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Il Marchese le indirizzò uno sfolgorio di denti. «Dopo Hunter non c’è più stato nessuno con la benché minima possibilità. No, cercherò qualcuno che possa darti il tempo di scappare.»

Assicurò la catena dell’orologio al panciotto, lasciando scivolare l’orologio nell’apposito taschino.

«Cosa stai facendo?» chiese Porta. «Quello è l’orologio di mio padre.»

«Ma non lo usa più, vero? Ecco fatto. Piuttosto elegante, direi.» Osservò le emozioni alternarsi sul viso di lei: dolore, rabbia, rassegnazione.

«Andiamo» disse la ragazza.

«Il Ponte della Notte non è molto lontano da qui» disse Anestesia.

Richard si augurò che fosse vero. Erano alla terza candela, e si stupiva che fossero ancora sotto Londra: era pressoché convinto di aver percorso quasi tutta la strada per la Fine del Mondo.

«Ho proprio paura» continuò lei. «Non ho mai attraversato il ponte.»

«Mi pareva avessi detto che c’eri già stata al mercato.»

«È il Mercato Fluttuante, sciocco. Te l’ho già detto. Si sposta. Zone diverse. L’ultimo a cui sono andata si teneva in quella grande torre con le campane. Il Big… qualcosa. E quello dopo era…»

«Il Big Ben?»

«Forse. Eravamo all’interno dove girano tutte quelle ruote enormi, ed è stato li che ho preso questo…»

Gli mostrò la collana. Alla luce della candela i quarzi luccicanti mandarono bagliori giallastri. Lei sorrise, come una bambina.

«Ti piace?» chiese.

«È bellissima. L’hai pagata molto?»

«Ho dato della roba in cambio. È cosi che funzionano le cose qui sotto. Ci scambiamo la roba.»

Poi svoltarono un angolo e videro il ponte.

Avrebbe potuto essere uno dei ponti sul Tamigi, pensò Richard; un enorme ponte di pietra che si estende sopra un baratro, nella notte. Ma non c’era cielo sopra quel ponte, e non c’era acqua sotto.

Si innalzava nell’oscurità.

Richard si chiese chi l’avesse costruito e quando. Si chiese come era possibile che qualcosa del genere potesse esistere sotto la città di Londra, senza che nessuno lo sapesse.

Alle spalle di Richard si udì un brusio di voci.

Qualcuno gli diede uno spintone mandandolo lungo e disteso per terra. Alzò gli occhi. Un uomo gigantesco, rozzamente tatuato, vestito con abiti improvvisati di pelle e di gomma, che parevano ritagliati da un interno di automobile, lo osservava dall’alto in basso. Dietro a lui c’erano dozzine di persone, uomini e donne: persone che parevano dirette a una festa mascherata con costumi di infima qualità presi a nolo.

«Qualcuno» disse Varney, che non era dell’umore migliore, «mi stava tra i piedi. Qualcuno farebbe bene a guardare dove va.»

Una volta, da piccolo, mentre tornava da scuola, Richard aveva incontrato un ratto in un fosso a lato della strada. Vedendolo, il ratto si era sollevato sulle zampe posteriori, soffiando e saltando, e spaventando a morte Richard, che aveva indietreggiato, stupito che un essere cosi piccolo fosse pronto a lottare contro qualcosa tanto più grande.

Anestesia si mise in mezzo, tra Richard e Varney. Lanciò un’occhiata furiosa al gigante e cominciò a sibilare come un ratto arrabbiato messo alle strette. Varney fece un passo indietro.

Sputò sulle scarpe di Richard, dopo di che girò sui tacchi e il manipolo di persone si diresse sul ponte e nel buio.

«Tutto a posto?» chiese Anestesia, aiutando Richard a rimettersi in piedi.

«Sto bene» rispose. «Sei stata coraggiosissima.»

Lei guardò in basso, con aria timida. «Non sono davvero coraggiosa» disse. «Ho ancora paura del ponte. Anche quelli avevano paura. Ecco perché sono andati tutti insieme. L’unione fa la forza. Dei veri bulli!»

