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«In tal caso, Siever, non devi mandar fuori Marlene. Perché fare il gioco di Pitt?»

«Al contrario, Eugenia. Non è affatto semplice. Noi dobbiamo mandarla fuori.»

«Cosa

«Non c’è alternativa. E non c’è nessun pericolo per Marlene. Vedi, mi sono convinto adesso… avevi ragione quando hai parlato dell’esistenza di una forma di vita planetaria in grado di influenzarci. Hai fatto notare che io ho sperimentato l’effetto deleterio di quella influenza, come te, come la guardia… e è sempre successo quando qualcuno ha cercato di contrastare Marlene. È successo anche a Ranay, ho visto benissimo. Quando ha provato a costringerla a sottoporsi all’analisi cerebrale, Ranay si è piegata in due, stava malissimo. Quando ho persuaso Marlene ad accettare l’analisi cerebrale, Ranay si è sentita subito meglio.»

«Be’, appunto, Siever… Se sul pianeta c’è una forma di vita maligna…»

«No, aspetta, Eugenia. Io non ho detto che questa forma di vita è maligna. Anche se ha provocato il Morbo, come pensi tu, il Morbo poi è cessato. Perché ci siamo accontentati di rimanere nella Cupola, secondo la tua teoria… ma se questa forma di vita fosse davvero maligna, ci avrebbe sterminati e non avrebbe accettato questa specie di compromesso civile.»

«Non credo sia saggio basarsi sulle azioni di una forma di vita completamente aliena per dedurre i suoi sentimenti o le sue intenzioni. Quello che pensa potrebbe esulare completamente dalla nostra comprensione.»

«Sono d’accordo. Però questa forma di vita aliena non sta danneggiando Marlene. Tutto quel che ha fatto è servito a proteggere Marlene, a difenderla da qualsiasi interferenza.»

«Allora, perché Marlene era spaventata, perché si è messa a correre verso la Cupola urlando? Non credo assolutamente alla storia che ha raccontato… Marlene non stava solo cercando di fare rumore perché il silenzio la innervosiva.»

«In effetti, è poco credibile. Ma il panico è scomparso in fretta. Quando i soccorritori l’hanno raggiunta, Marlene sembrava perfettamente normale. La forma di vita l’avrà spaventata in qualche modo, immagino… se è improbabile che noi riusciamo a capirla è altrettanto improbabile che la forma di vita riesca a capire noi, suppongo… però, quando si è accorta della reazione di Marlene, è intervenuta subito e l’ha calmata. Questo spiegherebbe l’accaduto e dimostrerebbe, ancora una volta, la natura benevola di questa forma di vita.»

Eugenia stava aggrottando le ciglia. «Il guaio è, Siever, che tu hai il vizio terribile di pensare bene di tutti… e di tutto. Non posso fidarmi della tua interpretazione.»

«Fiducia o no, ti accorgerai che non possiamo ostacolare Marlene in nessun modo. Farà quel che vuole, e chi proverà a ostacolarla si ritroverà a boccheggiare per il dolore o privo di sensi.»

«Ma… cos’è questa forma di vita?» chiese Eugenia.

«Non lo so.»

«E cosa vuole da Marlene? Ecco la cosa che mi spaventa di più…»

Genarr scosse la testa. «Non lo so, Eugenia.»

E rimasero a fissarsi, impotenti.

32 Persi

LXXI

Crile Fisher osservò la stella pensieroso.

All’inizio, era troppo luminosa per un’osservazione vera e propria. Crile si era limitato a lanciare qualche occhiata di tanto in tanto, conservando poi un’immagine residua molto accentuata. Tessa Wendel, disperata per gli ultimi sviluppi, lo aveva rimproverato, parlando di danni alla retina, e Crile aveva opacizzato l’oblò. La luminosità della stella era scesa a livelli sopportabili, e le altre stelle erano diventate più fioche… un baluginio mesto e appannato.

La stella luminosa era il Sole, naturalmente.

