Prima ancora di uscire dalla foresta dei singoli fili costituenti il cavo, cominciò ad avere i brividi. Non si era immaginata che potesse fare così freddo. Era stato un errore abbandonare la giacca imbottita che Chris le aveva detto di portare con sé. Ma nelle grotte quel massiccio indumento la impacciava.
Per fortuna aveva ancora gli stivali, anche se aveva gettato via il rivestimento interno di pelliccia perché le faceva sudare il piede. Come gli altri indumenti, avevano sopportato bene l’uso. Strofinò con la neve le punte, per togliere i resti di acido, e pensò che se non si fosse messa presto in movimento, avrebbe corso il rischio di morire congelata. Pensò di riposarsi prima di partire, ma l’unico posto era la scala, e lei non voleva ritornare laggiù, dove forse Tea poteva raggiungerla.
Ricordava che il territorio attorno al cavo era dominato da una catena di montagne che correvano dagli altopiani settentrionali a quelli meridionali. Ofione seguiva un percorso quasi rettilineo in tutta la regione, e solo nel centro si suddivideva in due rami che poi si ricongiungevano in corrispondenza del cavo centrale. Uno dei due rami era sempre coperto di ghiaccio, ma l’altro, durante il ciclo climatico trentennale di Gea, si sgelava occasionalmente per dare una stentata primavera. Robin sapeva che quell’epoca era ancora lontana, ma pensava di non avere difficoltà a trovare il fiume coperto dal ghiaccio.
Dopo il primo chilometro, si alzò un forte vento gelido che le fece lacrimare gli occhi. Si fermò per coprirsi meglio con la coperta, facendo una sorta di cappuccio. Mentre si stava così sistemando, vide qualcosa che si avvicinava a lei. Non riuscì a scorgerlo bene, al buio e in mezzo alla neve, ma era bianco, grosso come un orso, con grandi braccia e molti denti. Si fermò a osservarla, e anche Robin lo osservò, finché l’essere non si avvicinò a lei.
Forse non aveva cattive intenzioni, ma lei non volle correre rischi. Colpito dal primo proiettile, l’animale si osservò con grande sorpresa la macchia rossa che gli si allargava sul pelo. Continuò ad avvicinarsi, e lei gli sparò contro l’intero caricatore: a questo punto l’animale si ripiegò su se stesso e non si mosse più. Robin, con le mani intirizzite, ricaricò l’arma. La creatura era immobile, ma lei non andò a controllare. Fece un largo giro attorno a essa, e riprese il cammino.
Giunta al fiume gelato dovette decidere da che parte recarsi. Era nel centro di Tea, e in entrambe le direzioni avrebbe dovuto percorrere duecento chilometri prima di incontrare la luce del giorno.
A est c’era Meti, che pareva caldo e invitante, ma che, secondo Cirocco, non lo era affatto. Meti era un nemico di Gea, ma meno pericoloso di Teti. A ovest, naturalmente, c’era Teti, il deserto. Chissà come, dai ghiacci di Tea sembrava meno brutto di prima. Poi Robin ripensò al calore delle dune, e ai fantasmi nascosti nella sabbia, e si diresse a est. In realtà non desiderava tornare indietro, ma almeno era rimasta ferma per qualche momento e non aveva pensato al freddo che cominciava a sentire ai piedi.
Presto il freddo cominciò a salirle in tutto il corpo, e sentì il desiderio di riposarsi, ma proseguì con ostinazione, anche se tendeva a entrare in un dormiveglia, a confondere la realtà con il sogno. Per vario tempo le parve di sostenere una lunga conversazione con Gaby, senza ricordare che Gaby era morta. Sparò contro una forma che si muoveva, che forse era un’altra di quelle creature simili a orsi, e forse era soltanto un mucchio di neve. Quando staccò le dita dal calcio della pistola, il metallo era talmente freddo che un brandellino di pelle le rimase attaccato.
La luce lampeggiante, quando la scorse, ore e ore più tardi, a tutta prima le parve una seccatura. Era inspiegabile. Doveva essere un’allucinazione. Ma quando urtò contro una trave verticale di metallo, si fermò, perplessa. C’era una luce rossa, lampeggiante. Scorse una costruzione posata su palafitte metalliche, a dieci metri d’altezza. C’era anche una scala a pioli che permetteva di salire.
