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«Vuoi che non lo sappia? A quanto pare, capisce a che punto sono da come mi pettino o da come mi aggiusto la manica.»

«Sta diventando sempre più perspicace, vero?»

«Sì. L’hai notato anche tu?»

«Certo. Anche se la conosco da poco.»

«Immagino che in parte sia dovuto alla crescita. Forse, le doti percettive si stanno sviluppando in lei, proprio come le si sta sviluppando il seno. E poi, per moltissimo tempo Marlene ha cercato di nascondere questa sua capacità perché non sapeva che farsene, la confondeva, le causava solo dei guai. Adesso che Marlene non ha più paura, questa capacità è affiorata completamente e si sta espandendo, per così dire.»

«O forse c’entra Eritro. Come dice Marlene, le piace stare qui, per qualche motivo. Forse il piacere che prova acuisce le sue percezioni.»

«Ci ho pensato, Siever» disse Eugenia. «Non voglio tormentarti con le mie idee folli. In effetti, tendo a preoccuparmi troppo, per Marlene, per la Terra, per tutto… Ma… Credi che Eritro la stia influenzando? Voglio dire, negativamente? Credi che questo aumento della percettività sìa una manifestazione del Morbo?»

«Non so se sia possibile rispondere a questa domanda, Eugenia, ma se l’aumento della percettività di Marlene è un effetto del Morbo, pare che l’equilibro mentale della ragazza non ne risenta affatto. E posso dirti questo… da quando siamo su Eritro, nessuna delle persone colpite dal Morbo ha mai mostrato dei sintomi che ricordassero anche lontanamente il dono di Marlene.»

Eugenia Insigna sospirò. «Grazie. Le tue parole mi confortano. E grazie per essere così buono e gentile con Marlene, anche.»

Genarr piegò un angolo delle labbra, abbozzando un sorrisetto. «Non mi costa nulla. Marlene mi piace moltissimo.»

«Detto da te, sembra una cosa perfettamente naturale. Marlene non è una ragazza simpatica. Lo so, anche se sono sua madre.»

«Io la trovo simpatica. Ho sempre preferito il cervello alla bellezza nelle donne… a meno di non potere avere entrambe le cose, come nel tuo caso, Eugenia…»

«Vent’anni fa, forse» disse lei, sospirando di nuovo.

«I miei occhi sono invecchiati col tuo corpo, Eugenia. Non vedono nessun cambiamento. Ma a me non importa se Marlene non è bella. È intelligentissima, indipendentemente dalla sua dote.»

«Già, è vero. E la cosa mi consola, anche quando Marlene è particolarmente fastidiosa.»

«Be’, quanto a questo, temo che Marlene continuerà a essere un bel fastidio, Eugenia.»

Lei alzò lo sguardo di scatto. «In che senso?»

«Mi ha spiegato senza mezzi termini che non le basta stare nella Cupola. Vuole uscire, vuole camminare sul suolo di Eritro non appena avrai terminato il tuo lavoro. Insiste!»

Eugenia lo fissò inorridita.

18 Ultraluce

XXXVII

Tre anni sulla Terra avevano invecchiato Tessa. La sua pelle era diventata leggermente ruvida. Era ingrassata un po’. Sotto gli occhi cominciava ad apparire un accenno di borse e di chiazze scure. Il suo seno non era più sodo ed eretto come un tempo, e i suoi fianchi si erano appesantiti.

Crile Fisher sapeva che Tessa stava avvicinandosi ai cinquanta, che aveva cinque anni più di lui. Tuttavia Tessa non dimostrava più dei suoi anni. Era ancora un bell’esemplare di donna matura (come Fisher l’aveva sentita descrivere da qualcuno), ma non sembrava più una donna al di sotto dei quaranta, a differenza di quando Crile l’aveva incontrata per la prima volta su Adelia.

Anche Tessa se ne rendeva conto, e gliene aveva parlato, con amarezza, solo la settimana prima.

«Sei tu, Crile» aveva detto una notte, mentre erano a letto insieme (un momento in cui, apparentemente, avvertiva con particolare intensità il proprio invecchiamento.) «La colpa è tua. Mi hai convinta a venire sulla Terra. «Magnifica», hai detto. "Enorme… Una varietà infinita. Sempre qualcosa di nuovo. Inesauribile."»

