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— Be’, io non capisco neppure le cattedrali — disse Chris, quando il ballerino fu sparito.

Robin non disse niente. Dalla sua precedente visita, sapeva già come Gea cantava e danzava per manipolare la gente allo scopo di divertirsi. Ogni particolare doveva avere un proprio significato, e lei non pensava di capirli tutti. La danza non le interessava, e adesso si chiedeva come fosse il canto.

— Continuo a fare quel sogno — disse. — Siamo seduti con Gea, e la prima cosa che dice è: "Allora, per la seconda parte del vostro test…"

Lui la guardò con la coda dell’occhio. — Vedo che non hai perso il senso dell’umorismo. Hai portato anche le bombolette puzzolenti e la polvere gratta-gratta?

— Le ho lasciate nella valigia.

— Peccato. Come vanno i piedi? Vuoi che ti aiuti?

— Ce la faccio, grazie. — Aveva già notato che non le servivano le stampelle, lassù sul mozzo. Aveva i piedi ancora bendati, ma in quella bassa gravità non le facevano male. Lei e Chris si avviarono verso il dedalo di edifici di pietra, questa volta senza una guida.

Il paradiso era esattamente come lo ricordava. C’era lo stesso tappeto di dimensioni ciclopiche, i divani e cuscini grossi come ippopotami, i bassi tavolini pieni di cibo. E c’era la stessa aria di allegria unita a disperazione. E in mezzo c’era la dea, che teneva imbandita corte perpetua per il suo seguito di angeli ebefrenici.

— Così i soldati ritornano dalla guerra — disse Gea, come per salutarli. — Un po’ più sottomessi, un po’ più curvi per le fatiche, ma, nel complesso, indenni.

— Non proprio — disse Chris. — Robin ha perso qualche dito.

— Oh, certo. Be’, vedrà che la cosa è stata messa a posto, se avrà la compiacenza di togliersi le bende.

Per tutto il tragitto Robin aveva avuto una strana sensazione ai piedi, ma aveva pensato che si trattasse del fenomeno dell’«arto fantasma», noto a tutti gli amputati. Ora si toccò il piede e si accorse che aveva di nuovo tutte le dita.

— No, no, non ringraziarmi. Non mi aspetto ringraziamenti, dato che non le avresti perse se non mi fossi intromessa io. E mi sono presa la libertà di correggere quello che doveva essere un errore di chi ti ha fatto il tatuaggio, quando ho rifatto il pezzo di serpente che prima decorava una delle dita perdute. Spero che la cosa non ti dia fastidio.

Le dava un fastidio pazzo, ma non disse niente. Avrebbe cercato la correzione, giurò a se stessa, e se la sarebbe fatta cancellare dal laser, per rifare il disegno esattamente come era prima. Gea aveva ragione nel dire che era più sottomessa… all’arrivo, per una frase come quella, Gea si sarebbe presa una pallottola… ma le rimaneva l’orgoglio sufficiente a non sopportare le intrusioni.

— Accomodatevi — disse Gea. — Prendete qualcosa. Sedetevi e raccontatemi tutto.

— Preferiamo stare in piedi — disse Chris.

— Speravamo che la cosa fosse breve — aggiunse Robin.

Gea li guardò entrambi con aria triste. Prese un bicchiere dal tavolo accanto a lei, e lo vuotò. Un sicofante accorse subito con un altro bicchiere e lo posò dove era rimasto il cerchio del primo.

— Ah, è così. Ormai dovrei aspettarmelo, ma questo genere di cose riesce sempre a sorprendermi. In una certa misura, capisco il vostro risentimento per essere stati messi alla prova prima di ricevere i miei doni. Ma considerate la mia posizione. Se dessi gratuitamente le cose che posso dare, presto sarei sommersa da tutti i mendicanti, procacciatori d’affari, pataccari, santoni, scrocconi e semplici alcolizzati da Mercurio a Plutone.

— Non vedo il problema — disse Robin, che non riuscì a trattenersi. — Ci sono ancora molte sedie vuote, e ne avete già una bella collezione. Potreste formare un coro.

