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— È il latte di Gea — disse Valiha, felice, e immediatamente bevve tutto quello che Robin le aveva portato. — Non pensavo di trovarlo a questa profondità. Nel mio paese scorre a una profondità di due metri o poco più.

— Cosa intendi dire con "latte di Gea"? — chiese Chris.

— Non saprei spiegarlo. È il latte di Gea, e basta. E le nostre preoccupazioni sono finite. Mio figlio si alimenterà di questo latte. Contiene tutto ciò che occorre per la sopravvivenza.

— E noi? — chiese Robin. — Anche gli umani possono berlo?

— Certo. È il latte universale.

— Che gusto ha, Robin? — chiese Chris.

— Non lo so. Non penserai che io beva un liquido sconosciuto.

— Gli umani che l’hanno assaggiato dicono che ha un gusto amaro — spiegò Valiha. — Lo penso anch’io, ma ho l’impressione che la sua qualità vari da una rivoluzione all’altra. Quando Gea è compiaciuta, diventa più dolce. Quando Gea è in collera, diventa spesso e si caglia, ma continua a essere nutriente.

— E di che umore è Gea, adesso? — chiese Robin.

Valiha assaggiò le ultime gocce, poi inclinò la testa, pensosa.

— Preoccupata, direi.

Robm rise. — E che preoccupazioni può avere Gea?

— Cirocco.

— Cosa intendi dire?

— Quello che ho detto. Se la Maga è ancora viva, e se noi sopravviveremo fino a parlarle degli ultimi momenti di Gaby, Gea tremerà.

Robin non pareva convinta, e Chris in cuor suo era d’accordo con lei. Non capiva che pericolo potesse costituire Cirocco per Gea.

Ma Robin capì subito il significato della scoperta.

— Adesso posso andare a cercare aiuto — disse, dando così inizio a una discussione con Chris che sarebbe durata tre giorni e che lui, fin dall’inizio, sapeva di perdere.

— La corda. Ti basterà? E fiammiferi, ne hai?

— Ho tutto. — Robin aveva sulle spalle uno zaino ricavato da una delle sacche di Valiha.

Erano passati quattro giorni dalla capitolazione di Chris. In quel periodo, avevano cercato la più vicina delle "tette" e avevano trasportato laggiù Valiha.

— Hai preso l’acqua?

— Qui. Ho tutto, Chris.

Con lo zaino sulle spalle, pareva ancora più piccola: a Chris fece venire in mente un bambino di pochi anni, vestito per uscire a giocare con la neve, e provò l’irresistibile desiderio di abbracciarla per proteggerla. Ma questo era proprio ciò che lei non voleva, e Chris si affrettò a guardare da un’altra parte per non farsi scorgere.

— Ricordati di lasciare dei segni lungo il sentiero.

Lei gli mostrò il martello, poi tornò a infilarlo nella cintura. Era una bellissima cintura, fabbricata da Valiha con le pelli di "cetriolo". Pensavano che non appena Valiha fosse stata in grado di muoversi con le stampelle, lei e Chris avrebbero seguito il sentiero tracciato da Robin, ma la speranza era che Robin potesse ritornare molto prima di allora.

— Arrivederci, Valiha.

— Arrivederci. Ti direi "Gea sia con te", ma so che preferisci viaggiare senza di lei.

— Giusto — disse Robin, ridendo. — Lasciala nel suo mozzo, a preoccuparsi della Maga. Ci rivediamo tra una chiloriv.

Chris la guardò allontanarsi. Gli parve che si girasse ancora una volta a salutare; poi scorse solo più la luce dei tre uccelli che portava in una gabbietta, e infine più niente.

Il latte di Gea era effettivamente amaro. Il suo gusto cambiava leggermente da un giorno all’altro, ma Chris avrebbe desiderato una maggiore varietà. In meno di cento rivoluzioni ne ebbe la nausea, e cominciò a domandarsi se era meglio quel liquido o la morte per inedia.