«E non è vero?» aveva replicato Crile. Sapeva di cosa si lamentasse soprattutto, ma era disposto a lasciarla sfogare un’altra volta.

«Non per quanto riguarda la gravità. In qualsiasi parte di questo pianeta spropositato e impossibile, avete la stessa attrazione gravitazionale. Su in aria, giù in una miniera, qui, là, dappertutto, gravità uno… un G… un G. Dovreste morire tutti di noia.»

«Non conosciamo nient’altro, Tessa.»

«Tu, sì. Sei stato sulle Colonie, tu. Là, puoi scegliere l’attrazione gravitazionale che preferisci. Puoi fare ginnastica in condizioni di bassa gravità. Puoi alleviare lo sforzo e il logorio dei tessuti, di tanto in tanto. Come potete vivere senza?»

«Facciamo ginnastica anche qui sulla Terra.»

«Oh, per favore! Lo fate con questa attrazione continua che vi tira giù. Passate tutto il vostro tempo lottando contro la gravità invece di lasciare che i vostri muscoli interagiscano. Non potete saltare, non potete volare, non potete librarvi. Non potete lasciarvi cadere, catturare da un’attrazione maggiore, e nemmeno salire verso una gravità più bassa. E questa forza trascina verso il basso ogni parte del vostro corpo, così vi afflosciate, raggrinzite, invecchiate. Guardami! Guardami

«Ti guardo il più spesso possibile» aveva replicato solenne Fisher.

«Non guardarmi, allora. O mi abbandonerai. E se mi abbandonerai, io tornerò su Adelia.»

«No, non tornerai su Adelia. Cosa farai là, dopo la ginnastica in condizioni di bassa gravità? Il tuo lavoro di ricerca, i tuoi laboratori, la tua equipe, sono qui.»

«Ricomincerò da capo e creerò una nuova equipe.»

«E Adelia ti darà il tipo di appoggio a cui ormai ti sei abituata? No, naturalmente. Devi ammettere che la Terra non ti nega nulla, soddisfa ogni tua richiesta. Non avevo ragione?»

«Non avevi ragione? Traditore! Non mi hai detto che la Terra aveva l’iperassistenza. E non mi hai detto nemmeno che avevano scoperto la Stella Vicina. Infatti, hai lasciato che mi esprimessi in termini magniloquenti sull’inutilità della Sonda Remota di Rotor… mai una volta che tu mi abbia detto che la Sonda Remota non aveva rilevato solo qualche parallasse. Sei rimasto lì a ridere di me, da quel perfetto mascalzone senza cuore che sei.»

«Te lo avrei detto, Tessa… ma se tu avessi deciso di non venire sulla Terra? Non stava a me rivelarti quel segreto.»

«Ma dopo, quando sono venuta sulla Terra?»

«Non appena hai cominciato a lavorare, a lavorare sul serio, te lo abbiamo detto.»

«Loro me l’hanno detto, e io sono rimasta frastornata, mi sono sentita una sciocca. Avresti potuto accennarmi almeno qualcosa, un piccolo indizio, così avrei evitato quella figura idiota. Avrei dovuto ucciderti, ma che potevo fare? Dai assuefazione, tu. E lo sapevi quando mi hai sedotta senza alcuna pietà, convincendomi a venire sulla Terra.»

Era un gioco a cui Tessa non sapeva rinunciare, e Fisher conosceva il proprio ruolo. «Ti ho sedotta? Sei stata tu a insistere. Non ho avuto scelta.»

«Bugiardo. Ti sei imposto… me l’hai imposto. È stata violenza carnale… un atto disonesto e subdolo. E lo farai ancora. Lo leggo in quei tuoi occhi tremendi e libidinosi.»

Erano trascorsi alcuni mesi da quando Tessa si era divertita con quel gioco particolare, e Fisher sapeva che lo faceva quando era soddisfatta professionalmente. «Qualche progresso?» le chiese poi.

«Qualche progresso? Direi proprio di sì» rispose Tessa, ansimando. «Domani quel vecchio terrestre cadente di Tanayama assisterà a una dimostrazione che ho allestito per lui. Ha continuato a insistere, a martellarmi spietatamente.»

«È un tipo spietato.»