— Corri, idiota! — gli gridò lei, e Chris riprese a correre, ma lasciò che Robin gli passasse davanti.
— Per quanto tempo dobbiamo ancora correre? — gli chiese lei, girandosi per un istante.
— Finché non sentirò più il gorgoglio dell’acido.
— Giusto. Riusciamo a distanziarlo? O si avvicina?
— Non so. Per saperlo dovrei fermarmi.
— In questo modo, rischiamo di correre fino all’esaurimento delle forze — gli fece notare lei.
— Ottima idea — rispose Chris.
Il pavimento continuava a parere orizzontale, ma, per quanto ne poteva sapere Chris, forse era in leggera discesa. Chris si augurava che la galleria fosse lunga trecento chilometri, e collegasse tra loro Teti e Tea, ma era anche possibile che avessero cercato la salvezza in quello che era soltanto un condotto per smaltire l’acido in eccesso. Comunque, se il condotto terminava da qualche parte, avrebbero trovato Valiha ad aspettarli, e finora Valiha non s’era vista.
Dopo qualche tempo, smisero di correre e si limitarono a camminare. Tutt’intorno, le pareti della galleria erano buie, e soltanto davanti a loro si scorgeva la luce lontana delle creature volanti.
— Il corridoio deve essere leggermente in salita — osservò a un certo punto Robin. — Se fosse in discesa, l’acido ci avrebbe già raggiunto.
— Lo credo anch’io — disse Chris. — Ma preferisco non rischiare. Dobbiamo continuare ad andare avanti finché non raggiungeremo una luce.
Proseguivano lentamente, appoggiandosi alle pareti perché erano stremati, e Chris si era messo a contare i passi, senza sapere perché lo faceva. Probabilmente, per non pensare all’ignoto che avevano davanti a loro.
Dopo varie centinaia di passi, Robin scoppiò a ridere.
— Cosa c’è, di divertente?
— Non so, ma… solo ora mi pare di capirlo. Ce l’abbiamo fatta!
Chris si sorprese di quella reazione. Stava per dirle che erano ancora lontano dalla salvezza, che la strada davanti a loro era certamente piena di pericoli, ma si accorse che sorrideva anche lui.
Percorsero un altro migliaio di passi prima di scorgere il primo uccello-lampada appeso al soffitto. Solo allora si accorsero che la galleria si era allargata. La creatura era a una ventina di metri al di sopra della loro testa, e alla sua luce arancione si vedevano le pareti laterali, che distavano tra loro una trentina di metri. Chris si voltò indietro per controllare se si scorgevano riflessi di luce su un liquido in movimento, ma non scorse niente.
Poco più tardi scorsero un altro uccello, poi cinque insieme. Dopo tutto il tempo passato al buio, parevano luminosissimi.
— Mi chiedo cosa mangiano, qua sotto — disse Chris.
— Qualcosa ci deve essere. Per fare tanta luce devono avere bisogno di molta energia.
— Gaby diceva che si trattava di una reazione catalitica — ricordò Chris. — Ma non possono fare a meno del cibo. Potremmo mangiare anche noi quello che mangiano loro.
— Presto ci occorrerà qualcosa.
Chris pensava ai loro rifornimenti, che erano rimasti nelle sacche di Valiha. E questo gli fece venire in mente Valiha, e cominciò a preoccuparsi per lei. Ormai gli uccelli luminosi erano numerosissimi, e alla loro luce si vedeva che la galleria si stendeva a perdita d’occhio. Riusciva a vedere per almeno mezzo chilometro davanti a sé, e non c’era traccia della titanide.
— Pensavo a una cosa — disse Robin.
— Sì?
— Siamo sicuri che questa galleria conduca a est?
Chris si fermò. — Sai anche tu che… — Che cosa? Le scale scendevano a chiocciola per cinque chilometri, con innumerevoli giri, e presto si perdeva l’orientamento. Per decidere sulla direzione da prendere si erano basati semplicemente sulla convinzione che la sala di Teti fosse uguale a quella di Crio, e avevano preso la direzione che in Crio corrispondeva all’est.
— Questi pozzi sono orientati nello stesso senso — terminò.
