Quando la raggiunse, vide alla luce della lampada che aveva la faccia sporca di sangue. Respirò rumorosamente con il naso e si passò la mano sul labbro superiore.
— Devo essermi rotta il naso — disse.
Se l’era rotto, infatti, e così pure le zampe anteriori.
36
Avanti
A venti metri da loro, Robin ascoltava Chris che insultava la titanide. Quando lui aveva visto le sue ferite, Valiha gli aveva consigliato di ucciderla per non farla più soffrire. E Chris era esploso.
Robin stessa aveva l’impressione che il suo corpo diventasse più pesante di minuto in minuto. Presto si sarebbe unito alle rocce e all’oscurità. E questo sarebbe stato un sollievo. Ora comprendeva che la sua gioia momentanea, dopo essere fuggiti da Teti, era stata un errore.
Ma capiva che Chris non le avrebbe permesso di lasciarsi morire. Lui pensava ancora alla possibilità di salvarsi. E ora lo vide avvicinarsi, probabilmente con qualche nuovo progetto.
— Conosci il pronto soccorso? — le chiese.
— So mettere un cerotto.
Lui fece una smorfia. — Lo stesso vale per me. Però ho trovato questo. — Aprì una piccola borsa di cuoio, e Robin vide numerosi scomparti con tutta una serie di strumenti medici: pinze, forbici, siringhe, aghi, tutti ordinatamente disposti a uso di chi volesse giocare a fare il medico. — Qualcuno dei titanidi doveva essere capace di usarli, se se li sono portati dietro. Valiha dice che Oboe ne aveva degli altri. Mi pare che siano sufficienti per una piccola operazione.
— Se sei capace di farla. Valiha deve essere operata?
Chris parve esitare.
— Le occorre qualche ricucitura. Si è rotta gli stinchi. A destra credo che l’osso sia solo rotto, ma a sinistra ha quella che si dice una frattura esposta. — Le mostrò un piccolo manuale. — Qui dice che il problema più grave è quello di un’infezione. Per tutto il resto, basta rimettere a posto le ossa, pulire la ferita e fasciarla.
— Non dirmi niente perché mi fa impressione. Pensa tu alla cosa, e quando avrai capito bene, chiamami e dimmi cosa devo fare.
Lui non rispose. Quando Robin alzò la faccia, vide che Chris la guardava attentamente.
— C’è qualcosa che non va? — le chiese.
Robin non riuscì neppure a ridere. Stava per dirgli che si trovavano a cinque chilometri sotto terra, al buio, con poco cibo, niente luce, un semi-dio pazzo da una parte e un altro dall’altra, e inoltre con un compagno ferito che era troppo grosso per trasportarlo. Ma non lo disse.
— Riusciremo a superare tutto questo — disse Chris. — Basta rimanere uniti.
— Non ne sono così sicura — disse Robin. E scoppiò a piangere.
Dopo qualche tempo, sentì che Chris le metteva la mano sulla spalla.
— Va meglio?
Si lasciò condurre via da lui. Chris la portò su un punto piano, stese il sacco a pelo e la fece sdraiare. Lei rimase a fissare il soffitto. Chris ritornò da Valiha.
Molto più tardi, Robin sentì che Chris ritornava da lei.
— Vuoi che ne parliamo ancora? — le chiese.
— Tutto è cominciato nel deserto. Non era un vero attacco della mia malattia — disse lei.
— Vuoi dire che potevi muoverti?
— Ero immobilizzata, ma non era un attacco come gli altri.
— Già, riuscivi a parlare — osservò lui. — L’ho notato, e mi è parso strano.
— Un attacco della mia malattia mi blocca tutti i muscoli volontari. Invece, lassù ero in grado di parlare. Perciò, ero immobilizzata da qualcosa d’altro. — Attese che dicesse lui la parola, ma Chris non la disse.
— Dalla paura — disse lei.
— No — disse Chris. — Ascolta cosa ti dice il dilettante psicologo e studente di medicina. Innanzitutto, devi riprendere il tuo amor proprio.
— È tutta qui la diagnosi?
— No. Inoltre, hai solo diciannove anni. Anche se ti credi dura e piena di esperienza, molte cose non le conosci ancora. Quando sei arrivata su Teti, credevi che niente potesse spaventarti, ma ti sbagliavi. Devi deciderti ad affrontare la realtà. Per tutta la vita hai avuto delle crisi, ma non ti sei ancora decisa ad affrontare il problema.
