Tessa Wendel incrociò le braccia sullo splendido seno e lo guardò con aria interrogativa.
Fisher rispose scegliendo le parole con cura. «Come ti ripeto, non so cosa avessero in mente quelli che mi hanno mandato. Fare l’amore non faceva parte delle istruzioni esplicite ricevute, né delle mie intenzioni, ma se fosse vero il contrario ti assicuro che la prospettiva non mi disgusterebbe affatto. Comunque, ho pensato che avresti visto i vantaggi della proposta nella tua qualità di scienziata, e mi è sembrato che sarebbe stato offensivo nei tuoi confronti presumere che potessi desiderare qualcos’altro.»
«Come ti sbagli!» esclamò Tessa Wendel. «Mi rendo conto dei vantaggi da un punto di vista scientifico, e sono ansiosa di inseguire la farfalla del volo iperspaziale lungo i corridoi del possibile… ma non voglio nemmeno rinunciare a un’opera di persuasione completa da parte tua. Voglio tutto.»
«Ma…»
«In parole povere, se mi vuoi, devi pagarmi. Convincimi come se fossi recalcitrante, impegnati al massimo, o non verrò sulla Terra. Via, secondo te, perché siamo in un Privacy? Secondo te, a che servono i Privacy? Ci siamo sgranchiti in palestra, abbiamo fatto la doccia, abbiamo mangiato e bevuto un po’, abbiamo conversato, abbiamo gustato tutti questi piaceri, e adesso possiamo gustarne anche altri. Insisto. Convincimi a venire sulla Terra.»
E a un tocco del dito di Tessa, la luce all’interno del Privacy si attenuò creando un’atmosfera seducente.
17 Al sicuro?
Eugenia era inquieta. Era stato Siever Genarr a insistere perché venisse consultata Marlene.
«Sei sua madre, Eugenia» le aveva detto «ed è inevitabile che tu la consideri una bambina. Ci vuole tempo prima che una madre si renda conto di non essere una sovrana assoluta, di non disporre della figlia come se fosse un oggetto di sua proprietà.»
Eugenia aveva evitato il suo sguardo tenero. «Niente prediche, Siever. Tu non hai figli. È facile essere pomposo quando si tratta dei figli degli altri.»
«Ti sembro pomposo? Mi spiace. Diciamo che, a differenza di te, io non sono legato emotivamente al ricordo di una bambina. Marlene mi piace, e molto, però non ho nessuna immagine mentale di lei, a parte quella di una giovane donna che sta sbocciando e che possiede una mente eccezionale. Marlene è importante, Eugenia. Ho la strana sensazione che sia molto più importante di te o di me. Bisogna consultarla…»
«Bisogna tenerla al sicuro» aveva replicato Eugenia Insigna.
«Sono d’accordo, però bisogna sentire anche lei per decidere quale sia il modo migliore di proteggerla. È giovane, inesperta, ma può darsi che sappia meglio di noi cosa dobbiamo fare. Parliamo tra noi come se fossimo tre adulti. Promettimi che non cercherai di usare la tua autorità materna, Eugenia.»
«Come posso promettere una cosa del genere?» aveva risposto Eugenia, con amarezza. «Comunque, parleremo con lei.»
Così, adesso, erano riuniti tutti e tre nell’ufficio di Genarr. La stanza era schermata. Marlene, lanciando una rapida occhiata ai due adulti, serrò le labbra ed esordì con aria infelice: «Non mi piacerà, quello che sto per sentire».
«Già, cattive notizie, temo» confermò Eugenia. «Senza preamboli… Stiamo prendendo in considerazione l’idea di un ritorno su Rotor.»
Marlene parve stupita. «Ma il tuo lavoro importante, mamma? Non puoi abbandonarlo. Ma vedo che non hai intenzione di abbandonarlo. Non capisco, allora.»
«Marlene» disse Eugenia lentamente, scandendo bene le parole «stiamo pensando di farti tornare su Rotor. Il ritorno su Rotor riguarda solo te.»
Seguirono alcuni attimi di silenzio. Marlene scrutò le loro facce poi, quasi in un sussurro, disse: «Non state scherzando. Non posso crederci. Io non voglio tornare su Rotor. Mai. Eritro è il mio mondo. Io voglio stare qui».
