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E a un tratto Genarr notò che Pitt aveva dato maggior rilievo alla figlia di Eugenia che non a Eugenia stessa. La ragazza aveva manifestato un vivo interesse per Eritro, affermava Pitt, e se desiderava esplorare la superficie del pianeta Genarr doveva permetterle di farlo.

Come mai?

XXVI

Eccola. Erano trascorsi quattordici anni dalla Partenza… venti dalla giovinezza di Eugenia, dal giorno in cui erano andati nell’Area Agricola C salendo ai livelli a bassa gravità, e lei aveva riso quando Genarr aveva tentato una capriola lenta e aveva calcolato male la spinta, atterrando poi sulla pancia. (In effetti, avrebbe potuto farsi male facilmente, perché anche se la sensazione di peso diminuiva, la massa e l’inerzia non facevano altrettanto, e le conseguenze avrebbero potuto essere dolorose. Per fortuna, Genarr non aveva patito quella umiliazione.)

Sì, Eugenia era invecchiata. Però non si era appesantita molto, e i suoi capelli, più corti e lisci, adesso, avevano un’aria più pratica, e lo stesso colore intenso, castano scuro.

E quando avanzò verso di lui sorridendo, Genarr sentì che il suo cuore traditore accelerava leggermente i battiti. Lei gli tese le mani, e Genarr le strinse.

«Siever!» esordì Eugenia. «Ti ho tradito, e mi vergogno tantissimo.»

«Mi hai tradito, Eugenia? Di che stai parlando?» Di cosa stava parlando? Non del suo matrimonio con Crile, sicuramente.

«Avrei dovuto pensare a te ogni giorno. Avrei dovuto mandarti dei messaggi, tenerti informato, insistere per venire a farti visita» spiegò lei.

«Invece, non hai mai pensato a me!»

«Oh, non sono così spregevole. Di tanto in tanto, ho pensato a te. Non ti ho mai dimenticato del tutto, credimi. Solo che i miei pensieri alla fine non mi hanno mai spinta a fare qualcosa.»

Genarr annuì. Che poteva dire? «So che sei stata occupata. E io ero qui… lontano dagli occhi… lontano dal cuore, quindi.»

«No, non lontano dal cuore. Praticamente, non sei cambiato, Siever.»

«È il vantaggio di sembrare già vecchi e rugosi a vent’anni. Dopo, non si cambia più, Eugenia. Il tempo passa, e si diventa un po’ più vecchi e rugosi, ma sono differenze che non si notano quasi.»

«Via, come al solito sei crudele con te stesso, perché le donne dal cuore tenero accorrano in tua difesa. In questo non sei cambiato affatto.»

«Dov’è tua figlia, Eugenia? Non doveva venire con te?»

«È venuta, puoi starne certo. Non so perché, considera Eritro una specie di paradiso. È nel nostro alloggio a sistemare le cose e a disfare i bagagli. Già, è proprio quel tipo di ragazza, lei. Seria. Responsabile. Pratica. Obbediente. Possiede tutte le virtù più sgradevoli, per usare la definizione che ho sentito una volta da qualcuno.»

Genarr scoppiò a ridere. «Mi sento perfettamente a mio agio con queste virtù. Se sapessi che sforzi ho fatto un tempo per coltivare almeno un vizio affascinante. Ho sempre fallito.»

«Oh, be’, invecchiando, è meglio possedere più virtù sgradevoli e meno vizi affascinanti, credo. Ma come mai ti sei ritirato per sempre su Eritro, Siever? D’accordo, la Cupola ha bisogno di qualcuno che diriga le cose, ma sicuramente non sei l’unico su Rotor in grado di svolgere questo compito.»

«Se devo essere sincero, mi piace pensare di essere l’unica persona all’altezza. Comunque, in un certo senso, mi trovo bene qui, e, a volte, vado anche su Rotor per una breve vacanza.»

«E non vieni mai a trovarmi?»

«Be’, non è detto che le nostre ferie coincidano, no? Ho l’impressione che tu sia molto più occupata di me, soprattutto dopo la scoperta di Nemesis. Ma sono deluso. Volevo conoscere tua figlia.»

«La conoscerai. Si chiama Marlene. Io la chiamo Molly, in cuor mio, ma lei non vuole. A quindici anni è già intransigente, e pretende di essere chiamata Marlene. Ma la conoscerai, non temere. Sai, non volevo che ci fosse anche lei la prima volta. Non potremmo abbandonarci liberamente ai ricordi se fosse presente, no?»