— Sì, ma se non lo fossero? Il tunnel condurrebbe a Febe, e non a Tea…
Chris cercò di non pensare a questo particolare. C’erano molti altri elementi incontrollabili. Era possibile che una volta raggiunto Tea, che a detta di Cirocco era amichevole, il cervello non fosse molto ben disposto nei riguardi di tre invasori del suo territorio.
— Penseremo a questo problema quando sarà il momento.
Robin rise. — Non dirmelo. Se all’altra estremità di questa galleria c’è Febe, non potremo fare altro che sederci e aspettare di morire di fame.
— Non essere così pessimista. Moriremo di sete molto prima di allora.
La galleria continuò ad allargarsi, e prese l’aspetto di una caverna naturale. Gli uccelli luminosi erano molti di più, ma dovevano illuminare una zona molto più vasta, e l’intero ambiente era immerso in una penombra che limitava la visibilità a pochi passi. Di tanto in tanto, la galleria aveva delle diramazioni a nord e a sud, ma entrambi preferirono continuare nella direzione seguita fino ad allora.
— Valiha doveva essere ancora in preda al panico, quando è passata di qua — disse Robin. — Penso quindi che sia andata avanti. Se fosse ritornata in sé, si sarebbe fermata e sarebbe venuta a cercarci, invece di inoltrarsi nelle gallerie laterali.
— Certo. Ma non mi aspettavo che arrivasse così lontano. Continuo a pensare che tutto il nostro cibo e la nostra acqua sono con lei. Comincio ad avere sete.
Il pavimento della caverna diventò irregolare, prese a salire e scendere come le dune che avevano attraversato nel deserto di Teti. Ormai il soffitto era talmente lontano che gli uccelli appesi a esso sembravano stelle viste attraverso una foschia che le rendeva arancioni. Si vedevano solo i contorni degli oggetti. Quando udirono un rumore di acqua corrente, si diressero verso di essa con molta attenzione, finché non scorsero i riflessi sulla superficie. Chris sfiorò il liquido con la punta del dito, pronto ad asciugarsela subito nel caso che si fosse trattato di acido. Constatato che non bruciava, provò ad assaggiarla. Era acqua, un po’ gasata ma potabile.
Si tolsero le scarpe e la attraversarono al guado. Il ruscello era largo una decina di metri, e profondo poche decine di centimetri.
Superato il ruscello, il terreno cambiò nuovamente natura. Scorsero rocce aguzze tutt’intorno a loro. Una volta, Chris cadde in una fossa profonda un paio di metri. Per un lunghissimo istante si chiese se era l’ultima caduta della sua vita, poi toccò terra sulle mani e sulle ginocchia. Aggiunse un paio di graffi alla sua collezione, ma non subì altri danni.
Ma l’incidente lo spinse a muoversi con ulteriore cautela. Più avanti, per puro istinto, trattenne Robin che stava per proseguire, e controllando si accorsero che era a meno di un metro da una voragine profonda una quarantina di metri.
— Grazie — disse Robin, e Chris annuì, distratto da un piccolo bagliore alla sua sinistra. Cercò di aguzzare la vista, ma senza risultato, e a quel punto udì il suono. Qualcuno che cantava.
Si diressero verso la luce, e progressivamente le aree di grigio e di nero acquisirono nuovi dettagli. Alcune macchie divennero rocce, scuri ghirigori divennero arbusti e liane rachitiche. E la luce pareva guizzare come quella di una candela. Non era una candela, comunque, bensì la lampada che Valiha aveva con sé quando era corsa via. La videro, accovacciata su un fianco, sul pendio opposto del piccolo canyon, una quindicina di metri più in basso. Chris gridò per richiamare la sua attenzione.
— Chris? Robin? — rispose Valiha. — Siete voi? Vi ho trovati!
A Chris parve una strana affermazione, ma non osò contraddirla. Lui e Robin scesero fino in fondo al canyon, e poi salirono fino alla posizione di Valiha. Pareva uno strano posto per fermarsi. Pochi metri ancora, e si sarebbe trovata sulla cima. Ma qualcosa in lei gli fece venire in mente, con un brivido di paura, l’immagine di Salterio che stava per morire.