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«Certo, ChaoLi. E anche il Capitano Wendel li difenderebbe. Ha tutti i dati, con tanto di firma e di testimoni.»

«Ecco… E penso che il Capitano sbagli a volere esplorare la Galassia. Potrebbe visitare cento stelle senza vedere un solo pianeta insolito come questo. Perché preoccuparsi della quantità quando si ha la qualità a portata di mano?»

«Personalmente, credo che si preoccupi per via della figlia di Fisher» disse Merry. «E se Fisher la trovasse?»

«E con ciò? Può portarla con sé sulla Terra. Cosa cambierebbe per il Capitano?»

«C’è anche una moglie da tenere presente.»

«Ma se Fisher non ne parla mai…»

«Questo non significa che…»

Merry Blankowitz s’interruppe di colpo sentendo un rumore, e un attimo dopo Crile Fisher entrò e salutò i due con un cenno del capo.

«Henry ha finito la spettroscopia?» si affrettò a chiedere Merry, quasi volesse cancellare la conversazione precedente.

Fisher scosse la testa. «Non lo so. Quel poveretto è nervoso. Ha paura di interpretare male l’analisi, credo.»

«Via» intervenne Wu. «È il computer a interpretare i dati. Henry può sempre dare la colpa al computer.»

«No, non può!» replicò Merry Blankowitz, infervorandosi. «Comodo! Voi teorici pensate che noi osservatori ci limitiamo a stare accanto a un computer, ad accarezzarlo dicendo: "Su, bravo cagnolino", e a leggere poi i risultati. Non è così. Quel che dice il computer dipende da quello che si inserisce nel computer. Se un’osservazione non gli piace, un teorico se la prende sempre con l’osservatore. Mai una volta che dica: "Dev’esserci qualcosa che non va nel computer"… mai sentito uno che…»

«Calma» l’interruppe Wu. «Lasciamo perdere le recriminazioni. Mi hai mai sentito dare la colpa agli osservatori?»

«Se le osservazioni di Henry non fossero di tuo gradimento…»

«Le accetterei ugualmente. Non ho nessuna teoria su questo mondo.»

«Ecco perché accetteresti qualsiasi cosa.»

In quel preciso istante Henry Jarlow, cupo come una nube temporalesca, entrò seguito da Tessa Wendel.

«Bene, Jarlow, siamo tutti qui» esordì Tessa. «Cos’hai scoperto? Sentiamo.»

«Il guaio è che nella luce di questa stella debole non ci sono abbastanza ultravioletti da scottare un albino. Devo lavorare con le microonde… e la prima cosa che si nota è la presenza di vapore acqueo nell’atmosfera.»

Tessa Wendel si strinse nelle spalle, impaziente. «Non è necessario che tu ce lo dica. Se un mondo ha le dimensioni della Terra e certe caratteristiche termiche, è normale che ci sia dell’acqua, e quindi del vapore acqueo. Un altro punto a favore dell’abitabilità, ma un punto a favore prevedibilissimo.»

«Oh, no» disse Jarlow, a disagio. «È abitabile. Non ci sono dubbi.»

«Per il vapore acqueo?»

«No. Ho qualcosa di meglio.»

«Cosa?»

Jarlow guardò i quattro con un’espressione piuttosto sinistra. «Se un mondo fosse abitato, lo considerereste abitabile?»

«Sì, credo di sì» rispose calmo Wu.

«Stai dicendo che sei in grado di stabilire che è abitato a questa distanza?» chiese brusca Tessa Wendel.

«Esattamente, Capitano. C’è dell’ossigeno libero nell’atmosfera… e parecchio. Se c’è l’ossigeno dev’esserci la fotosintesi, no? E se c’è un processo di fotosintesi devono esserci delle forme di vita, no? E un pianeta non può essere inabitabile se ospita delle forme di vita che producono ossigeno!»

Ci fu un attimo di silenzio assoluto, poi Tessa disse: «È talmente inverosimile, Jarlow… Sei sicuro di non avere pasticciato la programmazione?»

Al che, Merry Blankowitz fissò Wu aggrottando le ciglia e con gli occhi gli disse: "Vistoooo!?"

«Non ho mai pasticciato una programmazione in vita mia» replicò Jarlow, freddo. «Comunque, sono pronto a riconoscere di essermi sbagliato, se qualcuno qui è convinto di essere più esperto di me in fatto di analisi atmosferica all’infrarosso. Non è il mio campo, però mi sono attenuto scrupolosamente a Blanc e Nkrumah.»

