Prima di muoversi, attese di riavere il pieno controllo del suo corpo, e poi risalì in cima alla scarpata lungo cui era rotolata quando le avevano ceduto le gambe. Uno dei suoi uccelli lampada era morto schiacciato perché la gabbia era finita sotto di lei, e l’altro stava per morire, ma faceva ancora un po’ di luce. Prima controllò il proprio corpo, poi l’equipaggiamento. Aveva male a un fianco, ma non le parve di avere costole rotte. Si era rotta un’unghia e aveva vari graffi, ma niente di più. Un controllo dell’equipaggiamento che aveva ancora con sé dopo averne eliminato varie parti le mostrò che non mancava niente.
Non contava più le volte in cui aveva evitato di stretta misura il pericolo: mani che scivolavano sulla corda, rocce che cadevano a poca distanza da lei, sabbie mobili che fortunatamente risultavano poco profonde, l’onda di piena phe si avventava lungo il letto di un ruscello poco prima che lei lo attraversasse. Un tempo, quando era a casa propria, il pericolo la esaltava. Ora non più.
Il viaggio le era parso facile, quando ne aveva parlato con Chris e Valiha. Attraversare la caverna dirigendosi sempre a est, fino a raggiungere Tea. Ma presto si era accorta che la caverna non seguiva una linea retta, se non in modo assai approssimativo. Inoltre non sapeva se rimaneva sempre allo stesso livello. Il viaggio era iniziato alla profondità di cinque chilometri sotto la superficie di Gea. Lo strato di rocce che ricoprivano la struttura esterna di Gea era spesso trenta chilometri. C’era tutto lo spazio perché la caverna passasse sotto la camera di Tea.
Due semplici strumenti avrebbero potuto risolvere questi problemi di orientamento. Su Gea, salendo si diventava più leggeri, mentre scendendo ci si appesantiva. La differenza veniva misurata da un semplice dinamometro: una molla, un peso in fondo, e una scala graduata. Quanto alla direzione, l’orologio giroscopico permetteva di determinarla perché si fermava quando il suo asse era nella direzione nord-sud. Ruotandolo di novanta gradi, dal senso in cui prendeva a girare si determinavano l’ovest e l’est. Ma Gaby e Cirocco non avevano previsto di scendere, e non avevano preso con sé il dinamometro. E l’orologio era rimasto con Cornamusa.
Aveva dovuto procedere a tentoni, ritornando infinite volte sui suoi passi, dopo avere esplorato corridoi promettenti che però terminavano in qualche distesa di roccia. E aveva dovuto cancellare ogni volta le indicazioni lasciate per Chris e Valiha per segnarne delle altre. Il suo timore era quello di muoversi in cerchio, e di dover vedere un giorno davanti a sé l’accampamento che aveva lasciato tanto tempo prima. Forse, si diceva ogni tanto, era meglio sedersi ad aspettare che i compagni la raggiungessero. Chissà se le gambe di Valiha erano guarite, chissà se era già nato il piccolo titanide? Sarebbe stato bello avere di nuovo compagnia. In tre avrebbero potuto cercare meglio la strada, e Chris avrebbe fatto la sua parte di esplorazione, eliminando parte del rischio.
E ogni volta che questi pensieri le si erano affacciati alla mente, si era rimessa in cammino, più decisa di prima. Se aveva perso l’illusione dell’intrepidezza, almeno le rimaneva l’ostinazione. E una volta accettata la paura, poteva affrontarla e vincerla.
Dopo un tempo incommensurabile, trovò davanti a sé una galleria simile a quella di cui si erano serviti per uscire dalla sala di Teti. Niente di particolare in questo: ne aveva già esplorato un centinaio, tutte uguali tra loro. Ma ormai si aspettava così poco, che ciò che vide alla fine della galleria fu più che una sorpresa. Per un attimo non riuscì a muoversi a causa dello stupore. L’aria aveva un odore pungente. Si guardò a destra e a sinistra, poi in basso, e vide un sottile strato di liquido chiaro. I suoi stivali fumavano.
Fece un balzo indietro, e si affrettò a toglierseli. Per poco non entrava nell’acido…
— Tea! — esclamò. E poi le venne in mente che poteva essere Teti, o Febe, e che lei non aveva modo di saperlo. Dal punto in cui era, il corridoio continuava ancora a lungo, e lontano si scorgeva solo una macchia di luce che doveva essere il cervello regionale.
