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Tutti compravano. Tutti vendevano.

Si aggirava per le immense stanze del grande magazzino come in trance, incapace persino di fare una stima approssimativa del numero di persone presenti al mercato: un migliaio? Duemila? Cinquemila?

Una bancarella era stipata fino all’inverosimile di bottiglie, bottiglie piene e vuote, bottiglie di ogni forma e dimensione; un’altra offriva lampade e candele; passò davanti a un chiosco dove si vendevano luccicanti gioielli in oro e argento, e a uno in cui la gioielleria pareva creata utilizzando pezzi di vecchie radio; c’erano banchi con ogni sorta di libri; altri che vendevano vestiti — rattoppati e nuovi, e strani; tatuatori; un dentista; un vecchio curvo che vendeva cappelli; qualcosa che somigliava molto a un albergo diurno; persino un fabbro…

Le bancarelle erano intervallate da venditori di cibarie. Alcuni cuocevano la propria merce sul fuoco vivo: pietanze al curry, patate, caldarroste, funghi, pane.

Richard si ritrovò a chiedersi come mai il fumo dei fornelli non facesse scattare il sistema antincendio. Poi si ritrovò a chiedersi come mai nessuno saccheggiasse il negozio: perché montare bancarelle proprie? Perché non prendere direttamente la roba del grande magazzino?

Nella gente che lo circondava c’era qualcosa di profondamente tribale, decise Richard. Cercò di individuare i diversi gruppi: c’erano quelli che parevano scappati da una recita in costume; quelli che gli ricordavano gli hippy; gli albini con abiti grigi e occhiali scuri; quelli raffinati e pericolosi, in completo elegante e guanti neri; le donne gigantesche e praticamente identiche che si aggiravano in gruppetti di due o tre e incontrandosi facevano un cenno d’intesa; quelli dai capelli arruffati che dall’aspetto sembravano proprio vivere nelle fogne e che puzzavano in maniera terribile; e centinaia di altri…

Si chiese come la Londra normale — la sua Londra — sarebbe apparsa a un alieno. E il pensiero lo rese spavaldo.

Continuando a camminare, cominciò a chiedere in giro:

«Mi scusi, sto cercando un uomo di nome de Carabas e una ragazza che si chiama Porta. Sa dove posso trovarli?»

La gente scuoteva il capo, distoglieva lo sguardo e si allontanava, scusandosi.

Richard fece un passo indietro e pestò il piede a qualcuno.

Qualcuno che superava di parecchio i due metri ed era ricoperto di ciuffetti di pelo rossiccio. Qualcuno i cui denti erano stati limati fino a diventare aculei appuntiti. Qualcuno che sollevò Richard con una mano grande quanto la testa di un montone e ne portò il viso cosi vicino alla bocca del suddetto qualcuno da farlo quasi vomitare.

«Sono davvero spiacente» disse Richard. «Io — io sto cercando una ragazza di nome Porta. Sa dove…»

Ma qualcuno lo lasciò ricadere sul pavimento e se ne andò.

Una zaffata di odori di cucina si diffuse in tutto il piano, e Richard, che era riuscito a dimenticare la fame (fin da quando aveva declinato l’offerta di una prelibata fetta di gatto arrosto, non sapeva più quante ore prima), si ritrovò con l’acquolina in bocca e i processi mentali avviati verso un lento e inesorabile blocco.

La donna dai capelli color ferro che gestiva il banchetto di cibo li accanto non gli arrivava alla cintola. Quando Richard provò a rivolgerle la parola, scosse il capo e si appoggiò un dito sulle labbra. Non poteva parlare, o non parlava, o non voleva. Richard si mise a mimare un negoziato per dei panini con formaggio e insalata e per quello che alla vista e all’olfatto sembrava un bicchiere di limonata fatta in casa.

Il cibo gli costò una biro e un pacchetto di fiammiferi che non ricordava di possedere.

La donnina doveva essere convinta di avere fatto decisamente un buon affare, perché quando gli diede quello che aveva chiesto aggiunse anche un paio di biscotti alle noci.

Ora Richard era in piedi in mezzo alla folla, ad ascoltare la musica — qualcuno, per un motivo che a lui sfuggiva completamente, stava cantando il testo di Greensleeves, una famosa canzone di epoca elisabettiana, sulle note di Yakkety-Yak — , a osservare il bizzarro bazaar che gli si svolgeva intorno e a mangiare i panini.

