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«Ne sono certo» mormorò Fisher.

«Quindi non ci sono più dubbi, Crile. Possiamo raggiungere la Stella Vicina entro domani. Oggi stesso… se abbiamo proprio fretta. Naturalmente, non arriveremo vicinissimi. Forse dovremo avvicinarci alla stella nello spazio normale per un certo periodo di tempo, come misura precauzionale. E poi, non conosciamo la massa della stella con sufficiente precisione, e potrebbe essere rischioso emergere dall’iperspazio troppo vicini all’obiettivo. Non vogliamo essere proiettati inaspettatamente chissà dove e ritrovarci a dover calcolare di nuovo la rotta giusta.» Tessa scosse la testa, l’espressione ammirata. «Ah, quel Wu… Sono proprio soddisfatta di lui, soddisfattissima.»

Fisher disse cauto: «Sicura di non essere un po’ seccata?»

«Seccata? Perché?» Tessa lo fissò, sorpresa. «Pensi che dovrei essere gelosa?»

«Be’, non so. È possibile che a ChaoLi Wu venga attribuito il merito di avere messo a punto il volo ultraluce, di avere elaborato i principi fondamentali, e che tu venga dimenticata, o ricordata solo come un’antesignana?»

«No, Crile. Sei molto gentile a preoccuparti per me, ma non c’è problema. Il mio lavoro è documentato dettagliatamente. Gli aspetti matematici di base del volo ultraluce sono miei. E ho anche collaborato alla parte pratica, anche se il merito maggiore della progettazione della nave spetterà ad altri, ed è giusto che sia così. Wu ha aggiunto un fattore di correzione alle equazioni di base. Molto importante, certo, e infatti adesso sappiamo che il volo ultraluce non sarebbe pratico senza questo nuovo elemento, però è solo il tocco finale, la glassa sulla torta. La torta è ancora mia.»

«Bene. Se sei sicura, mi fa piacere.»

«Se devo essere sincera, Crile, spero che adesso Wu prenda l’iniziativa e porti avanti lo sviluppo del volo ultraluce. Sai, i miei anni migliori ormai li ho lasciati alle spalle… scientificamente parlando, sia chiaro. Solo scientificamente, Crile.»

Fisher sorrise. «Lo so.»

«Ma come scienziata sono troppo vecchia. Ho approfondito e sviscerato i concetti che avevo quando ero fresca di laurea. Quasi venticinque anni di lavoro, di riflessioni, di conclusioni, e ormai non sono più in grado di spingermi oltre. Occorrono nuovi concetti, nuove idee… bisogna avventurarsi in campi inesplorati. Be’, io non posso più farlo.»

«Via, Tessa, non sottovalutarti.»

«Non ho mai avuto questo difetto, Crile. Abbiamo bisogno della gioventù se vogliamo nuove idee. I giovani non hanno soltanto cervelli giovani, i loro cervelli sono soprattutto nuovi. Wu ha un corredo cromosomico senza precedenti nell’umanità. Le sue esperienze appartengono solo a lui… non sono di nessun altro. Wu è in grado di produrre idee nuove. Certo, si basa su quel che ho fatto io prima di lui, e deve parecchio al mio insegnamento. È un mio allievo, Crile, una mia creatura. Il suo successo non può che riflettersi su di me positivamente. Gelosa di lui? Sono orgogliosa!.. Che cosa c’è, Crile? Non hai un’aria felice.»

«Se tu sei felice, lo sono anch’io, Tessa. Non badare alla mia espressione. Il guaio è che ho la sensazione che le tue siano solo belle parole, che il progresso scientifico sia così solo in teoria. Nella storia della scienza, come in qualsiasi altra cosa, in certi casi la gelosia esisteva, e i maestri detestavano gli allievi che li avevano superati, no?»

«Certo. Potrei citare una mezza dozzina di casi famosi anche subito, ma sono rare eccezioni, e il fatto è che adesso non sono gelosa. D’accordo, forse potrà capitare che un giorno io perda la pazienza con Wu e con l’universo intero, ma adesso non sta succedendo, e intendo gustare questo momento fino… Oh, ora che c’è?»