Nessun essere umano l’aveva mai visto così da lontano (a parte i rotoriani durante il loro esodo dal Sistema Solare). Era a una distanza doppia rispetto alla massima distanza di Plutone, quindi non appariva come un globo, sembrava una stella come tante. Tuttavia, era ancora cento volte più luminoso della Luna piena vista dalla Terra, e quella luminosità era concentrata in un unico punto brillante. Logico che non si riuscisse a fissarlo senza opacizzare il vetro.

Questo particolare ribaltava la prospettiva. Normalmente, il Sole non era nulla di stupefacente. Era troppo luminoso per guardarlo, dominava troppo incontrastato. La parte di luce solare diffusa dall’atmosfera era sufficiente a cancellare del tutto le altre stelle… e anche dove non scomparivano (sulla Luna, per esempio), le stelle erano talmente sovrastate dal Sole che qualsiasi confronto era improponibile.

Lì nello spazio, a quella distanza, l’intensità luminosa del Sole si era attenuata almeno parzialmente, e un confronto era possibile. Stando alle parole di Tessa Wendel, da quel punto il Sole era centosessantamila volte più luminoso di Sirio, il corpo celeste che occupava il secondo posto della graduatoria, e forse venti milioni di volte più luminoso delle stelle più fioche che si vedevano a occhio nudo. Per cui, lì, il Sole acquistava un fascino diverso, maggiore, rispetto a quando splendeva senza rivali nel cielo della Terra.

Del resto, a Fisher non rimaneva in pratica che osservare il cielo, non aveva nient’altro da fare, perché l’Ultraluce stava andando alla deriva… stava andando alla deriva da due giorni, spostandosi nello spazio come un razzo qualsiasi.

A quella velocità, avrebbero impiegato trentacinquemila anni per raggiungere la Stella Vicina… se fossero andati nella direzione giusta. Cosa che non stavano facendo.

Ecco perché due giorni prima Tessa Wendel era sbiancata ed era piombata nella disperazione.

Fino ad allora, non c’erano stati problemi. Al momento di entrare nell’iperspazio, Fisher era teso, temendo il dolore, il lampo lacerante di sofferenza atroce, l’ondata improvvisa di buio eterno.

Non era successo nulla. Era accaduto tutto troppo in fretta per notare qualcosa. Erano entrati nell’iperspazio ed erano tornati nello spazio normale nel medesimo istante. Le stelle avevano semplicemente cambiato posizione, e il passaggio dalla posizione precedente a quella attuale non si era percepito.

Era stato un sollievo… doppio. Non solo Fisher era ancora vivo, si era anche reso conto che se fosse andato storto qualcosa e lui fosse morto, la morte sarebbe stata così istantanea che lui non si sarebbe nemmeno accorto di morire. Sarebbe morto e basta.

Era talmente sollevato da non badare quasi alla reazione di Tessa, che aveva lanciato un’esclamazione strozzata e si era precipitata in sala macchine gridando.

Era tornata sottosopra… non che avesse un capello fuori posto… era sottosopra dentro. Gli occhi spiritati, aveva fissato Fisher come se non lo riconoscesse.

«La posizione delle stelle non sarebbe dovuta cambiare» aveva detto.

«No?»

«Non ci siamo allontanati abbastanza. Solo uno virgola trentatré millianni luce. Troppo poco per notare dei cambiamenti a occhio nudo. Comunque…» Tessa aveva respirato profondamente. «Comunque, poteva andare peggio. Pensavo che avessimo commesso un errore e ci fossimo spostati di migliaia di anni luce.»

«Sarebbe stato possibile, Tessa?»

«Certo. Se il passaggio attraverso l’iperspazio non viene controllato rigorosamente, si fa presto a percorrere mille anni luce invece di uno.»

«Be’, in tal caso, possiamo benissimo…»

Tessa aveva intuito la sua conclusione. «No, non potremmo semplicemente tornare indietro. Con dei controlli così imprecisi, ad ogni passaggio ci muoveremmo alla cieca, finendo chissà dove, e non troveremmo mai la via del ritorno.»

Fisher aveva corrugato la fronte. L’euforia di avere attraversato indenne l’iperspazio stava cominciando a svanire. «Ma gli oggetti spostati durante gli esperimenti, quelli li avete riportati indietro senza problemi.»