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Lo spinse contro il muro, all’improvviso, e gli tappò la bocca con una mano sudicia. Quindi spense la candela.

Non accadde nulla.

Poi Richard udì delle voci lontane.

Aspettarono.

Delle persone passarono loro accanto e li superarono, parlando a bassa voce.

Quando ogni suono fu spento, Anestesia gli tolse la mano dalla bocca, riaccese la candela e proseguirono.

«Chi erano?» chiese Richard.

Lei fece spallucce. «Non importa» rispose.

«E allora cosa ti fa pensare che non sarebbero stati contenti di vederci?»

Lo guardò con aria alquanto triste, come una mamma che cerca di spiegare al suo piccino che, si, anche quella fiamma scotta. Tutte le fiamme scottano. Fidati, per favore.

«Vieni» disse. «Conosco una scorciatoia. Possiamo fare un salto a Londra Sopra. Per un pochino.»

Salirono alcuni gradini di pietra, e la ragazza spinse una porta, che si apri. La attraversarono e questa si richiuse alle loro spalle.

Richard si guardò intorno, perplesso.

Si trovavano sull’Embankment, l’argine del Tamigi. Era ancora notte — o forse era di nuovo notte. Non sapeva per quanto tempo avessero camminato nel sottosuolo e nell’oscurità.

La luna non si vedeva, ma il cielo era una profusione di nitide e scintillanti stelle autunnali. Anche i lampioni erano accesi, e cosi le luci su ponti e palazzi, che parevano astri terreni e brillavano riflessi nelle acque del Tamigi.

È il paese delle fate, pensò Richard.

Anestesia spense la candela.

«Sei certa che sia la strada giusta?»

«Si» rispose lei. «Certissima.»

Si stavano avvicinando a una panchina, e non appena ci posò sopra gli occhi, a Richard parve fosse uno degli oggetti più desiderabili che avesse mai visto. «Possiamo sederci?» domandò.

Lei si strinse nelle spalle, e si sedettero agli estremi opposti della panchina.

«Fino a venerdì» disse Richard «lavoravo da uno dei migliori analisti finanziari di Londra.»

«Che cosa fa un analista eccetera?»

«Lavora.»

Lei annui soddisfatta. «Bene. E…?»

«In realtà lo stavo solo ricordando a me stesso. Ieri… era come se non esistessi più per nessuno, qui sopra.»

«E perché è cosi» spiegò Anestesia.

Una coppia di nottambuli, che si era mossa nella loro direzione camminando lentamente lungo l’argine, tenendosi per mano, aveva preso posto sulla panchina, nel mezzo, proprio tra Richard e Anestesia. I due avevano cominciato a baciarsi, appassionatamente.

«Scusate» disse loro Richard.

L’uomo aveva infilato una mano sotto al maglione della donna e la muoveva in qua e in là con grande entusiasmo, un viaggiatore solitario alla scoperta di un continente inesplorato.

«Rivoglio la mia vita» disse Richard alla coppia.

«Ti amo» disse l’uomo alla donna.

«Ma tua moglie…» fece lei, dandogli una leccatina vicino all’orecchio.

«Che vada a scopare il mare» rispose l’uomo.

«Non mi frega di quello che si scopa lei» commentò la donna con una risatina da ubriaca. «Basta che io possa scoparmi te…» Gli mise una mano tra le cosce e ridacchiò più forte.

«Andiamo» disse Richard a Anestesia, sentendo che la panchina cominciava a diventare un luogo meno piacevole, quindi si alzarono e si allontanarono. Incuriosita, Anestesia si voltò a sbirciare la coppia che stava gradualmente assumendo una posizione sempre più orizzontale.

Richard non disse nulla.

«Qualcosa non va?» chiese Anestesia.

«Assolutamente tutto» rispose Richard. «Hai sempre vissuto di sotto?»

«No. Sono nata qui» esitò. «Non credo ti interessi sapere di me.»

Richard si rese conto, con una certa sorpresa, che invece gli interessava. «Sbagli.»

