«Perché mister Vandemar mi ha promesso che glielo strapperà lui personalmente e glielo infilerà in bocca prima di tagliarle la sua piccola gola triste. Cosi potrà scoprirlo, non le pare?»
«Chiamo la polizia. Non potete minacciarmi a questo modo.»
«Signor Mayhew. Lei può chiamare chi crede. Ma odio l’idea che possa pensare che la stiamo minacciando. Né io né mister Vandemar facciamo minacce, non è vero mister Vandemar?»
«No? E allora cosa diavolo state facendo?»
«Stiamo facendo una promessa» disse mister Croup in mezzo alle scariche elettrostatiche, all’eco e ai sibili. «E sappiamo dove abita.»
Detto questo riagganciò.
Richard teneva stretto in mano il Bat-telefono, lo guardò, poi premette violentemente il pulsante del numero nove per tre volte.
«Servizio emergenze. Come posso aiutarla?»
«Può passarmi la polizia, per favore? Un uomo ha appena minacciato di uccidermi, e non credo stesse scherzando.»
Segui una pausa. Sperò di essere stato messo in contatto con la polizia. Dopo qualche istante la voce disse, «Servizio emergenze. Pronto? C’è nessuno in linea? Pronto?»
Allora Richard riappoggiò il Bat-telefono sul tavolino, andò in camera da letto e si vesti, perché aveva freddo, era nudo e spaventato, e proprio non aveva alternative.
Tolse la borsa sportiva nera di sotto il letto e ci infilò dei calzini. Mutande. Qualche maglietta. Il passaporto. Il portafogli.
Indossava jeans, scarpe da ginnastica e un maglione pesante.
Si ricordò del modo in cui la ragazza di nome Porta gli aveva detto addio. Il modo in cui aveva esitato. Il modo in cui aveva detto che le dispiaceva…
«Lo sapevi» disse all’appartamento vuoto. «Tu sapevi che sarebbe successo questo.»
Andò in cucina, prese della frutta dalla ciotola e la mise nella borsa. Poi la chiuse con la cerniera e usci nella strada buia.
Il bancomat gli prese la carta con un VITT.
DIGITARE IL CODICE SEGRETO, disse.
Richard digitò il suo numero di identificazione.
Lo schermo diventò bianco. Poi disse, attendere prego.
Schermo vuoto. Da qualche parte nelle profondità della macchina qualcosa brontolava e borbottava.
CARTA NON VALIDA. CONTATTARE LA PROPRIA BANCA.
Si udi un clung e la carta usci di nuovo.
«Può darmi qualcosa?» disse una flebile voce alle sue spalle.
Richard allungò all’uomo la carta del bancomat.
«Ecco» disse. «Tieni. Ci sono circa millecinquecento sterline sul conto, se riesci a fartele dare.»
L’uomo, che era alto e magro, e aveva una disordinata barba biondastra e le mani nere per la vita di strada, prese la carta del bancomat, la guardò, la rigirò e disse, con voce piatta, «Grazie. Con questa e sessanta pence mi prendo una bella tazza di caffè.» E restituì la carta a Richard.
Richard sollevò da terra la borsa, poi si voltò verso l’uomo e gli disse, «Aspetta un momento. Tu mi vedi.»
«Non c’è niente che non va nei miei occhi» fece l’uomo.
«Senti,» disse Richard «hai mai sentito parlare di un posto che si chiama ’Il Mercato Fluttuante’? Devo trovarlo. C’è una ragazza di nome Porta…»
Ma l’uomo stava indietreggiando nervosamente, allontanandosi da lui.
«Guarda, ho davvero bisogno di aiuto» disse Richard. «Per favore!»
L’uomo lo guardò fisso.
Richard sospirò. «D’accordo» disse. «Scusa se ti ho disturbato.»
Gli voltò le spalle e, afferrando la maniglia della borsa con entrambe le mani per impedire che tremassero, cominciò a percorrere High Street.
«Ehi» sibilò l’uomo.
Richard lo guardò. Gli stava facendo cenno di avvicinarsi.
«Vieni, vieni qui, presto!»
L’uomo si mise a scendere velocemente alcuni gradini a lato della strada — gradini disseminati di rifiuti, del tipo che portano ad appartamenti vuoti e trascurati in un seminterrato. Richard gli incespicò dietro. Ai piedi della scala c’era una porta. L’uomo spinse per aprirla, attese che anche Richard entrasse, e la richiuse dietro di sé.
