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«Già, ma cosa? Non riesco a trovare nulla» si lamentò Merry. «È questa la cosa sconvolgente. Non capisco proprio… È molto debole, certo… però c’è» soggiunse, quasi volesse giustificarsi.

«Posso spiegare, credo» disse Fisher.

Tutti lo fissarono, e Fisher assunse subito un atteggiamento difensivo. «D’accordo, non sarò uno scienziato, però le cose ovvie le capisco. C’è dell’intelligenza nel mare, ma non riusciamo a vederla perché è nascosta dall’acqua. Fin qui, nessun problema. Ma c’è dell’intelligenza anche sulla terraferma. Be’, è nascosta anche quella. È sottoterra.»

«Sottoterra?» sbottò Jarlow. «È perché mai dovrebbe essere sottoterra? L’aria non ha nulla che non vada, e nemmeno la temperatura… non abbiamo rilevato nessuna anomalia in superficie. Perché nascondersi?»

«Per sottrarsi alla luce, in primo luogo» rispose energico Fisher. «Sto parlando dei rotoriani. Supponiamo che abbiano davvero colonizzato il pianeta. Perché avrebbero dovuto rimanere esposti alla luce rossa della Stella Vicina, una luce deprimente per loro, e che non avrebbe favorito la crescita delle loro piante? Nel sottosuolo, con la luce artificiale, questo problema non sarebbe esistito. E poi…»

Fisher s’interruppe, e Tessa Wendel lo sollecitò. «Continua. Allora?»

«Be’, dovete capire i rotoriani. Vivono all’interno di un mondo, sono abituati così, per loro è normale. Non si sentirebbero a loro agio sulla superficie esterna di un mondo. Per loro sarebbe naturale penetrare nel terreno, stare sotto.»

«Dunque, secondo te, il rivelatore neuronico di Merry capta la presenza di esseri umani sotto la superficie?» fece Tessa.

«Sì. Perché no? È lo spessore del terreno tra le loro caverne e la superficie a indebolire il segnale.»

«Ma Merry riceve più o meno lo stesso segnale dalle aree emerse e dal mare» insisté Tessa.

«Da tutto il pianeta. È molto uniforme» confermò la Blankowitz.

«Be’?» disse Fisher. «Intelligenza indigena nel mare, rotoriani nel sottosuolo delle aree continentali. Perché no?»

«Un momento» intervenne Jarlow. «Il segnale è presente ovunque, giusto, Merry?»

«Gvunque. Ho rilevato qualche lieve variazione d’intensità, ma il segnale è talmente debole che non posso essere sicura. Quel che è certo è che sembra che ci sia dell’intelligenza diffusa su tutto il pianeta.»

Jarlow disse: «Immagino che sia possibile nel mare… ma com’è possibile sulla terraferma? Pensate che i rotoriani in tredici anni, tredici anni, abbiano scavato una rete di tunnel sotto tutte le aree emerse di questo mondo? Se il segnale provenisse da una zona, da due, magari… da un paio di aree non molto estese… be’, allora un insediamento dei rotoriani nel sottosuolo sarebbe plausibile. Ma l’intera superficie? Per favore, non diciamo assurdità!»

«Henry, per caso stai alludendo alla presenza di un’intelligenza aliena nel sottosuolo?» chiese Wu.

«È l’unica conclusione che ci rimane, a meno che non vogliamo concludere che il rivelatore di Merry sia impazzito.»

«In tal caso» intervenne Tessa Wendel «forse è meglio non scendere a indagare. Un’intelligenza aliena non è necessariamente un’intelligenza amichevole, e l’Ultraluce non è una nave da guerra.»

Wu disse: «Non credo che possiamo rinunciare. Dobbiamo scoprire che tipo di intelligenza è presente sul pianeta, e in che modo potrebbe intralciare eventualmente i piani di evacuazione della Terra».

Merry Blankowitz disse: «Comunque, in un punto il segnale è leggermente più forte… una variazione minima. Devo provare a localizzarlo di nuovo?»

«Sì, prova» annuì Tessa Wendel. «Possiamo esaminare attentamente quella zona e decidere se scendere o meno.»

Wu fece un sorrisetto. «Sono certo che non ci sarà alcun pericolo.»