La ragazza si mise a giocherellare con le perline di quarzo infilate nella collana che aveva al collo, poi iniziò a parlare, senza guardarlo.

«La mamma ha avuto me e le mie sorelle, ma è diventata un po’ strana nella testa. La signora è venuta e si è presa cura delle mie sorelle, e io sono andata a stare da mia zia. Lei viveva con quel tizio. Mi faceva sempre male. Faceva delle cose. L’ho detto alla zia e lei mi ha picchiata. Diceva che mentivo. Diceva che mi portava dalla polizia. Ma io non mentivo. Perciò sono scappata. Era il giorno del mio compleanno.»

Avevano raggiunto l’Albert Bridge, più che un ponte un monumento kitsch da cui pendevano migliaia di lucine gialle.

«Faceva cosi freddo» continuò Anestesia, poi fece una pausa. «Dormivo per strada. Dormivo di giorno, quando faceva un pochino più caldo, e andavo in giro di notte, tanto per muovermi. Avevo undici anni. Per mangiare rubavo il pane e il latte davanti alle case. Odiavo farlo. Giravo nelle strade dei mercati e prendevo le mele marce e le arance e le cose che gli altri buttavano. Vivevo sotto un cavalcavia a Notting Hill. Poi mi sono ammalata per davvero. Quando sono rinvenuta ero a Londra Sotto. Mi avevano trovata i ratti.»

«Hai mai cercato di ritornare a tutto questo?» chiese, indicando le case silenziose, calde e deserte. Le auto nella notte. Il mondo reale…

Scosse il capo. Tutte le fiamme scottano, piccolino. Imparerai. «Non puoi. O uno o l’altro. Nessuno li ha tutti e due.»

«Mi dispiace» disse Porta con voce esitante. Aveva ancora gli occhi rossi.

Il Marchese, che si era divertito giocando un gioco degli astragali con delle ossa e delle monete antiche, la guardò. «Davvero?»

Si mordicchiò il labbro inferiore. «No. Veramente no. Non mi dispiace. Ho corso e mi sono nascosta e ho corso cosi tanto che… questa è stata la prima occasione per…» Si interruppe.

Il Marchese raccolse le monete e le ossa e le ripose in una delle sue tante tasche.

«Dopo di te» disse.

La segui di nuovo alla parete di quadri. Lei appoggiò una mano sull’immagine dello studio di suo padre, e con l’altra afferrò la manona del Marchese.

… La realtà si alterava…

Erano nella serra a bagnare le piante.

Entrata aveva un pìccolo annaffiatoio tutto per lei. Ne era cosi fiera. Era proprio uguale a quello della mamma.

Cominciò a ridere, una risata spontanea, da bambina.

E anche sua madre si mise a ridere, finché mister Croup la tirò forte per i capelli, un colpo secco e improvviso, e le tagliò la gola da un orecchio all’altro.

«Ciao, papà» disse Porta sommessamente.

Sfiorò il busto del padre con le dita, accarezzandogli una guancia. Un uomo magro, ascetico, quasi calvo. Cesare come Prospero, pensò il Marchese de Carabas. Non si sentiva molto bene. Quell’ultima immagine era stata dolorosa.

Quadro: studio di Lord Portico. Quello era un inizio.

Osservò la stanza, gli occhi che passavano da un dettaglio all’altro. Il coccodrillo impagliato che pendeva dal soffitto; i libri, un astrolabio, specchi, curiosi strumenti scientifici; sui muri c’erano delle mappe; una scrivania, coperta di lettere.

La parete bianca dietro la scrivania era deturpata da una macchia rosso-marrone.

Sulla scrivania c’era un piccolo ritratto della famiglia di Porta. Il Marchese lo studiò attentamente.

«Tua madre e tua sorella. Tuo padre. E tuo fratello. Tutti morti. E tu, come sei riuscita a salvarti?»

Abbassò la mano. «Sono stata fortunata. Ero andata in esplorazione per qualche giorno… sapevi che ci sono ancora dei soldati romani accampati vicino al fiume Kilburn?»

Il Marchese non lo sapeva, e la cosa lo metteva di malumore. «Hmm. Quanti?»