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Chris le saltò addosso. Robin corse ad aiutarlo, ma dovette occuparsi degli sciami di ospiti di Gea, che, pur non essendo la più pericolosa banda di "duri" che Robin conoscesse, erano desiderosi di farsi belli agli occhi di Gea, se il prezzo si limitava a un naso rotto. Robin ne mise fuori combattimento una certa quantità. Diversi non si sarebbero alzati da terra per qualche tempo, ma alla fine riuscirono a farla cadere a terra e a bloccarla. Vide che anche Chris era a terra, e che Gea veniva accompagnata alla sua sedia.

— Fateli alzare — disse, sedendosi. Aveva le labbra sporche di sangue, ma rideva lo stesso. O forse rideva perché la zuffa le era piaciuta; Robin non lo sapeva. Robin si alzò e si mise accanto a Chris. Si era fatta male alla mano, e ora se la portò alla bocca per succhiarsi il punto ferito.

— Capito cosa voglio dire? — disse Gea, come se non fosse successo niente. — Il giovanotto che si è presentato quassù molto tempo fa non avrebbe mai fatto un gesto simile. E ne sono davvero soddisfatta, anche se hai un po’ esagerato, veramente. Ma ti propongo un accordo. Non credo che rimarrai a lungo. Conosco queste cose molto meglio di te, conosco l’amore dei titanidi, e so la differenza tra esso e quello umano. La tua amichetta tornerà presto a spalancare per altri le sue belle zampe… per piacere, frena i bollenti spiriti, non ricominciamo come prima. — Attese che Chris si calmasse. — La tua reazione dimostra che non ho torto. Non nego che lei ti ami, ma amerà anche altri. E prevedo che prenderai male la cosa. Partirai profondamente amareggiato.

— Siete pronta a scommettere?

— È questo l’accordo. Torna tra… diciamo, cinque miriariv. No, bando all’avarizia, facciamo quattro. Sono circa quattro anni e mezzo della Terra. Se vorrai ancora che ti tolga la cura e che ti insegni il canto, farò entrambe le cose per te. D’accordo?

— D’accordo. Ritornerò.

Robin non fu mai sicura se a quel punto Chris avesse smesso di parlare. Finalmente si era accorta di qual era il punto della mano che si stava succhiando. Lo guardò con orrore, gridò e si avventò. Ancora una volta Gea finì a terra, e Robin non ricordò altro. Si accorse poi che sedeva sul pavimento e che le faceva male il mignolo, dito che non doveva esserci. Se lo mordeva, e Chris cercava di farle aprire la bocca. Comunque, non ci fu bisogno di Chris. Lei riaprì la bocca da sola e si fissò con aria sorpresa i segni dei denti sulla pelle.

— Non ci riesco — disse.

— Non ci sei mai riuscita — le ricordò Gea. — Te l’eri tagliato con il coltello, ricordi? La storia che te l’eri strappato via a morsi era solo pubblicità. Eri molto abile nel farti propaganda, a quell’epoca. Per renderti celebre, ti saresti tagliata la pancia. Ho l’impressione che tu fossi una grande rompiballe, e che solo una madre potesse volerti bene. — Aveva il fiato corto. — E non sei cambiata. Veramente, ragazzi, dovete smetterla. Due volte nello stesso giorno? Devo sopportare aggressioni e percosse? Vi pare che un dio possa tollerare comportamenti simili?

Robin non dava più retta alle sue parole. Il triste era che Gea aveva ragione. Lei non era più la vecchia Robin, e quindi non aveva motivo di essere Robin dalle Nove Dita.

— Lasciate stare i convenevoli — disse Gea. — Toglietevi solo dai piedi.

Chris aiutò Robin a rialzarsi, e la tenne sottobraccio fino all’ascensore che, come ben sapevano, poteva farli precipitare ancora una volta per l’intero Raggio di Rea. Robin si chiedeva se il tatuaggio sul ventre fosse intatto, e si rendeva conto che per molto tempo non avrebbe avuto il coraggio di controllare.

