Presumibilmente la maggior parte delle Colonie, forse tutte, aveva ottenuto qualche risultato, ricostruendo in parte la realizzazione di Rotor. Secondo l’Accordo sulla Scienza Aperta, tutti avrebbero dovuto divulgare quei risultati frammentari, e unendoli forse si sarebbe arrivati all’iperassistenza. Ma, chiaramente, era chiedere troppo, in questo caso. La nuova tecnica avrebbe potuto consentire chissà quali applicazioni utili, e nessuna Colonia poteva rinunciare alla speranza di essere la prima in quel campo, di guadagnare così un vantaggio importante sulle altre in qualche modo. Quindi, ognuno teneva per sé quel che aveva (se l’aveva), e nessuno aveva in mano abbastanza.
E la Terra, col suo complesso e articolato Dipartimento Informazioni Terrestre, s’insinuava in tutte le Colonie, annusando. La Terra era a caccia di informazioni, e Fisher era uno dei cacciatori.
«Abbiamo messo assieme quel che abbiamo, e pare che sìa sufficiente» disse lentamente Wyler. «I viaggi spaziali iperassistiti sono alla nostra portata. E penso che raggiungeremo la Stella Vicina. Non ti interesserebbe partecipare al viaggio, quando si farà?»
«Perché dovrebbe interessarmi, Garand? Ammesso che si faccia quel viaggio… io ne dubito.»
«Sono certo che si farà. Non posso rivelarti la mia fonte d’informazione, ma fidati, è attendibile. Ed è naturale che tu voglia partecipare al viaggio. Potresti rivedere tua moglie. O, se non tua moglie… tua figlia.»
Fisher si agitò. Gli sembrava di trascorrere gran parte del suo tempo cercando di non pensare a quegli occhi. Marlene… una bambina di sei anni, ormai… che probabilmente parlava calma e ponderata… come Roseanne.
Che leggeva nell’animo della gente, come Roseanne.
«Stai dicendo delle sciocchezze, Garand. Anche se si facesse questo viaggio, perché dovrebbero lasciarmi partecipare? Manderanno degli specialisti, degli esperti. E poi, se c’è una persona che il Vecchio non lascerà mai partire, quella persona sono io. D’accordo, mi ha ripreso nell’Ufficio e mi ha assegnato degli incarichi, però sai perfettamente che atteggiamento ha nei confronti di chi fallisce. E per lui, io su Rotor ho fallito, l’ho deluso.»
«Già, ma è proprio questo il punto. Ecco perché puoi considerarti uno specialista. Se ha intenzione di dare la caccia a Rotor, il Vecchio non può lasciare a casa l’unico terrestre che sia stato su Rotor per quattro anni! Tu capisci i rotoriani meglio di chiunque altro, sapresti affrontarli nel modo migliore. Chiedi di vedere il Vecchio. Faglielo notare, però ricorda, tu non sai che abbiamo l’iperassistenza, intesi? Limitati al campo delle ipotesi. E non coinvolgermi in nessun modo. Io sono all’oscuro di tutto, come te.»
Fisher aggrottò le ciglia, pensieroso. Possibile? Non osava sperarlo.
Il giorno dopo, mentre stava ancora domandandosi se fosse il caso di rischiare e chiedere un colloquio con Tanayama, Fisher perse la possibilità di decidere. Fu convocato.
Era raro che un semplice agente fosse convocato dal Direttore. Degli agenti si occupavano i numerosi assistenti del capo, di solito. E quando un agente veniva convocato dal Vecchio, erano cattive notizie in vista, quasi sempre. Così, Crile Fisher si preparò rassegnato a un incarico di ispettore delle fabbriche di fertilizzanti.
Tanayama alzò lo sguardo e lo fissò da dietro la scrivania. Fisher lo aveva visto di rado e solo per pochi attimi nei tre anni successivi alla scoperta della Stella Vicina, e Tanayama non sembrava cambiato. Era piccolo e avvizzito da tanto tempo che evidentemente non c’era più spazio per ulteriori cambiamenti fisici. Anche l’acutezza penetrante dei suoi occhi era sempre la stessa, e pure la piega decisa e arcigna delle sue labbra. Forse indossava addirittura gli stessi indumenti di tre anni prima. Fisher non era in grado di dirlo.
Ma, malgrado anche la voce fosse aspra come al solito, il tono era sorprendente. A quanto pareva, si era verificato un fatto quasi impossibile: il Vecchio lo aveva chiamato per lodarlo.
