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Tanayama, in piedi, disse: «Be’, siediti, Fisher, se questo può aiutarti a pensare. Mi siederò anch’io». E si accomodò sul bordo della scrivania, lasciando penzolare le gambe corte.

«Eri al corrente del movimento della stella?»

«No, Direttore. Non sapevo nemmeno che esistesse, quella stella, finché l’agente Wyler non mi ha informato.»

«Davvero? Sicuramente, su Rotor sapevano.»

«Se ne erano al corrente, nessuno mi ha detto nulla.»

«Tua moglie era eccitata, felice, nell’ultimo periodo, prima che Rotor partisse. È quanto hai detto all’agente Wyler. Per quale motivo era eccitata?»

«Forse perché aveva scoperto la stella, secondo l’agente Wyler.»

«E forse sapeva del movimento della stella, e l’idea di quel che sarebbe successo a noi la riempiva di gioia.»

«Non vedo perché quest’idea avrebbe dovuto riempirla di gioia, Direttore. E poi, non è detto che fosse al corrente del movimento della stella, o addirittura della sua esistenza. Che io sappia, su Rotor nessuno lo sapeva.»

Tanayama lo guardò pensoso, strofinandosi leggermente un lato del mento, quasi avesse un lieve prurito.

«Gli abitanti di Rotor erano tutti euro, vero?» chiese.

Fisher spalancò gli occhi. Era da parecchio tempo che non sentiva quella volgarità… e non l’aveva mai sentita da un funzionario governativo. Ricordò il commento di Wyler poco dopo il suo rientro sulla Terra, quando Wyler riferendosi a Rotor aveva usato il termine «Biancaneve». Gli era parsa soltanto una battuta ironica bonaria, e non ci aveva più pensato.

Disse risentito: «Non so, Direttore. Non li ho studiati tutti. Non so quali possano essere le loro origini».

«Via, Fisher. Non è necessario studiarli. Giudica in base al loro aspetto. Durante la tua permanenza su Rotor, hai incontrato qualche faccia afro, o mongo, o indo? Una carnagione scura? Una piega epicantica?»

Fisher esplose. «Direttore, il suo è un atteggiamento da ventesimo secolo.» (Se avesse conosciuto un’espressione più forte per esporre il concetto, l’avrebbe usata.) «Io non do alcun peso a queste cose, e tutti sulla Terra dovrebbero fare altrettanto. Mi sorprende che lei non lo faccia, e, se si sapesse, non penso che gioverebbe alla sua posizione.»

«Lasciamo perdere le favole, agente Fisher» disse il Direttore, agitando un dito nodoso. «Io sto parlando della realtà. Lo so che sulla Terra ignoriamo le differenze tra noi, almeno esteriormente.»

«Solo esteriormente?»

«Solo esteriormente» ripeté Tanayama con voce asciutta. «Quando si trasferiscono sulle Colonie, i terrestri formano dei gruppi distinti basandosi proprio sulle loro diversità. Se ignorassero queste diversità, non lo farebbero, no? Su qualsiasi Colonia, sono tutti uguali… o se c’è qualche mescolanza, quelli in inferiorità numerica si sentono a disagio, o subiscono un trattamento discriminatorio, e si spostano su un’altra Colonia in maniera tale da non essere più numericamente inferiori. È così?»

Fisher comprese di non poter negare questa affermazione. Sì, in effetti la situazione era quella, e lui, in qualche modo, l’aveva accettata senza trovare nulla da eccepire. «È la natura umana» disse. «I simili si uniscono ai propri simili. Così si crea un… un ambiente omogeneo.»

«La natura umana, certo. I simili si uniscono ai propri simili, perché odiano e disprezzano i diversi.»

«Ci sono anche Colonie mo… mongo.» Fisher pronunciò l’ultima parola balbettando, e si rese conto che avrebbe potuto offendere mortalmente il Direttore… Offendere Tanayama era facile, e pericoloso.

Tanayama non batté ciglio. «Lo so benissimo. Ma sono gli euro quelli che hanno dominato più recentemente il pianeta, e non possono dimenticarlo, vero?»

«Forse nemmeno gli altri possono dimenticarlo, e hanno più motivi di odiare.»

«Ma è stato Rotor a partire, a fuggire dal Sistema Solare.»

