Выбрать главу

«Sforzati. Devo sapere.»

«Ecco, da come lo dici, non posso fare a meno di pensare che tu ti senta in colpa… come se la responsabilità fosse tua.»

«Perché? Cosa avrei fatto, secondo te?»

«Te l’ho sentito dire una volta quando eri nella sala d’osservazione. Hai guardato Nemesis, e mi è sembrato che c’entrasse Nemesis. Così ho chiesto al computer il significato di Nemesis, e il computer me l’ha detto. È qualcosa che distrugge implacabilmente, qualcosa che punisce.»

«Questo non ha niente a che fare con il nome» strillò Eugenia.

«L’hai scelto tu, il nome» disse Marlene, calma, inesorabile.

Non era più un segreto, naturalmente, da quando avevano lasciato il Sistema Solare alle loro spalle. Ormai era noto a tutti che era stata Eugenia Insigna a scoprire la stella e a chiamarla così.

«Proprio perché il nome l’ho scelto io, so che quello che ti ha detto il computer non c’entra.»

«Allora perché ti senti in colpa, mamma?»

("Silenzio… se non vuoi dire la verità.")

«Come sarà distrutta la Terra, secondo te?» chiese infine Eugenia.

«Non lo so, però credo che tu lo sappia, mamma.»

«Non riusciamo a intenderci, Marlene, quindi lasciamo perdere per ora. Però voglio che sia ben chiara una cosa, cioè che tu non devi parlare di queste cose con nessuno… né di tuo padre, né di questa sciocchezza della distruzione della Terra.»

«Se non vuoi che ne parli, starò zitta, naturalmente… però la distruzione della Terra non è una sciocchezza.»

«Io dico di sì. È una sciocchezza, d’accordo?»

Marlene annuì. «Penso che andrò a visionare per un po’» disse, con apparente indifferenza. «Poi andrò a letto.»

«Bene!» Eugenia osservò la figlia che si allontanava.

"Colpevole" rifletté. "Mi sento colpevole. L’ho scritto in faccia a grandi lettere. Basta guardare, e chiunque può vederlo… No, non chiunque. Solo Marlene. Lei possiede questo dono di natura."

Marlene doveva avere qualcosa che compensasse tutto quello che le mancava. L’intelligenza non bastava. Non era una compensazione sufficiente, quindi Marlene aveva questa capacità di leggere l’espressione, il tono, i più piccoli movimenti del corpo, e nessun segreto era al sicuro con lei.

Da quanto tempo teneva per sé quella dote pericolosa? Da quanto sapeva di possederla? Era qualcosa che si sviluppava sempre più con l’età? Perché la lasciava emergere adesso, scostando il velo con cui apparentemente l’aveva nascosta, usandola come un’arma con cui colpire sua madre?

Era perché Aurinel l’aveva respinta definitivamente, stando a quello che Marlene aveva visto in lui? Stava colpendo alla cieca come reazione?

"Colpevole" pensò Eugenia. "Perché non dovrei sentirmi colpevole? È tutta colpa mia. Avrei dovuto saperlo dall’inizio, dall’attimo della scoperta… ma non volevo sapere."

6 Avvicinamento

XI

Da quanto lo sapeva? Da quando aveva chiamato la stella Nemesis? Aveva percepito cosa fosse e cosa significasse, e le aveva dato un nome appropriato inconsciamente?

Quando aveva individuato la stella, l’unica cosa importante per lei era stata la scoperta in sé. Aveva pensato soltanto all’immortalità. Era la sua stella, la Stella di Insigna. Era stata tentata di chiamarla così. Un nome fantastico, anche se nel prenderlo in considerazione lo aveva accantonato, riluttante, con una smorfia interiore di falsa modestia. Sarebbe stato davvero insopportabile adesso se lei fosse caduta in quella trappola.

Dopo la scoperta, c’era stato lo shock della richiesta di segretezza da parte di Pitt, poi i preparativi frenetici per la Partenza. (Sarebbe stata chiamata così nei libri di storia un giorno? La Partenza? Maiuscolo?)