Crile Fisher, che aveva acquistato una sicurezza notevole dalla volta in cui Wu aveva proposto di tornare a casa, non esitò a esprimere la propria opinione.

«Sentite» disse. «Questa ipotesi sarà confermata o smentita quando ci saremo avvicinati abbastanza. Perché adesso non supponiamo che l’analisi di Jarlow sia esatta e proviamo a svilupparla? Se nell’atmosfera di questo mondo c’è ossigeno, possiamo presumere che sia stato terraformato, no?»

Tutti lo guardarono.

«Terraformato?» ripeté Jarlow, interdetto.

«Sì, terraformato. Perché no? Abbiamo un mondo adatto alla vita, solo che ha l’atmosfera di anidride carbonica e azoto dei mondi senza vita… come Marte e Venere… allora si mettono delle alghe nell’oceano e in breve tempo addio anidride carbonica, arriva l’ossigeno… O forse si fa qualcos’altro. Non sono un esperto.»

Gli altri lo stavano ancora fissando.

Fisher proseguì. «Lo sto dicendo perché ricordo che nelle fattorie di Rotor si parlava di terraformazione. Ho lavorato là. Ho partecipato addirittura a dei seminari sulla terraformazione, pensando che potesse esserci qualche collegamento col programma dell’iperassistenza. Non c’era, ma almeno ho sentito parlare della terraformazione.»

«E della durata del processo di terraformazione? Non ne ha parlato nessuno? Non ricordi?» chiese Jarlow.

Fisher allargò le braccia. «Dimmelo tu, Jarlow. Risparmieremo tempo.»

«D’accordo. Rotor ha impiegato due anni per arrivare qui… ammesso che sia qui. Quindi, è qui da tredici anni. Se una massa di alghe grande quanto Rotor venisse sparsa nell’oceano e vivesse, crescesse, e producesse ossigeno, per arrivare al livello attuale, a un contenuto di ossigeno del diciotto per cento con l’anidride carbonica presente in tracce secondo i miei calcoli, be’, ci vorrebbero alcune migliaia di anni. Alcune centinaia, forse… se le condizioni fossero eccezionalmente favorevoli. Quel che è certo è che tredici anni non basterebbero. E poi, le alghe terrestri si sono adattate alle condizioni ambientali della Terra. Su un altro mondo, potrebbero non crescere, o crescere molto lentamente prima di raggiungere l’adattamento. No, tredici anni non sono nulla.»

Fisher rimase impassibile. «Ah, però c’è parecchio ossigeno e zero anidride carbonica. Se Rotor non c’entra, come si spiega il contenuto d’ossigeno? Una spiegazione c’è, mi pare… la presenza di forme di vita nonterrestri, no?»

«E questa era appunto la mia conclusione» disse Jarlow.

«L’unica ipotesi che dobbiamo fare» aggiunse Tessa Wendel. «La fotosintesi è opera della vegetazione indigena. Non significa assolutamente che i rotoriani siano su questo mondo, o siano arrivati in questo sistema.»

Fisher parve seccato. «Be’, Capitano» replicò, formale «non significa nemmeno il contrario. Se il pianeta ha una vegetazione propria, significa soltanto che non era necessario alcun processo di terraformazione, e che i rotoriani avrebbero potuto stabilirsi subito.»

«Non so…» intervenne Merry Blankowitz. «Molto difficile che la vegetazione evolutasi su un pianeta alieno possa essere nutriente per gli esseri umani. Non credo che gli esseri umani sarebbero in grado di digerirla, o comunque di assimilarla. Anzi, probabilmente sarebbe tossica… E se c’è una flora, ci sarà anche una fauna, e non sappiamo cosa comporterebbe questo…»

«Ad ogni modo» osservò Fisher «può darsi che i rotoriani abbiano recintato una distesa di terreno, eliminando le forme di vita indigene e seminando delle piante loro, aliene, ed espandendosi poi gradualmente.»

«Supposizioni… tutte supposizioni» borbottò Tessa.

«In ogni caso» disse Fisher «è inutile stare qui a inventare degli scenari quando la cosa logica da fare è studiare il pianeta a fondo, avvicinandoci al massimo… scendendo anche sulla sua superficie se sarà possibile.»