Nel suo strano Inglese Planetario, non del tutto sgradevole, Tanayama esordì: «Fisher, ti sei comportato bene. Ci tengo a dirtelo personalmente».
Fisher, in piedi (non era stato invitato a sedersi), riuscì a reprimere il suo lieve sussulto di sorpresa.
«Non ci saranno festeggiamenti pubblici» continuò il Direttore «né parate con raggi laser, né sfilate olovisive. Tutto questo non è possibile. Comunque, ho voluto dirtelo.»
«È più che sufficiente, Direttore. Grazie.»
Tanayama lo fissò in silenzio per alcuni istanti. «E non hai nient’altro da aggiungere? Nessuna domanda?»
«Immagino che mi dirà quello che devo sapere, Direttore.»
«Sei un agente, un uomo abile. Cos’hai scoperto da solo?»
«Nulla, Direttore. Io cerco di scoprire solo quello che mi ordinano di scoprire.»
Tanayama annuì, muovendo leggermente la testa minuscola. «Una risposta appropriata, però io non voglio questo tipo di risposta. Sei arrivato a qualche conclusione, hai qualche ipotesi?»
«Sembra soddisfatto di me, Direttore, quindi può darsi che io abbia raccolto qualche informazione che si è rivelata utile.»
«Utile, come?»
«Per mettere a punto definitivamente la tecnica dell’iperassistenza. Sì, secondo me questa sarebbe la cosa più utile per lei.»
Le labbra di Tanayama si schiusero in un’esclamazione silenziosa. «E poi? Supponiamo che sia così… Quale dovrà essere la nostra mossa successiva?»
«Raggiungere la Stella Vicina. Localizzare Rotor.»
«Nient’altro? Tutto qui? Non ti viene in mente altro?»
A questo punto, Fisher decise che sarebbe stato sciocco non rischiare. Era un’occasione imperdibile. «Sì, c’è un’altra cosa… Quando la prima nave terrestre lascerà il Sistema Solare sfruttando l’iperassistenza, io dovrò essere a bordo.»
Non appena ebbe finito di parlare, Fisher si rese conto di avere perso… o almeno di non avere vinto. Tanayama si incupì. «Siediti!» ordinò, perentorio.
Fisher sentì dietro di sé il movimento lieve della sedia che si avvicinava alle parole di Tanayama, parole che il suo motore computerizzato primitivo era in grado di capire.
Si sedette, senza guardarsi alle spalle per assicurarsi che la sedia fosse nel punto giusto. Sarebbe stato un gesto offensivo, e non era il momento di offendere Tanayama.
«Perché vuoi essere a bordo della nave?» chiese Tanayama.
Fisher controllò la propria voce con uno sforzo. «Direttore, ho una moglie su Rotor.»
«Una moglie che hai abbandonato cinque anni fa. Pensi che ti accoglierebbe volentieri?»
«Direttore, ho una figlia.»
«Aveva un anno quando te ne sei andato. Credi che sappia di avere un padre? O che le importi?»
Fisher rimase in silenzio. Anche lui aveva ragionato su quelle cose, ripetutamente.
Tanayama attese qualche istante prima di proseguire. «Ma non ci sarà nessun viaggio verso la Stella Vicina, nessuna nave su cui imbarcarsi.»
Fisher dovette reprimere di nuovo un moto di sorpresa. «Mi perdoni, Direttore. Lei non ha detto che abbiamo l’iperassistenza. Ha detto: "Supponiamo che sia così…" Avrei dovuto fare attenzione alle sue parole.»
«Già, avresti dovuto. Dovresti sempre fare attenzione alle mie parole… Comunque, abbiamo davvero l’iperassistenza. Adesso possiamo viaggiare nello spazio proprio come ha fatto Rotor… o almeno, potremo viaggiare nello spazio quando avremo costruito un veicolo adatto e saremo sicuri della perfetta efficienza di tutte le sue parti… cosa che forse richiederà un paio d’anni di lavoro. Ma poi? Dovremmo metterci in viaggio per quella stella? Sei proprio convinto?»
«Sicuramente, è una scelta possibile, Direttore» rispose cauto Fisher.
«E inutile. Rifletti. La Stella Vicina è a oltre due anni luce. Per quanto possiamo sfruttare al meglio l’iperassistenza, impiegheremo più di due anni per arrivare là. Stando ai nostri teorici, anche se l’iperassistenza consente a una nave di superare la velocità della luce per brevi periodi, e maggiore è la velocità minore è la durata di questi periodi, il risultato finale non cambia: la nave non può raggiungere nessun punto dello spazio più velocemente di un raggio di luce partito dallo stesso punto di origine.»