— Oh, hai ancora la lingua tagliente. Peccato non essere umana e non poterne sentire le deliziose sferzate. Ma, ahimè, sono indifferente al tuo disprezzo, e dunque, perché sprecarlo? Risparmialo per coloro che sono deboli, che abbandonano i compagni nel momento del pericolo, che piangono e si disonorano nella profondità della loro paura. In breve, per coloro che non hanno superato le prove che hai superato tu.

Robin impallidì.

— Vi ha mai detto nessuno — si affrettò a dire Chris — che parlate come il capo dei banditi di un film giallo di serie B?

— Se intendi dirmelo tu, sei il dodicesimo di quest’anno. — Alzò le spalle. — Mi piacciono i vecchi film. Ma questa conversazione mi annoia. Tra pochi minuti ci sarà il secondo spettacolo della serata, e quindi…

— A cosa serve il ballerino? — chiese Robin. Non appena dette queste parole, fu la prima a sorprendersi, ma aveva l’impressione che fosse un particolare importante.

Gea sospirò.

— Non vi piace il mistero? Tutto deve essere sempre spiegato? Che c’è di male in qualche piccolo enigma a cui dedicare la vita per insaporirla un poco?

— Odio i misteri — disse Chris.

— Benissimo. Il ballerino è un incrocio tra Fred Astaire e Isadora Duncan, con qualche spruzzatina di Nijinsky, Baryshnikov, Drummond e Gray. Non le persone, anche se mi piacerebbe andare a rubare in qualche tomba per trovare dei geni adatti alla clonazione, ma omologhi ricavati dalle registrazioni fatte durante la loro vita, tradotti sotto forma di acido nucleico dalla sentitamente vostra, e insufflati del respiro della vita. Il ballerino è un abilissimo strumento della mia mente, e così lo è questa carne. — Gea s’interruppe per battersi sul petto. — Abilissimi, ma pur sempre strumenti. In un certo senso, sia lui che questa portavoce danzano nella mia mente; la portavoce per parlare con le creature effimere, e lui per uno scopo che passerò ora a descrivervi. Ma prima mi aspetto che nonostante la vostra disaffezione, abbiate la curiosità di conoscere la risposta a una certa domanda, ovvero: avete meritato oppure no l’anello dorato? Ritornerete a casa come siete, oppure guariti? — Sollevò un sopracciglio e li fissò a turno.

Robin, anche se non voleva confessarlo, era tutt’orecchi. Una parte di lei diceva che non era stata lei a fisssare le regole, e che, se aveva compiuto qualcosa di meritevole, sarebbe stato sciocco rifiutarlo. Ma un’altra parte di lei gridava al tradimento, e le diceva che non si era mai opposta con molta forza, che aveva sempre desiderato il premio. Ma non voleva che Gea vedesse la sua ansia.

— Mi piace sentire le vostre opinioni, prima di comunicarvi la mia decisione — disse Gea. Si appoggiò ailo schienale e incrociò le braccia sullo stomaco. — Prima tu, Robin.

— Nessuna opinione — disse lei. — Non so cosa sapete delle mie azioni, di quello che ho fatto e di quello che non sono riuscita a fare, ma, per quel che conta, potreste anche sapere tutto, fino ai miei segreti più riposti. Mi pare comunque che ci sia stato un curioso dietro-front. Prima io odiavo le vostre regole, mentre Chris ne era affascinato… almeno, mi pareva che lo fosse. Adesso non saprei. Ho molto riflettuto su ciò che mi è successo. Mi vergogno di molte cose, inclusa l’incapacità, al mio arrivo, di ammettere la debolezza umana. Fate quello che volete, ma qualcosa lo ho già guadagnato. Mi piacerebbe sapere cos’è esattamente, e preferirei non avere sofferto tanto per averlo, ma non sarei più disposta a ritornare a essere quella di prima.

— Non mi sembri del tutto soddisfatta di te.

— Non lo sono.

— La vita è più semplice, quando non si è costretti a guardarsi allo specchio. Ma non è un atteggiamento che possa durare in eterno.