Quando poteva, andava a raccogliere legna e a catturare animali, e Valiha cercava di prepararglieli in maniera sempre diversa. Chris li mangiava come se fosse digiuno da giorni. ’ Chris tornò ad avere degli attacchi, dopo un lungo periodo tra il Festival di Crio e l’arrivo nella caverna. Si svegliava in qualche posto e non ricordava come c’era arrivato. Ogni volta che questo gli accadeva, si voltava verso Valiha per vedere se le avesse fatto del male, ma Valiha gli diceva di no. Anzi, spesso gli pareva assai soddisfatta. A quanto pareva, Valiha lo preferiva durante i suoi attacchi di pazzia.

Forse era quella la cura, si disse un giorno. Aveva trovato il modo di trasformare la pazzia in normalità. Chris non sapeva cosa faceva durante i suoi attacchi: non osava chiederlo a Valiha, e Valiha non gliene parlava mai.

Parlavano d’altro. Dapprima parlarono di se stessi, e presto Valiha si trovò senza argomenti: Chris si era dimenticato di quanto fosse assurdamente giovane. Anche se era adulta e matura, le sue esperienze erano estremamente limitate. Ma entro breve tempo anche Chris esaurì il racconto della sua,vita, e dovette passare ad altri argomenti. Parlarono delle loro speranze e dei loro timori, umani e titanidi. Inventarono giochi e racconti. Valiha era abilissima nel raccontare: la sua immaginazione e le sue prospettive erano leggermente sfalsate rispetto a quelle umane, e Chris rimaneva sorpreso dalle sue intuizioni e dalle sue osservazioni inquietanti. Cominciò a capire cosa significava essere quasi umani, ma non umani del tutto. Pensò a quanti miliardi di esseri umani, sulla Terra, non avevano mai fatto un’esperienza così affascinante.

Rimase stupito dalla pazienza di Valiha. Lui si sentiva impazzire dalla claustrofobia, nonostante la sua libertà di movimento fosse assai superiore. Cominciò a capire perché sulla Terra uccidessero i cavalli che si rompevano le zampe: la costituzione fisica dei cavalli non era fatta per stare sdraiati. Le zampe dei titanidi erano molto più flessibili di quelle dei cavalli terrestri, ma Valiha passò un periodo estremamente sgradevole. Per mezza chiloriv non poté fare altro che rimanere distesa sul fianco. Poi, quando le ossa cominciarono a saldarsi, poté ritornare in posizione eretta, ma solo per breve tempo, perché doveva allungare le zampe davanti a sé.

Chris capì la scomodità della posizione quando lei, incidentalmente, disse che i titanidi, nei loro ospedali, erano sospesi a un’imbracatura che sollevava il tronco e lasciava libere le gambe. Chris rimase stupito.

— Perché non me l’hai detto prima? Penso di poter costruire qualcosa di simile. Tu ti appoggi sulle zampe posteriori… — Si accorse che Valiha non lo guardava, e le chiese: — Cosa c’è?

— Non voglio darti disturbo… — E incominciò a piangere.

— Non preoccuparti — disse lui, cercando di consolarla.

— Sono stata così stupida — gemette Valiha. — Sono stata stupida a rompermi le gambe.

— È stato un incidente.

— Sì, ma ricordo tutto. Non ricordo cosa è successo prima… sulle scale. Ricordo però un dolore terribile, e che mi sono messa a correre. Poi, quando sono giunta al burrone, ho fatto il salto, anche se sapevo di non poter arrivare dall’altra parte.

— Si fanno delle strane cose, quando si ha paura — disse Chris.

— Sì, ma adesso tu sei bloccato qui, per colpa mia.

— Siamo tutti e due bloccati — ammise lui. — Non dico che sia il posto ideale, ma finché non sarai guarita, resterò con te. Comunque, la colpa non è certo tua.

Lei rimase in silenzio per qualche tempo. Poi lo guardò negli occhi.

— Per me è il posto ideale — disse.

— Cosa intendi dire? — fece lui, perplesso.

— Intendo dire che ti amo.

— No, non credo che tu ami me.

Lei scosse la testa. — Capisco cosa vuoi dire, ma non è vero. Io ti amo sempre, sia quando sei tranquillo, sia quando sei agitato.

Per qualche tempo, Chris rimase in silenzio, poi, visto che anche Valiha taceva, le rivolse la domanda che da tempo non osava chiedere. — Perché, facciamo forse l’amore, quando sono pazzo?