«Perché, guarda caso, sono stati loro a scoprire l’iperassistenza.»

«E hanno raggiunto una stella vicina di cui solo loro conoscevano l’esistenza, una stella che sta dirigendosi verso il nostro Sistema Solare e che potrebbe passare abbastanza vicino da sconvolgerlo.»

«Non è detto che lo sappiano, anzi forse non sanno nemmeno che questa stella esiste.»

«Certo che lo sanno.» La voce di Tanayama era quasi un ringhio. «E sono partiti senza avvisarci.»

«Direttore, con rispetto parlando… questo è illogico. Se la stella, avvicinandosi, sconvolgerà il Sistema Solare, anche il sistema della stella sarà sconvolto… quindi, perché dovrebbero stabilirsi là?»

«Possono mettersi in salvo facilmente, anche se costruiranno altri insediamenti. Noi dovremo evacuare un mondo intero, con otto miliardi di individui… un’impresa molto più difficile.»

«Quanto tempo abbiamo?»

Tanayama si strinse nelle spalle. «Alcune migliaia di anni, dicono.»

«È parecchio tempo. Forse gli è sembrato superfluo avvertirci. Quando la stella si fosse avvicinata, l’avremmo scoperta comunque.»

«Perdendo tempo prezioso per l’evacuazione. Loro hanno scoperto la stella casualmente. Noi non l’avremmo scoperta per un pezzo se non fosse stato per quell’osservazione imprudente di tua moglie, e se tu non ci avessi suggerito di esaminare bene la parte di cielo che non compariva nei loro dati… un buon suggerimento. Rotor voleva che scoprissimo la stella il più tardi possibile.»

«Ma, Direttore, perché avrebbero dovuto fare una cosa simile? Per un odio assoluto e immotivato?»

«Non immotivato. Perché il Sistema Solare, con la sua percentuale massiccia di noneuro, potesse essere distrutto. Per permettere all’umanità di ricominciare da capo partendo da una base omogenea esclusivamente di euro. Eh? Che te ne pare?»

Fisher scosse la testa frastornato. «Impossibile. Inconcepibile.»

«Allora perché non ci hanno avvertiti?»

«Può darsi che loro stessi non fossero al corrente della traiettoria della stella, no?»

«Impossibile» fece Tanayama, con ironia. «Inconcepibile. Il loro gesto non ha che una spiegazione… vogliono vederci distrutti. Ma anche noi scopriremo il modo di viaggiare nell’iperspazio, raggiungeremo questa nuova stella e li troveremo. E regoleremo i conti.»

13 Cupola

XXII

Eugenia Insigna accolse le parole della figlia con una risata incerta e incredula. Non era facile decidere se dubitare dell’equilibrio mentale di una figlia o delle proprie facoltà uditive.

«Cos’hai detto, Marlene? Come sarebbe… io andrò su Eritro?»

«L’ho chiesto al Commissario Pitt, e lui ha detto che provvederà.»

Eugenia rimase interdetta. «Ma… perché?»

Tradendo una lieve irritazione, Marlene rispose: «Perché vuoi compiere dei rilevamenti astronomici di precisione, e Rotor non ti consente la precisione necessaria, mentre Eritro sarebbe il posto adatto. Ma mi rendo conto che in realtà la tua domanda era un’altra».

«Appunto. Io volevo sapere… perché il Commissario Pitt dovrebbe aver detto che provvederà? Gliel’ho chiesto parecchie volte in passato, e ha sempre rifiutato. Non vuole che nessuno vada su Eritro… a parte qualche specialista.»

«Gli ho semplicemente esposto la cosa in modo diverso, mamma.» Marlene esitò un attimo. «Gli ho detto che sapevo che era ansioso di liberarsi di te e che questa era l’occasione giusta.»

Eugenia inspirò in modo così brusco che si sentì soffocare e fu costretta a tossire. «Come hai potuto dire una cosa del genere?» chiese poi, gli occhi che lacrimavano.

«Perché è vero, mamma. Non l’avrei detto se non fosse vero. L’ho sentito parlare con te, e ti ho sentita parlare di lui, ed è talmente chiaro che anche tu te ne rendi conto, lo so. Pitt è seccato con te, e vorrebbe che tu la smettessi di importunarlo per… per qualsiasi motivo. Lo sai.»