«Vuoi rievocare il passato, Eugenia?»

«Alcune cose.»

Genarr esitò. «Mi dispiace che Crile non sia partito con Rotor.»

Il sorriso di Eugenia divenne forzato. «Alcune cose, Siever.» Voltandosi, Eugenia si avvicinò alla finestra e guardò fuori. «Niente male questo posto, tra parentesi. Quel poco che ho visto mi ha colpito. Luci scintillanti. Vere strade. Grandi edifici. Eppure su Rotor non si parla quasi mai della Cupola. Quante persone vivono e lavorano qui?»

«Dipende. Ci sono periodi di grande attività e periodi in cui le cose vanno un po’ a rilento. Siamo arrivati ad ospitare quasi novecento persone. Adesso, ce ne sono cinquecentosedici. Le conosciamo tutte. Non è facile. Ogni giorno, qualcuno arriva e qualcuno parte.»

«Tranne te.»

«E pochi altri.»

«Ma… perché la Cupola, Siever? In fin dei conti, l’atmosfera di Eritro è respirabile.»

Genarr sporse il labbro inferiore e, per la prima volta, evitò di guardarla negli occhi. «Respirabile, ma non proprio ideale. Il livello luminoso è sbagliato. Quando esci dalla Cupola, sei immerso in una luce rosata, che tende all’arancione quando Nemesis è alta nel cielo. C’è abbastanza luce. Puoi leggere. Però, non sembra naturale. E poi, Nemesis stessa ha un che di innaturale. Sembra troppo grande, e la maggior parte della gente pensa che abbia un aspetto minaccioso, che la sua luce rossastra la faccia sembrare ostile… e si deprime. In effetti, Nemesis è anche pericolosa, almeno in un certo senso. Dato che non ha una luminosità accecante, si tende a guardarla e a cercare le macchie solari. Gli infrarossi possono ledere facilmente la retina. Quelli che devono uscire all’aperto portano un casco speciale per questo motivo… tra l’altro.»

«Quindi, la Cupola, per così dire, serve più a trattenere all’interno la luce normale che a escludere qualcosa.»

«Non impediamo nemmeno all’aria di entrare. L’aria e l’acqua della Cupola provengono da Eritro. Naturalmente, stiamo attenti a tenere fuori qualcosa» disse Genarr. «I procarioti. Sai, le piccole cellule verdazzurre.»

Eugenia annuì pensierosa. Avevano scoperto che la presenza di ossigeno nell’aria era dovuta appunto ai procarioti. C’era vita su Eritro, diffusa ovunque, ma di natura microscopica, equivalente solo alle forme di vita cellulare più semplici del Sistema Solare.

«Sono proprio procarioti?» chiese. «Lo so che li chiamano così, ma si chiamano così anche i nostri batteri. Sono batteri?»

«Se equivalgono a qualcosa presente nel Sistema Solare, equivalgono ai cianobatteri, quelli della fotosintesi. La tua è una domanda giusta, comunque. No, non sono i nostri cianobatteri. Possiedono le nucleoproteine, ma con una struttura fondamentalmente diversa da quella prevalente nelle nostre forme di vita. Hanno anche una specie di clorofilla priva di magnesio e attiva nella gamma infrarossa, per cui le cellule tendono ad essere incolori. Hanno enzimi diversi, percentuali diverse di oligoelementi. Ma esteriormente assomigliano abbastanza alle cellule terrestri, abbastanza da essere chiamati procarioti. Pare che i biologi stiano insistendo perché si usi invece il termine «eritrioti», ma per i non addetti ai lavori come noi «procarioti» va benissimo.»

«E sono abbastanza efficienti nella loro attività da spiegare la presenza di ossigeno nell’atmosfera di Eritro?»

«Certo. La presenza dell’ossigeno si spiega solo così. A proposito, Eugenia, sei tu l’astronoma, quali sono le ultime novità a proposito dell’età probabile di Nemesis?»

Eugenia si strinse nelle spalle. «Le nane rosse sono quasi immortali. Nemesis può essere vecchia come l’universo e continuare ugualmente a esistere per altri cento miliardi di anni senza cambiamenti visibili. Al massimo, noi possiamo giudica