Tessa, infelice, rimase zitta, e gli lanciò un’occhiata torva.

LXXXV

La cosa strana di Saltade Leverett (secondo Janus Pitt) era la sua predilezione per la fascia degli asteroidi. Gli piaceva vivere là. Evidentemente, c’erano delle persone che amavano davvero il vuoto, gli ambienti inanimati.

«Non è che non sopporti la gente» era la spiegazione di Leverett. «Posso contattare tutte le persone che voglio con l’olovisione… parlare con loro, ascoltarle, ridere insieme a loro. Posso fare tutto, a parte toccarle e sentire il loro odore… due cose di cui faccio a meno volentieri. E poi, stiamo costruendo cinque Colonie nella fascia degli asteroidi e posso visitarle tutte e fare indigestione di gente e sentire anche il loro odore, per quel che può servire.»

Poi, quando andava su Rotor (la «metropoli», era il termine che si ostinava a usare) Leverett continuava a guardarsi attorno, come se si aspettasse di essere sommerso dalla folla.

Guardava con diffidenza perfino le sedie, e si sedeva scivolando lateralmente, quasi sperasse di cancellare l’aura lasciata dal posteriore che aveva occupato quella sedia prima di lui.

Janus Pitt aveva sempre pensato che come Commissario Delegato per il Progetto Asteroidi fosse la persona ideale. Quella carica, in pratica, gli consentiva di controllare completamente qualsiasi cosa collegata in qualche modo alla fascia periferica del Sistema Nemesiano. Il che comprendeva, oltre alle Colonie in costruzione, il Servizio di Sorveglianza.

Avevano terminato il pranzo nell’intimità dell’alloggio di Pitt, perché Saltade avrebbe preferito soffrire la fame piuttosto che mangiare in una sala aperta al pubblico (e per «pubblico» si intendeva anche una sola persona non di sua conoscenza). Pitt, del resto, era rimasto sorpreso quando Leverett aveva accettato di pranzare con lui.

Lo studiò con indifferenza. Leverett era magro, coriaceo, stagionato… dava l’impressione di non essere mai stato giovane e di non potere invecchiare. Aveva gli occhi azzurro sbiadito, i capelli biondo sbiadito.

Pitt chiese: «Da quanto tempo non venivi su Rotor, Saltade?»

«Quasi due anni, e stavo meglio dov’ero… non sei stato gentile, Janus.»

«Perché, cos’ho fatto? Io non ti ho convocato di certo… anche se, dal momento che sei qui, vecchio mio, sei il benvenuto.»

«Come se mi avessi convocato. Cosa significa questo messaggio in cui dici di non volere essere disturbato per cose di poco conto? Stai diventando così importante da volerti occupare solo delle cose importanti?»

Il sorriso di Pitt si fece un po’ forzato. «Di che stai parlando, Saltade?»

«Avevano un rapporto per te. Hanno individuato una piccola sorgente di radiazioni in avvicinamento. Ti hanno inviato il rapporto e tu hai risposto con una delle tue famose circolari invitandoli a non scocciarti.»

«Ah, ecco!» (Pitt ricordò tutto. Era stata quella parentesi di autocommiserazione e irritazione. Anche lui aveva il diritto di irritarsi qualche volta.) «Be’, i tuoi uomini devono individuare delle Colonie. Non dovrebbero disturbarmi per delle questioni secondarie.»

«Se la pensi così, benissimo. Ma, guarda caso, hanno scoperto qualcosa che non è una Coloniale non vogliono comunicartelo. L’hanno detto a me, e mi hanno chiesto di riferirtelo, nonostante il tuo divieto. Sono convinti che tocchi al sottoscritto trattare con te… ma non ci tengo, Janus. Stai diventando un tipo irascibile, un vecchio potente e irascibile?»

«Smettila con queste chiacchiere, Saltade. Cos’hanno avvistato?» sbottò Pitt, piuttosto irascibile.

«Un veicolo.»

«Come… un veicolo? Non una Colonia?»

Leverett alzò una mano nodosa. «Non una Colonia. Ho detto "veicolo".»

«Non capisco…»

«Cosa c’è da capire? Hai bisogno di un computer? Se ne hai bisogno, hai qui il tuo… Un veicolo è una nave che sta viaggiando nello spazio con un equipaggio a bordo.»