Poi, dopo la Partenza, c’erano stati due anni in cui la nave aveva continuato a guizzare dentro e fuori l’iperspazio… e i calcoli interminabili necessari per l’iperassistenza, che richiedevano una marea di dati astronomici che Eugenia doveva controllare e coordinare. Solo la densità e la composizione della materia interstellare…

In quei quattro anni Eugenia non aveva mai potuto pensare a Nemesis in modo approfondito; nemmeno una volta aveva potuto concentrarsi e cogliere qualcosa di ovvio.

Possibile? O aveva semplicemente distolto lo sguardo da quello che non voleva vedere? Si era rifugiata deliberatamente in quel bailamme di segretezza, fretta, eccitazione?

Poi però l’ultimo periodo iperspaziale era terminato; a questo punto, per un mese, avrebbero decelerato attraverso una grandinata iniziale di atomi d’idrogeno, colpendoli a una velocità tale da trasformarli in particelle di raggi cosmici.

Nessun veicolo spaziale normale avrebbe potuto resistere, ma Rotor aveva attorno a sé uno spesso strato di terreno che era stato rinforzato per il viaggio e che assorbiva le particelle.

Un giorno, aveva assicurato a Eugenia uno degli esperti iperspaziali, sarebbe stato possibile entrare nell’iperspazio e uscirne a velocità normali. «Ora che abbiamo l’iperspazio non sarà più necessaria alcuna innovazione concettuale clamorosa» aveva detto. «È solo una questione di tecnologia.»

Forse! Per gli altri specialisti, comunque, quell’idea era soltanto spazzatura cosmica.

Quando aveva intuito la terribile verità, Eugenia era corsa subito da Pitt. Nell’ultimo anno Pitt non aveva avuto molto tempo per lei, ed Eugenia lo aveva capito. Stava affiorando una certa tensione, sempre più evidente, ora che l’eccitazione del viaggio stava diminuendo, ora che la gente si rendeva conto che, nel giro di qualche mese, si sarebbe trovata in prossimità di un’altra stella.

Allora ci sarebbe stato il problema assillante di riuscire a sopravvivere per un lungo periodo di tempo nei pressi di una nana rossa sconosciuta, senza sapere se avrebbero trovato del materiale planetario adeguato da sfruttare come fonte energetica e mineraria, e come spazio abitabile soprattutto.

Janus Pitt non aveva più un’aria giovanile, anche se i capelli erano ancora scuri e la faccia priva di rughe. Erano passati appena quattro anni da quando Eugenia era andata ad annunciargli l’esistenza di Nemesis. Nei suoi occhi, però, c’era un’espressione tormentata, la consapevolezza che la gioia ormai non gli apparteneva più mentre gli rimanevano solo affanni e preoccupazioni, ben visibili.

Era Commissario eletto, adesso. Forse questo spiegava in gran parte le sue preoccupazioni, ma chi poteva dirlo? Eugenia non aveva mai conosciuto il vero potere, né le responsabilità che lo accompagnavano, però aveva l’impressione che potesse esacerbare chi lo conosceva in prima persona…

Pitt le sorrise distrattamente. Tra loro si era creata un’intimità forzata quando avevano avuto in comune un segreto di cui all’inizio nessuno (e poi quasi nessuno) era al corrente. Soltanto quando erano soli potevano parlare liberamente, allora. Dopo la Partenza, comunque, il segreto aveva cessato di essere tale, e i loro rapporti si erano raffreddati.

«Janus, c’è qualcosa che mi rode» esordì Eugenia. «Dovevo vederti subito. Si tratta di Nemesis.»

«Qualche novità? Non dirmi che hai scoperto che non è dove pensavi tu, perché è proprio là fuori, a meno di sedici miliardi di chilometri. Si vede.»

«Lo so. Ma quando l’ho scoperta, a poco più di due anni luce, ho dato per scontato che fosse una stella compagna, che Nemesis e il Sole ruotassero attorno a un centro di gravità comune. Data la vicinanza, doveva essere quasi sicuramente così. Sarebbe stato sensazionale.»

«D’accordo. Perché le cose non dovrebbero essere sensazionali di tanto in tanto?»

«Perché per quanto sia vicina, è chiaramente troppo lontana per essere una stella compagna. L’attrazione gravitazionale tra Nemesis e il Sole è debolissima, talmente debole che le perturbazioni gravitazionali delle stelle vicine renderebbero instabile l’orbita.»