stata come una spinta, come una forza fisica che aveva cercato di allontanarla da Teti. Quella forza era poi scomparsa, ed era stata sostituita da una sorta di torpore mentale e fisico.

— Valiha, ascoltami — le disse. — Dobbiamo fare in fretta. Sono poche centinaia di metri. Non possiamo riposarci come abbiamo fatto sempre.

— Niente… riposo?

— Temo di no. Dobbiamo fare di corsa gli ultimi scalini, rimanere accanto al muro… tu sta’ vicino a me, e io starò accanto al muro… e poi imboccare la galleria.

Valiha annuì, ma Chris dubitava che fosse in grado di farlo. Stava per dirle altro, ma capì che era inutile. O la cosa funzionava, o non funzionava. Se ci fosse stato un allibratore, si sarebbe scommesso contro.

Iniziarono la discesa finale tenendosi per mano. Non occorse molto tempo per scorgere la fine del corridoio e per vedere Teti, fermo in mezzo alla sua trincea di acido, esattamente come lo era stato Crio. Anzi, Chris non riuscì a vedere alcuna diversità tra loro.

— Maga, perché hai impiegato tanto tempo?

La voce lo colpì come un pugno. Dovette fermarsi e tirare un lungo respiro. Mancavano meno di dieci scalini alla grande sala.

— Naturalmente — disse Teti — sapevo che eri sulla scala. So che hai avuto dei fastidi. Adesso mi auguro che tu non ne dia la colpa a me, giacché non sono io il responsabile, e questo lo puoi riferire anche a Gea.

Teti aveva la voce identica a quella di Crio. Lo stesso tono piatto, privo di emozione. Eppure riusciva a trasmettere una nota di disprezzo che gli raggelò il sangue.

— Dunque, hai portato Gaby con te. Cominciavo a chiedermi se ci saremmo mai incontrati. Eppure è lieta di trattare affari con Crio, vero? Ne trattate, vero, signora Plauget? Mentre invece non vi siete mai fatta vedere qui. Perché, mi domando?

Robin si sporse verso Chris, sgranando gli occhi.

— Chris — bisbigliò — quel "coso" è miope!

Chris le fece cenno di tacere, temendo che la sua voce spezzasse l’incantesimo. Teti avrebbe certamente riconosciuto le voci.

— Cosa succede? — chiese Teti, confermando i suoi timori. — Perché non parli? Ti pare buona educazione farmi aspettare per tanto tempo, e poi bisbigliare segreti quando finalmente compari? Io odio i segreti.

Ormai erano giunti nella grande sala, e Chris vide le due gallerie che aveva notato anche nella sala di Crio: una diretta a est e l’altra a ovest. Rimanevano da attraversare soltanto sessanta o settanta metri fino al tunnel che portava a est. Chris tastò nervosamente l’arma assai inconsueta che aveva preso dalle sacche di Valiha. Passando le dita sulle punte aguzze, si augurò di non doverla usare.

— Confesso che finora non avevo capito perché hai portato con te quella creatura — disse Teti. — Ma era ovvio. O sbaglio?

Chris non disse niente. Mancavano dieci metri all’ingresso della galleria.

— Comincio a perdere la pazienza — disse Teti. — Sei la Maga, ma ci sono dei limiti. Mi riferisco alla titanide. Ti ringrazio di avere portato la cena. Vieni, Valiha.

Valiha si fermò e girò lentamente la testa. Guardò per la prima volta Teti. Chris non perse tempo. Afferrò il grosso forchettone che aveva preso dalla sacca, fece un passo indietro e lo piantò nella parte carnosa del posteriore di Valiha. Per un attimo non ci fu reazione, poi Valiha si mosse con una tale rapidità che parve quasi scomparire. Chris vide ancora la sua coda svanire nella galleria, sentì Valiha urlare, e sentì l’acciottolio degli zoccoli. Poi ogni altro suono fu inghiottito da un forte sibilo. Ormai erano nella galleria, e dietro di loro si alzava un forte vento e una vampata di calore. Si sentirono circondare da fumi soffocanti. Teti riempiva il suo lago con tutta la rapidità possibile. Il pavimento della galleria era orizzontale; una volta superato il bordo del fossato, l’acido li avrebbe raggiunti nel corridoio.

Mentre correvano, si videro superare da creature volanti simili a globi. Dalla loro luce arancione, Chris capì che erano gli stessi animali che avevano rischiarato la loro lunga discesa: gli stessi che sperava di trovare anche nella galleria. Neppure loro parevano andare pazzi per i fumi acidi, ma, con la loro fuga, nella galleria scendeva progressivamente l’oscurità.

Con una parte del cervello notò che c’era un’altra cosa in cui era più bravo di Robin: la corsa. La ragazza era rimasta indietro, e lui rallentò per permetterle di raggiungerlo. Entrambi tossivano, ma i fumi erano già meno densi.