42

Sulle ali dei venti

Cirocco sedeva su una sporgenza piatta di roccia, sopra la Casa del Vento, confine occidentale della formazione simile a una mesa che conferiva al cavo chiamato Scala di Cirocco l’aspetto di una mano affondata nel terreno dell’Iperione orientale. Sotto di lei, i singoli trefoli del cavo si allargavano come le nocche nodose delle dita, levigate da milioni di anni di vento continuo. Tra un filo e l’altro, dove ci sarebbe stata la pelle del palmo, si spalancavano grandi fori ellittici che inghiottivano l’aria e la facevano passare all’interno. Dai fili poi raggiungeva il lontano mozzo di Gea, per infine tornare a scendere lungo i vari raggi, nel grande ciclo di rimescolamento che era l’essenza della vita di Gea. Il terreno era brullo, ma una vita su scala molto più grande, che si manifestava in quel cavo, permeava l’intera zona fino alle sue più segrete molecole, e faceva vibrare a Cirocco tutte le ossa.

Gea era così maledettamente grande, ed era così facile lasciarsi prendere dalla disperazione.

Era possibile che in tutta la storia di Gea ci fosse stata una sola persona che avesse osato sfidarla. Cirocco, la grande Maga, aveva fatto solo finta, si era data le arie di poter davvero parlare a Gea da pari a pari, ma solo lei sapeva quanto fossero vuoti questi atteggiamenti. Solo lei conosceva la lista delle proprie criminali debolezze. Dapprima, Gea aveva dovuto pestare i piedi nelle vicinanze della Maga per richiamarla all’ordine. Ma poi, con il passare del tempo, non aveva neppure più avuto bisogno di alzare il piede; Cirocco stessa strisciava sotto le sue suole come un verme, convinta che farsi calpestare era giusto e santo.

E adesso era chiaro che si trattava dell’unico comportamento possibile. Colei che aveva osato ergersi a sfidare Gea era morta, e il suo corpo era stato consumato da quell’humus rabbioso che era il corpo di Gea. Era una grande lezione di realismo politico. Non c’era dubbio che Gaby era stata una sciocca. La sua ribellione, pietosamente debole, abbozzata, era scomparsa insieme con la sua vita. Non appena aveva mosso i primi passi, l’intera potenza di Gea si era scatenata su di lei. Gea aveva ucciso Gaby con la stessa indifferenza con cui un elefante addormentato poteva schiacciare una pulce.

Cirocco sedeva lassù da varie ore, senza muoversi, ma, quando udì il grido che giungeva dal basso, girò la testa e si alzò in piedi. All’inizio, l’angelo era solo una macchiolina alata, ma presto divenne più grande. Seguendo abilmente con le ali multicolori le ingannevoli correnti del vento, si posò a due metri di distanza da Cirocco. Dietro di lui c’erano altri cinque uomini alati.

— Sono ritornati a Titantown — disse l’angelo. Cirocco respirò, sollevata. Erano stati i ragazzi stessi a insistere per salire al mozzo. Evidentemente, erano troppo piccoli per meritare la collera di Gea. L’angelo sogguardava Cirocco, aggrottando le sopracciglia.

— Sei proprio sicura di volerlo fare? — le chiese.

— Non sono mai stata sicura di niente. Andiamo.

Accompagnata dagli angeli, raggiunse l’orlo del precipizio. Sotto di lei c’era il foro chiamato Grande Ululato, noto anche come Antevagina di Gea, per la sua forma di monumentale fessura verticale collocata tra due lunghi affioramenti rocciosi orizzontali simili a gambe. Vibrava costantemente, in una lugubre chiave di bordone.

Gli angeli le si misero alle spalle. Due di essi, uno per parte, le afferrarono le braccia con mani ferree. Gli altri quattro li avrebbero sostituiti più avanti, nel corso del rischioso volo nella completa oscurità.

Cirocco fece un passo al di là dell’orlo, e il vento la trascinò con sé come una foglia. Entrò nel cavo e cominciò a salire in direzione del mozzo.

43

La sottile linea rossa

Cirocco lo chiamava il Tè del Cappellaio Pazzo, pur sapendo che non era il giusto soprannome; semplicemente, in certe occasioni si sentiva come la piccola Alice. La corte di disperati che circondava Gea sarebbe stata più adatta al palcoscenico esistenzialista di Beckett che al Paese delle Meraviglie di Carroll. Comunque, non si sarebbe affatto stupita se le avessero offerto mezza tazza di tè.

La compagnia era sempre assai sensibile agli umori di Gea, e Cirocco non l’aveva mai vista così irrequieta come quando si avvicinò al party, né così improvvisamente guardinga come quando finalmente Gea la vide.