— Tea, ti devo parlare!
Tese l’orecchio, controllando il livello dell’acido che copriva il pavimento, poco lontano da lei. Se il livello fosse salito, Robin avrebbe insegnato agli uccelli-lampada l’arte della fuga.
Ricordò che la voce di Crio era molto bassa; forse quella di Tea non poteva giungere fino a lei. Gridò di nuovo. Si era aspettata un mucchio di guai, ma non che il cervello fosse irraggiungibile.
— Tea, sono Robin della Congrega, un’amica di Cirocco Jones, la Maga di Gea, Imperatrice dei Titanidi… — Cercò di farsi venire in mente i vari titoli di Cirocco, da lei uditi alla Casa della Melodia, pronunciati con irritazione da Gaby in un momento di sconforto, ma non gliene venne in mente nessuno.
— Sono un’amica della Maga — terminò, augurandosi che bastasse. — Se mi ascolti, devi sapere che sono qui per sua commissione. Ti devo parlare.
Tornò ad ascoltare, anche questa volta senza alcun risultato.
— Se mi stai già parlando, parla più forte, perché non ti sento — gridò. — Per la Maga è molto importante che io ti parli. Se abbasserai il livello dell’acido e mi permetterai di avvicinarmi, potremo parlare più agevolmente. — Stava per dire che la sua presenza non costituiva alcun pericolo per Tea, ma le ritornò in mente il tono di superiorità con cui Cirocco si era rivolta a Crio. Non sapeva se fosse pericoloso darsi le arie che si era data Cirocco; forse era la cosa peggiore da farsi. Ma era altrettanto possibile che Tea capisse solo la forza, e che la uccidesse al primo istante di debolezza.
— Ti devo assolutamente parlare — continuò, decisa. — E, perché possa farlo, devi abbassare il livello dell’acido. Ti comunico che Cirocco si inquieterà, e con lei Gea, se non farai come dico. Se ami e rispetti Gea, lasciami avvicinare. Se temi Gea, lasciami avvicinare!
Sembravano frasi vuote. Certo Tea era in grado di notare la paura che si nascondeva dietro quelle parole.
Ma il livello dell’acido si stava abbassando. Robin si avvicinò con cautela, e vide che dove prima ce n’erano alcuni centimetri, adesso ne rimaneva solo una sottile pellicola.
Si mise a sedere e aprì lo zaino. Si avvolse i piedi con degli stracci prima di infilarli nuovamente negli stivali, e poi si protesse anche gli stivali con altri stracci. Infine proseguì il cammino. Controllando dopo qualche passo, vide che la fasciatura resisteva all’acido.
A quanto pareva, anche Tea procedeva con cautela. L’acido si ritirava con una lentezza estenuante, ma alla fine Robin si trovò in una sala uguale a quella da lei vista in occasione delle visite a Crio e a Teti.
— Parla — disse la voce, e per poco Robin non corse via, perché era la voce di Teti. Con uno sforzo di volontà, dovette ricordarsi che anche Crio aveva la stessa voce piatta, disumana, priva di inflessioni, come costruita all’oscilloscopio.
— Non muoverti — proseguì la voce. — Pena la vita. Posso entrare in azione più rapidamente di quanto tu non creda, e perciò non fare affidamento sulle tue precedenti esperienze. Ho il diritto di ucciderti perché questa è la mia camera sacra, data a me da Gea medesima, inviolabile a tutti, fuorché alla Maga. Ringrazia la mia lunga amicizia con la Maga e il mio amore per Gea, se sei riuscita a giungere viva fin qui.
Non usa mezzi termini, pensò Robin. Quanto alle parole stesse… se le avesse pronunciate un umano, lei lo avrebbe giudicato pazzo. E forse Tea era pazzo, se la cosa poteva avere significato. Il termine "pazzia" era largo a sufficienza per coprire anche quella che era perfetta sanità di mente per un’intelligenza aliena.
— Se pensi di girarti e di fuggire — proseguì Tea, colto evidentemente da qualche sospetto — sappi che sono al corrente di quanto è successo quando hai visitato Teti. Sappi che Teti è stato colto alla sprovvista, mentre io, già da varie migliaia di rivoluzioni, sapevo del tuo imminente arrivo. Non c’è bisogno che riempia la mia sala. Sotto la superficie del fossato ho apprestato un organo capace di lanciare un getto di acido sufficientemente potente per farti a pezzi. Perciò, parla; o muori.