Tessa premette il contatto di «Ricezione», e il viso giovane di Merry Blankowitz apparve tridimensionalmente nel trasmettitore.

«Capitano» esordì esitante la Blankowitz. «C’è una discussione in corso, qui… e forse possiamo consultare lei.»

«Si tratta del volo? Qualcosa che non va?»

«No, Capitano. È solo una discussione di carattere strategico.»

«Capisco. Be’, non c’è bisogno che veniate qui. Vi raggiungo in sala macchine.»

Tessa disattivò l’immagine.

«Di solito la Blankowitz non ha quel tono serio» borbottò Fisher. «Secondo te, che problema hanno?»

«Le congetture non mi interessano. Andrò di là e lo scoprirò subito» rispose Tessa e, con un cenno, invitò Fisher a seguirla.

LXXVII

Gli altri tre membri dell’equipaggio sedevano in sala macchine, e i sedili erano posati sul pavimento, anche se in quel momento erano in condizioni di gravità zero. Avrebbero potuto sedersi ognuno su una parete diversa, ma sarebbe stato poco serio, e irriguardoso nei confronti del Capitano. Esisteva da tempo un sistema complesso di norme di comportamento da osservare in assenza di gravità.

A Tessa Wendel non piaceva la gravità zero e volendo, in qualità di Capitano, avrebbe potuto insistere perché la nave mantenesse una rotazione continua producendo un effetto centrifugo e, di conseguenza, anche un minimo di pseudogravità. Sapeva benissimo che era più facile calcolare una traiettoria di volo quando la nave era immobile, e in senso traslatorio e in senso rotatorio, ma una velocità rotazionale costante non avrebbe complicato eccessivamente i calcoli.

Comunque, insistere sarebbe stato irrispettoso nei confronti dell’addetto al computer. Di nuovo una questione di etichetta.

Tessa Wendel si sedette, e Crile Fisher notò (sorridendo tra sé) che barcollava leggermente. Nonostante fosse nata e cresciuta su una Colonia, era chiaro che non aveva mai imparato a mantenere un equilibrio stabile su una nave. Fisher, invece, malgrado fosse un terrestre, sapeva muoversi con la massima disinvoltura in condizioni di imponderabilità (altro sorriso interiore… di soddisfazione, questa volta).

ChaoLi Wu respirò a fondo. Aveva una faccia larga, il tipo di faccia che di solito era abbinata a un corpo basso, però aveva una statura superiore alla media. I suoi capelli scuri erano perfettamente lisci, gli occhi avevano un taglio allungato.

«Capitano» esordì sottovoce.

«Che c’è, ChaoLi?» fece Tessa. «Non dirmi che c’è qualche problema di programmazione, o potrei strozzarti.»

«No, nessun problema, Capitano. E proprio perché non c’è più il minimo problema ho l’impressione che abbiamo finito e che a questo punto dovremmo tornare sulla Terra. Ecco cosa vorrei suggerire.»

«Tornare sulla Terra?» disse Tessa sbalordita, dopo un attimo di esitazione. «Perché? Non abbiamo ancora portato a termine il nostro compito.»

«Io penso di sì, Capitano» replicò Wu, il volto inespressivo. «Solo, non sapevamo quale fosse il nostro compito, tanto per cominciare. Abbiamo elaborato un sistema pratico di volo ultraluce, che non avevamo quando siamo partiti.»

«Lo so. E allora?»

«E non possiamo comunicare con la Terra. Se proseguiremo per la Stella Vicina e ci succederà qualcosa, se andrà storto qualcosa, la Terra non avrà un sistema pratico di volo ultraluce, e chissà quanto dovrà aspettare per averlo. Questo potrebbe incidere in modo grave sull’evacuazione della Terra. Quindi, secondo me, è importante tornare sulla Terra e spiegare quello che abbiamo scoperto.»

Tessa aveva ascoltato serissima. «Capisco. E tu, Jarlow? Qual è la tua opinione?»

Henry Jarlow era alto, biondo, e cupo. La sua espressione perennemente malinconica non corrispondeva affatto al suo carattere, e le sue lunghe dita (che apparentemente non avevano nulla di delicato) erano magiche quando lavoravano all’interno di un computer o con qualsiasi strumento di bordo.