«Marlene» iniziò Eugenia, la voce si era fatta stridula.
Genarr alzò la mano rivolto a Eugenia e scosse leggermente la testa. Eugenia tacque, e Genarr chiese: «Perché desideri tanto rimanere qui, Marlene?»
«Perché lo desidero, e basta» rispose asciutta Marlene. «A volte capita di avere fame di una cosa particolare… di avere voglia di mangiarla, senza sapere spiegare il perché. Si desidera una cosa, e basta. Ecco, io ho fame di Eritro. Non so perché, ma voglio Eritro. E non devo spiegarlo.»
«Lascia che tua madre ti dica quello che sappiamo» fece Genarr.
Eugenia prese la mano fredda e inerte della figlia. «Ricordi, Marlene, prima che partissimo per Eritro, quando mi hai parlato della tua conversazione con il Commissario Pitt…»
«Sì?»
«Stando al tuo racconto, quando ti ha detto che potevamo venire su Eritro, Pitt ha omesso qualcosa. Tu non sapevi cosa fosse, però hai detto che doveva essere qualcosa di spiacevole… di malvagio, in un certo senso.»
«Sì, ricordo.»
Eugenia esitò, e i grandi occhi penetranti di Marlene assunsero un’espressione dura. Quasi stesse parlando tra sé senza rendersi pienamene conto di esprimere a voce i propri pensieri, Marlene mormorò: «Tremolio oculare… Mano accanto alla tempia… Spostamento all’indietro…» Il suono si spense, anche se le sue labbra continuarono a muoversi.
Poi, alzando la voce in tono risentito, Marlene sbottò: «Avete l’impressione che ci sia qualcosa che non va nella mia mente?»
«No» si affrettò a rispondere la madre. «Al contrario, cara. Sappiamo che la tua mente è eccellente, e vogliamo che rimanga tale. Ecco i fatti…»
Marlene ascoltò la storia del Morbo di Eritro con un’aria alquanto sospettosa, infine osservò: «Vedo che sei convinta di quello che dici, che ci credi, mamma… ma può darsi che qualcuno ti abbia mentito».
«L’ha saputa da me, questa storia» intervenne Genarr. «E ti garantisco che è tutto vero, te lo dico per esperienza personale. Ora dimmi se sono sincero.»
Quelle parole furono sufficienti per Marlene, che proseguì. «Perché mi trovo in una situazione particolarmente pericolosa, allora? Perché sono in pericolo più di te o di mia madre?»
«Come ha detto tua madre, Marlene… Si pensa che il Morbo colpisca con maggiore facilità le persone più ricche di immaginazione, più fantasiose. Alcuni ritengono, in base alle osservazioni svolte, che le menti insolite siano più esposte al Morbo, e, dato che la tua è la mente più insolita che abbia mai incontrato, è possibile, a mio avviso che tu corra un grave rischio. Secondo le istruzioni del Commissario Pitt, dobbiamo concederti la massima libertà su Eritro, dobbiamo permetterti di vedere e di provare tutto quel che vuoi, dobbiamo permetterti perfino di uscire dalla Cupola a esplorare l’esterno se lo desideri. Molto gentile da parte sua, sembrerebbe… ma può darsi che Pitt voglia esporti all’esterno sperando che ci siano maggiori probabilità che tu contragga il Morbo, no?»
Marlene rifletté, senza scomporsi.
«Non capisci, Marlene?» disse Eugenia. «Il Commissario non vuole ucciderti. Non lo stiamo accusando di questo. Vuole solo neutralizzare la tua mente. Gli da fastidio. Tu puoi scoprire con facilità delle cose sul suo conto, intuire le sue intenzioni, e lui non è disposto a tollerarlo. Pitt ama la segretezza.»
«Se il Commissario Pitt sta cercando di farmi del male» disse infine Marlene «perché state cercando di rimandarmi da lui?»
Genarr aggrottò le ciglia. «Te l’abbiamo spiegato. Qui sei in pericolo.»
«Sarei in pericolo là, con lui. Chissà cosa potrebbe fare… se vuole proprio danneggiarmi? Finché resto su Eritro, invece, il Commissario Pitt si dimenticherà di me, dal momento che è convinto che qui la mia mente sarà danneggiata. Mi lascerà in pace, no? Almeno, finché rimarrò qui…»