— Non mi sono mai arresa a esse.
— Certo, ma non hai neppure raggiunto un compromesso. Tu ammetti a malapena la possibilità di avere una crisi. Ti ostinavi a sorvegliare i complessi macchinali della Congrega, e così facendo mettevi in pericolo il tuo mondo e le tue sorelle.
— Come sai che… — Si portò la mano alla bocca e si morse le dita per far passare la vampa della vergogna.
— Hai parlato nel sonno — spiegò lui. — Robin, sulla Terra non permettono agli epilettici di pilotare gli aeroplani. Non sarebbe onesto nei riguardi di chi sta sotto.
Robin annuì, sospirando.
— Niente da dire. Ma cosa c’entra, con quanto è successo nel deserto?
— È la stessa cosa, secondo me. Hai fatto una scoperta spiacevole che riguardava te stessa. Ti sei impaurita e ti sei immobilizzata. E ti sei occupata della cosa nello stesso modo in cui ti sei occupata dei tuoi attacchi, ovvero non facendo niente.
— E cosa dovrei fare, invece?
— Te l’ho detto. Accetta la situazione, invece di fingere che non sia successo niente. A questo punto, potrai cominciare a pensare a come evitarla la prossima volta.
— O ad affrontare la possibilità che si ripeta.
— La possibilità esiste sempre.
Lei lo guardò, ma Chris non rideva affatto.
— Tu credi molto all’importanza di affrontare le cose — disse Robin. — Io, invece, ho sempre preferito combatterle. Dà più… soddisfazione. — Alzò le spalle. — È più facile.
— Sotto certi aspetti.
— Ci penserò. Adesso, lasciami sola.
— No. Tra poco dovrò occuparmi delle gambe di Valiha. Adesso sto preparando tutto per l’operazione, e tu puoi preparare qualcosa da mangiare. Nelle borse di Valiha c’è ancora una notevole quantità di cibo. Dietro quella collinetta c’è dell’acqua. Porta con te la lucerna; io ho una torcia per leggere.
Lei lo fissò. — Nient’altro?
— Sì. Mentre vai a prendere l’acqua, cerca qualcosa che possa servire come stecca. Le piante che ho visto sembrano un po’ piccole, ma forse potrai trovare qualcosa. Cinque o sei bacchette dritte, lunghe circa un metro.
Robin si strofinò gli occhi. Desiderava dormire per alcuni anni e, se possibile, non svegliarsi più.
— Stecchi, acqua, cena. Altro?
— Sì. Se conosci qualche canzone, cantala a Valiha. Ha molto male, e non ha niente che la distragga. Io tengo da parte le medicine per dargliele quando le metterò a posto le zampe e cucirò le ferite. — Fece per allontanarsi, e poi si voltò ancora. — E potresti anche rivolgere qualche preghiera a chi preferisci. Non ho mai fatto niente di simile, in precedenza, e ho l’impressione che sbaglierò tutto. Ho una grande paura.
Con che facilità riesce a dirlo, pensò lei.
— Ti aiuterò io.
37
Sul fronte occidentale
Nasu scappò nei primi tempi della loro permanenza nella caverna. Chris non era in grado di dire quando fosse scappato; il tempo era diventato una quantità impalpabile.
Robin le tentò tutte, pur di trovare il serpente. Accusò se stessa. Chris non riuscì a consolarla, perché sapeva che era vero. Gea non era il posto adatto a un anaconda. Nasu aveva sofferto più di tutti, chiuso nella borsa di Robin, senza prendere aria. Con qualche brutto presentimento, Robin gli aveva infine permesso di esplorare l’accampamento. Le rocce erano tiepide, e Robin era convinta che il serpente non si sarebbe allontanato dalla luce. Chris aveva i suoi dubbi. Secondo lui, Robin attribuiva al serpente un’intelligenza e una fedeltà quasi assurde, solo perché era il suo "demone", qualunque fosse il significato della parola. Secondo lui, non ci si poteva aspettare questo genere di cose da un serpente, e la fuga di Nasu dimostrò che aveva ragione. Un mattino si svegliarono e non lo videro più.