Scorse una macchia chiara, accanto alla scala. E una targhetta, posta a circa un metro e mezzo d’altezza. Tolse la neve che la copriva e lesse:
Robin strabuzzò gli occhi e rilesse varie volte la scritta per paura che svanisse. Poi afferrò il primo piolo, ringraziando Gaby del fatto di averlo messo di legno e non di metallo come la sua pistola.
Si sollevò a forza di braccia, controllando dove metteva ogni volta i piedi, perché ormai erano insensibili. Tre scalini per volta. Dopo un tempo lunghissimo, si guardò in alto e le parve che la scala fosse ancora lunga come l’ascesa all’Everest.
La porta si aprì sopra di lei. Si sporse una faccia. Robin si augurò che fosse Cirocco, perché la Maga era l’unica persona che potesse trovarsi laggiù; la Maga aveva una salvataggio da fare, nella regione di Tea. Se si fosse trattato di chiunque altro, sarebbe stato un miraggio.
— Robin!
Sentì l’odore del caffè e del cibo che cuoceva. Troppo bello per essere vero, e inoltre non era Cirocco. La cosa era talmente ridicola che non valeva la pena di pensarci, perché la faccia era quella di Trini, la sua amante di mille anni prima, a Titantown. In quell’istante capì che era tutto un sogno, sia l’edificio, sia Trini.
Perciò si lasciò andare, e finì con la schiena contro un alto ammasso di neve, ai piedi della scala a pioli.
39
L’avamposto
I soldi di Cirocco continuavano ad accumularsi sulla Terra da più di settantacinque anni. C’erano i diritti d’autore sui libri di testo e sui libri di viaggi su Gea da lei scritti, nonché sulla sua autobiografia Ho scelto l’avventura (titolo scelto dall’editore e non da lei), che era stato un bestseller a cui si erano ispirati due film e una serie televisiva. Inoltre il commercio della cocaina le rendeva bene. C’era perfino lo stipendio della NASA che aveva continuato ad accumularsi finché lei non aveva dato le dimissioni.
Si era rivolta a un consigliere finanziario svizzero e a un avvocato brasiliano, e aveva dato loro due istruzioni: tenersi lontano dall’inflazione e pagare meno tasse possibile. Aveva anche consigliato di investire nell’industria spaziale e di non usare il suo denaro in modi che andassero contro l’interesse degli Stati Uniti. L’avvocato aveva obiettato che si trattava di una richiesta un po’ antiquata, e quasi impossibile da rispettare, e lei gli aveva scritto che la Terra era piena di avvocati. L’avvocato aveva capito, e i suoi discendenti lavoravano ancora per Cirocco.
A questo punto, lei si era disinteressata della cosa. Due volte all’anno riceveva un rapporto, gli dava un’occhiata e lo ficcava in un cassetto. Il suo patrimonio aveva superato due depressioni che avevano spazzato via una grande quantità di investimenti a breve termine. Gli agenti di Cirocco sapevano che lei poteva pensare a lungo termine, e che una perdita iniziale non la preoccupava. C’erano stati degli anni neri, ma in complesso la tendenza era stata verso un costante aumento.
Per lei era una sorta di astrazione senza significato. Che importanza aveva per lei sapere che possedeva X chilogrammi d’oro, Y per cento della ditta W e Z marchi tedeschi in opere d’arte? Se il rapporto le arrivava quando non aveva niente da fare, passava qualche minuto a leggerlo, dagli affitti alle aviolinee, alle azioni e alle opere d’arte. Una sola volta aveva scritto, allorché aveva saputo per caso che possedeva l’Empire State Building e che intendevano demolirlo. Disse di restaurarlo, e nei due anni successivi perse vari miliardi. Poi li riguadagnò, e i suoi agenti si fecero l’idea che fosse un genio finanziario, ma Cirocco in realtà aveva voluto risparmiarlo perché sua madre l’aveva portata lassù in cima quando aveva sette anni, ed era uno dei più cari ricordi che avesse di lei.