«Se dovete attraversare il ponte, vengo con voi» disse una voce femminile.

Richard non riusci mai a capire che accento avesse. In quel momento pensò fosse canadese o americano. In seguito ritenne che potesse essere africano, australiano o persìno indiano. Non riuscì mai a individuarlo.

Era una donna alta, con lunghi capelli color bruno fulvo e la pelle scura, come lo zucchero caramellato. Indossava indumenti di pelle chiazzata, grigia e marrone. Sulla spalla portava una sacca da viaggio in pelle alquanto vissuta.

Teneva in mano un bastone, aveva un pugnale alla cintura e una torcia elettrica legata al polso con una cinghia.

Era, senza alcun dubbio, la donna più bella che Richard avesse mai visto.

«L’unione fa la forza. Se desidera venire con noi, è la benvenuta» disse, dopo un istante di esitazione. «Mi chiamo Richard Mayhew, e questa è Anestesia. È quella di noi che sa cosa sta facendo.»

La ragazza-ratto gongolava.

La donna vestita di pelle lo osservò dalla testa ai piedi. «Vieni da Londra Sopra» gli disse.

«Si.»

«E vai in giro con una parla-coi-ratti. Perbacco!»

«Sono il suo guardiano» disse Anestesia con aria feroce. «E tu chi sei? A quale signore devi fedeltà?»

La donna sorrise. «Non devo fedeltà a nessun uomo, ragazza-ratto. Qualcuno di voi due ha già attraversato il Night’s Bridge, il temibile Ponte della Notte?»

Anestesia scosse il capo.

«Bene. Allora ci divertiremo, giusto?»

Procedettero verso il ponte.

Anestesia diede a Richard la lampada-candela. «Tieni» disse.

«Grazie.» Richard guardò la donna vestita di pelle. «C’è davvero qualcosa da temere? Cosa c’è sul Knightsbridge, o Night’s Bridge che sia cosi pericoloso?»

«Solo quello che hai detto.»

«Intendi un tipo in armatura?»

«Intendo quel tipo di armatura che cala quando finisce il giorno. Questo c’è da temere.»

La mano di Anestesia andò in cerca di quella di Richard, che la afferrò con forza, una piccola mano in una più grande. Lei gli sorrise e ricambiò la stretta.

Quindi misero piede sul ponte, e Richard iniziò a comprendere il buio: il buio come qualcosa di solido e reale.

Richard sentiva che gli sfiorava la pelle, cercando, spostandosi, esplorando: gli scorreva nella mente. Poi gli scivolò nei polmoni, dietro gli occhi, in bocca…

A ogni passo la luce della candela diventava più fioca. Si accorse che la stessa cosa stava accadendo anche alla torcia della donna vestita di pelle.

Buio, totale e assoluto.

Rumori. Un fruscio, un movimento inconsulto. Richard sbatté le palpebre, accecato dalla notte.

I suoni erano sempre più cattivi, più affamati. A Richard parve di udire delle voci: un’orda di giganteschi troll deformi, sotto il ponte…

Qualcosa nell’oscurità scivolò accanto a loro e li superò.

«Cos’è?» squitti Anestesia. La piccola mano tremava in quella più grande.

«Shh!» sussurrò la donna. «Non attirare la sua attenzione.»

«Che succede?» bisbigliò Richard.

«Il buio» spiegò con calma la donna vestita di pelle. «Tutti gli incubi che emergono al calare del sole, fin dai tempi delle caverne, quando ci si rannicchiava gli uni accanto agli altri alla ricerca di calore e sicurezza. Questo è il momento di avere paura dell’oscurità.»

Richard si rese conto che qualcosa gli stava strisciando sul viso. Chiuse gli occhi: tanto non faceva alcuna differenza rispetto a ciò che vedeva o sentiva. La notte era assoluta.

E fu allora che cominciarono le allucinazioni.

Vide una figura cadere verso di lui nella notte, in fiamme, le ali e i capelli che andavano a fuoco.

Sollevò le mani: li non c’era nulla.

Jessica lo guardò, il disprezzo negli occhi.