Mentre finiva l’ultimo boccone, si rese conto di non avere fatto per niente caso al sapore di quanto aveva appena ingurgitato, quindi decise di rallentare il ritmo e di masticare i biscotti con calma. Sorseggiò la limonata, facendola durare il più possibile.

«Le serve un uccello, signore?» domandò una voce briosa, molto vicina. «Ho corvi neri e corvi imperiali, cornacchie e storni. Uccelli belli, saggi. Gustosi e saggi. Fantastici.»

Richard rispose «No, grazie» e si voltò.

L’insegna dipinta a mano che si trovava sopra il banco diceva

«OLD BAILEY: UCCELLI E INFORMAZIONI»

Tutto intorno c’erano altri cartelli più piccoli: «LO VUOI, LO SO!» e «NON TROVERAI STORNI PIÙ CARNOSI!!!!» e anche «QUANDO È TEMPO DI CORVO, È TEMPO DI OLD BAILEY!!» Richard si scoprì a ripensare all’uomo-sandwich che aveva visto appena arrivato a Londra, che se ne stava all’uscita della stazione della metropolitana di Leicester Square con un cartello davanti e uno sulla schiena per esortare il mondo a una Minore Lussuria Con Meno Proteine, Uova, Carne, Fagioli, Formaggio e Vita Sedentaria. Uccelli saltellavano e sbatacchiavano le ali all’interno di gabbiette che parevano ricavate intrecciando antenne televisive.

«Informazioni, allora?» continuò Old Bailey, ravvivando la parlantina da venditore. «Mappe dei tetti? Storia? Notizie segrete e misteriose? Se non lo so io, probabilmente è meglio dimenticarsene. Ecco cosa dico sempre.»

Il vecchio indossava ancora il cappotto piumato, ed era avvolto in corde e funi. Guardò Richard di sottecchi, poi inforcò gli occhiali che teneva legati al collo con uno spago e lo osservò attentamente attraverso le lenti.

«Aspetta un attimo. Io ti conosco. Tu stavi col Marchese de Carabas. Sul tetto. Ricordi? Eh? Sono Old Bailey. Ti ricordi di me?» Allungò la mano e strinse quella di Richard, agitandola furiosamente su e giù.

«In realtà» disse Richard «sto proprio cercando il Marchese. E la giovane signora di nome Porta. Penso che probabilmente siano insieme.»

Il vecchio si mise a saltellare, cosa che provocò il distacco di alcune penne dal cappotto e un coro di rauca disapprovazione da parte dei numerosi uccelli che lo circondavano.

«Informazioni! Informazioni!» annunciò alla stanza affollata. «Visto? Gliel’avevo detto. Diversificare, avevo detto. Diversificare! Non puoi passare la vita a vendere corvi per stufato — comunque sanno sempre di ciabatte bollite. E sono cosi stupidi. Duri come il muro. Hai mai mangiato corvo?» Richard scosse il capo. Quella era una cosa di cui poteva essere certo, in ogni caso.

«Cosa mi dai?» chiese Old Bailey.

«Prego?» fece Richard, saltando goffamente da un banco all’altro.

«Se ti do l’informazione, che me ne viene?»

«Non ho soldi» rispose Richard. «E ho appena dato via la mia penna.»

Cominciò a vuotarsi le tasche.

«Ecco!» disse Old Bailey. «Quello!»

«Il mio fazzoletto?» domandò Richard. Si trattava di un fazzoletto non esattamente immacolato, regalo di zia Maude per il suo ultimo compleanno.

Old Bailey lo afferrò e se lo agitò festante sopra la testa.

«Non temere, ragazzo!» canticchiò trionfante. «La tua ricerca è alla fine! Vai laggiù, oltre quella porta. Non puoi non vederli. Stanno facendo l’audizione.»

Un corvo gracchiò malignamente.

«Fatti i becchi tuoi» gli disse Old Bailey. Mentre a Richard disse: «Grazie della bandierina!»

E prese a saltellare intorno alla bancarella, felice e contento, agitando il fazzoletto avanti e indietro.

L’audizione? pensò Richard. Poi sorrise. Non aveva importanza. La sua ricerca, come aveva detto il vecchio e pazzo uomo dei tetti, era alla fine.