Oltre la porta, si trovarono immersi nell’oscurità.
Uno scricchiolio e il rumore di un fiammifero che prende vita. L’uomo lo accostò allo stoppino di una vecchia lampada da ferroviere, che si accese, illuminando leggermente meno di quanto avesse fatto il fiammifero, poi si avviarono insieme in quel luogo tenebroso.
C’era puzza di muffa, di umido e di mattoni vecchi, di marcio e di buio.
«Dove siamo?» sussurrò Richard.
La sua guida lo zitti.
Giunsero a un’altra porta in un muro.
L’uomo bussò ritmicamente. Ci fu un momento di pausa.
La porta si spalancò.
Per un attimo Richard rimase accecato dalla luce improvvisa. Si trovava in un’enorme stanza a vòlte, un salone sotterraneo, pieno di fumo e di luce. Piccoli fuochi ardevano per tutta la stanza. Persone dalla forma indistinta stavano accanto alle fiamme, arrostendo piccoli animali su degli spiedi. La gente si affrettava da un falò all’altro.
Gli ricordava l’inferno. 0 meglio, il modo in cui si immaginava l’inferno quando era ragazzino
Il fumo gli raschiò la gola, e tossì.
Un centinaio di occhi lo fissarono. Un centinaio di occhi imperturbabili e poco amichevoli.
Un uomo si diresse verso di loro a passi rapidi. Aveva i capelli lunghi e una barba irregolare, e a Richard parve che i suoi abiti laceri fossero decorati di pelliccia — di pelo arancione, bianco e nero, come il manto di un gatto. Era alto, ma camminava curvo, le mani sul petto.
«Cosa? Cos’è? Cos’è questo?» chiese alla guida di Richard. «Chi ci hai portato, Iliaster? Parla-parla-parla.»
«Viene da Sopra» rispose la guida. (Iliaster? pensò Richard).
«Domandava di Lady Porta. E del Mercato Fluttuante. Gliel’ho portato, Lord Parla-coi-Ratti. Pensavo avreste saputo cosa farne.»
Adesso intorno a loro c’era oltre una dozzina di persone decorate di pelliccia. C’erano uomini e donne, e anche qualche bambino. Si spostavano a ondate: momenti di immobilità seguiti da corse precipitose.
Lord Parla-coi-Ratti mise la mano all’interno dei suoi stracci impellicciati e ne trasse una scheggia di vetro lunga circa venti centimetri e dall’aria pericolosa. Della pelliccia mal conservata era stata avvolta intorno alla metà inferiore della scheggia a formare una sorta di impugnatura improvvisata.
La luce dei falò rifulse dalla lama di vetro.
Lord Parla-coi-Ratti appoggiò il frammento tagliente contro la gola di Richard.
«Oh, si. Si-si-si» cinguettò. «So esattamente cosa farne.»
QUATTRO
Mister Croup e mister Vandemar avevano installato la propria abitazione nelle cantine di un ospedale vittoriano chiuso dieci anni prima per i tagli al bilancio del servizio sanitario nazionale.
Gli imprenditori interessati allo sviluppo della zona, che avevano annunciato l’intenzione di trasformare la costruzione in un incomparabile caseggiato formato da alloggi di gran lusso, erano svaniti uno a uno non appena l’ospedale era stato chiuso, e cosi se ne stava là anno dopo anno, grigio, vuoto e indesiderato, con assi inchiodate alle finestre e lucchetti alle porte.
Il tetto era in pessimo stato e la pioggia colava all’interno dell’ospedale vuoto, propagando umidità e putridume in tutto l’edificio.
La struttura era stata disposta intorno a un pozzo centrale che lasciava entrare una luce grigia e ostile.
Il mondo dei seminterrati al di sotto dei reparti deserti comprendeva oltre un centinaio di stanzette, alcune vuote, altre contenenti attrezzature sanitarie abbandonate. In una stanza c’era una tozza e gigantesca caldaia di metallo. Nella successiva si trovavano servizi igienici e docce bloccati e privi di acqua. Il pavimento di questi seminterrati era in gran parte ricoperto da un sottile strato di acqua piovana mista a olio, che rifletteva oscurità e decadimento verso il soffitto marcio.